giovedì 31 marzo 2011

Una Signora "Molto" Vittoriana

IVY COMPTON-BURNETT (1884-1969)
"Vorrei sapere chi ha inventato l'innocenza infantile. Doveva essere un bell'originale".

Inizio la condivisione di un amore...
Ivy Compton-Burnett è una grande scrittrice inglese...Contemporanea di Virginia Woolf. Minor fortuna di lei, enormemente più talentuosa! Non che io sottovaluti la Woolf ..."Orlando"è uno dei libri che salverei da un novello Diluvio Universale...ma soltanto quello. I libri di Ivy Compton-Burnett li salverei tutti e li rilegherei con la pelle delle ultime foche monache! ... Se mi limitassi a raccontare la trama di uno dei suoi
romanzi, sprofonderei il post in un equivoco da piena atmosfera gotica: famiglie corrotte e corruttrici, sesso torbido, incesti, eredità contese, avvelenamenti ed omicidi... Il punto è che tutto accade prima o dopo e sempre fuori scena. Si parla di qualcosa che è già accaduto , si ipotizza ciò che accadrà, il "dramma"  è altrove e vive attraverso le  parole... Sono dialoghi "in salotto" i suoi romanzi, la prosa è secca, fulminante e geniale ...Chi ama il dialogo in punta di fioretto di "Orgoglio e Pregiudizio" beh!...lo carichi di maggior genio, cinismo, crudeltà e rigore e avrà... Lei ! Lascio tre titoli, quelli che dovrebbero essere più facilmente reperibili...non è coccolata dalle ristampe come la Woolf ! ( Ovviamente, chi avesse una buona conoscenza della lingua inglese dovrebbe leggerLa in versione originale).
 "Più Donne che Uomini", "Una Famiglia e un'Eredità", "Fratelli e Sorelle" , "Un Dio e i suoi Doni" ( da cui è tratta la citazione iniziale).


Mab


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p.s.
 Aspetto inquietante: una certa identità con i suoi romanzi...Chi l'ha conosciuta personalmente, colpito dalla  spregiudicatezza , dalla  rivoluzionaria modernità dei suoi libri...si è ritrovato seduto in un salottino vittoriano, fra tazze di porcellana, thé , centrini ricamati e ninnoli vittoriani con una Signora molto vittoriana, taciturna, fredda e...implacabile! Ho visto le foto! Ci credo!

"La Solitudine del Maratoneta"

Primo....niente a che vedere con il film "Il Maratoneta"....
Secondo: dopo cinquant'anni, due anni fa è uscita una nuova edizione italiana. Nella collana "Minimum classics "della Minimum Fax.
L'autore, Alan Sillitoe, nato nel '28 in Gran Bretagna , trascorse alcuni anni in volontario esilio, lontano dal suo Paese. Tornato a Londra agli inizi degli anni '60, descrisse le vite amare e appassionate degli "ultimi", in una Londra "incafonita" dall'assalto dei nuovi ricchi, violenta ed aggressiva. Per descrivere la sua "missione " di scrittore, cita V.Hugo:"Il dovere degli storici di cuori e di anime è inferiore a quello degli storici dei fatti esterni? Possiamo credere che Dante avesse meno da dire di Machiavelli? La parte inferiore di una civiltà, per il fatto di essere più profonda e più triste, è meno importante di quella superiore? Conosciamo del tutto la montagna se non conosciamo le caverne? ".

Il titolo originale di questo racconto, che dà il nome al libro , è "The Loneliness of the Long Distance Runner".
La traduzione italiana è infelice....sempre meglio dell'orrido titolazzo del film che , negli anni '60, fu tratto da quest'opera: "Gioventù , Amore e Rabbia"...ehm...non lasciatevi fuorviare...E' splendido! Il regista è Tony Richardson , primo marito di Vanessa Redgrave e padre delle sue due figlie.Infatti, uno dei protagonisti del film è Michael Redgrave. L'"eroe-anti-eroe" è Tom Courtenay.
Se per qualche misterioso, impellente, importante/vitale motivo dovessi riassumere in un flash ciò che sono e penso e sento, credo che sceglierei la scena finale di questo film.


Mab

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sabato 26 marzo 2011

La Papessa Giovanna, Cristina di Svezia e Liv Ullmann

Le  "new entries", se non risalgono al 1945, mi insospettiscono. Vabbé, esagero, ma non troppo. Ma, per una che ha già visto una marea di amatissimi (ma anche no) libri, inesorabilmente strapazzati sullo schermo, il remake compulsivo di questi anni privi di creatività e fantasia - se non meramente fumettistica - (e parlo di cattivi fumetti ) è una tragedia: straziano anche film, più o meno "cult", che, ai loro tempi, e a loro volta, avevano straziato dei buoni libri... Le eccezioni ci sono, ovviamente. Su Tim Burton, ad esempio, vado sul sicuro, con la fiducia di una treenne la vigilia di Natale: anche se stravolge il libro o la storia originale, crea un'altra narrazione , "sua", altrettanto fantastica , magari più affascinante ( v. "Sweeney Todd")... e lo perdòno sistematicamente.
"La Papessa"... Mmmmm... non l'ho visto, ma già mi ha turbato il trailer. Comunque:


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Titolo originale : "Die Papstin"
Regia : Sonke Wortman
Genere : Drammatico
Durata : 149 min
Interpreti : Johanna Wokalek, David Wenham, John Goodman, Iain Glen, Anatole Taubman.
Co-produzione Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna (2009)


Voglio segnalare un bel film del 1971, di cui questo è, con tutta evidenza, il remake... "pirata". La leggenda della papessa Giovanna, infatti, è un intrico tale di versioni che si stratificano, si intrecciano e si differenziano che la scusa della fonte comune non regge proprio. Qui c'è qualcuno che copia. Male.
Da vedere assolutamente questo film del '71, di produzione inglese, regia di Michael Anderson , con una Liv Ullmann all'apice della sua carriera e quasi insopportabilmente brava. Certo, qualcuno userà un 'espressione che mi infastidisce quasi quanto l'abominevole "mi consenta", ovvero: "E' datato!" Non essendo un capolavoro assoluto, mi sembra normale che mostri qualche ingenuità, qualche scoloritura... cosa sembrerà l'orrido "Troy" fra quarant'anni?


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Approfitto per segnalare un altro film. Sempre con Liv Ullmann, stesso periodo, ( è del 1974 ), anch'esso fra storia e leggenda: "La Rinuncia", (una volta tanto felice traduzione dell'originale "The Abdication") perché si presta ad una doppia interpretazione del tutto pertinente.


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 Liv Ullmann interpreta la regina Cristina di Svezia. Ogni paragone con la Garbo è improponibile. La "Cristina" della Garbo era una splendida, magnetica fantasia fiabesca, una George Sand con il fascino contrastante e contrastato della corona, e il romanticismo dell'amore impossibile, commedia degli equivoci e tragico finale compresi.
Anche qui c'è un amore impossibile, ma vissuto attraverso la bizzarria degli umori della giovane Regina, orgogliosa della propria umiltà, ansiosa di rinunciare alla corona e di convertirsi al cattolicesimo, ma che vuole trattare e contrattare direttamente con il papa, e che si aggira notte dopo notte, seguita dal suo nano, di camera in camera, perché non riesce a dormire più di tanto in uno stesso letto e rincorre il sonno. Non più regina regnante, per sua decisione, ma incredula che gli altri le credano e che la trattino diversamente. Peter Finch giganteggia, ovvero le tiene testa, nel ruolo del cardinale, del politico e dell'innamorato di un fantasma troppo carnale.
Da vedere. Chi non gradisse... beh, si riguardasse "Troy" , e, quando il grande (et magnifico et amatissimo ) Peter O'Toole, umiliato nel ruolo di un Priamo stile "Ercole contro Maciste", si appella al coraggio dei suoi sudditi gridando :"Sons of Troy!", ricordatevi che durante il doppiaggio hanno cambiato la battuta in
"Troiani!" perché "figli di Troia" era veramente troppo anche per quel film lì!!!
A proposito, Luca Ward, il doppiatore di R.Crowe ne "Il Gladiatore", si vanta ogni tre per due di aver cambiato in corso d'opera la battuta originale prima della battaglia, proprio all'inizio del film :
 "Al mio segnale sciogliete i cani" (o qualcosa del genere )  in:  "Al mio via scatenate l'inferno!" Che avrebbe detto il povero generale? Scatenate l'Ade? Perché, all'epoca, l'Inferno non era ancora stato inventato. Non nella rassicurante accezione cristiana, almeno. Amen.

Mab


Le due locandine dei film con Liv Ullmann le ho trovate qui:
http://www.film.tv.it

La Donna che Volle Farsi Papa



Il succo della leggenda è questo : una giovane donna inglese , spinta da motivi di intelletto ( l'amore per lo studio , precluso alle donne) e/o di "alcova", ( ovvero, per seguire in piena libertà un suo amante ), si finse un monaco , Johannes Anglicus , e compì i suoi studi a Magonza.
Giunta a
Roma , si distinse per la brillantezza del suo ingegno, tanto che , in un 'epoca in cui l'elezione dei papi era , spesso, estemporanea , alla morte di Leone IV , nell'anno 855, venne eletta papa ed assunse il nome di Giovanni VIII . Essendo sessualmente attiva , rimase incinta . Nell'anno 857 ,quindi , mentre partecipava alla solenne processione pasquale , dal Laterano a San Pietro , venne còlta dalle doglie , svelando drammaticamente la sua vera natura.

Il sèguito, o l'epilogo, è raccontato in svariati modi.

1) L'epilogo meno truculento ( e assolutamente minoritario ) appartiene alla versione "ufficiale" che riporto sotto, che la vede pentita e penitente, e addirittura madre di un vescovo.
2 ) Morì di parto.
3 ) Fu lapidata ( o fatta a pezzi ) dalla folla inferocita.
4) Fu legata alla coda di un cavallo e trascinata per le vie di Roma finché non morì sfracellata.

Nelle versioni che contemplano un epilogo fatale , che si tratti di morte naturale o meno , il neonato muore con lei.
Dalla leggenda (?) della papessa Giovanna ne deriva almeno un'altra .
( E. Petoia, "Medioevo al femminile",1992) :

" Al di là della leggenda , lo scandalo fu tanto grave che , per tutte le cerimonie di incoronazioni pontificie future , venne stabilito che un diacono o due diaconi procedessero alla verifica del sesso dell'eletto ,
facendolo sedere sopra una sedia forata e toccandogli i testicoli per annunziarne , poi , la verificata virilità con questa formula : 'Habet testiculos et bene pendentes'"
[ Annuncio accolto da una salva di 'Deo Gratias'!]


Questa storia , quindi , è "ambientata" nel secolo IX , ma se ne parla per la prima volta nel 1240 , ad opera di un domenicano , Giovanni di Metz.
Pochi anni dopo, Martinus Oppaviensis ( o Martinus Polonus - data di nascita incerta , morto nel 1278 ) , un altro storico e monaco domenicano , la riporta , come storia vera, nelle sue "Cronache dei Papi e dgli Imperatori". Ed la sua "cronaca"è questa .

"Dopo la morte di papa Leone [1] , salì al soglio pontificio un giovane di Magonza , con il nome di Giovanni , il quale rimase papa per un periodo di due anni , cinque mesi e quattro giorni . Questi , come si narra , era una fanciulla , e in età infantile fu condotta ad Atene da un suo amasio [2] , travestita da uomo , così che fu creduto da tutti che si trattasse realmente di un uomo . Sotto queste mentite spoglie progredì tanto nello studio delle arti liberali e delle altre scienze , che nessuno poteva superarla o eguagliarla . Giunta a Roma , si distinse soprattutto nella terza parte del trivio [3] , e raccolse intorno a sè grandi maestri , discepoli e innumerevoli uditori . In verità , si mostrò eccellente anche nel quadrivio , e nell'opera di molte cose
ammirevoli . Grazie alla sua arte e al suo consiglio furono fatte a Roma molte cose meravigliose . Così , poiché Roma era ormai diventata famosa e aveva superato nella scienza anche gli altri papi che l'avevano preceduta , fu eletta pontefice all'unanimità.
Nonostante fosse stata eletta per ricoprire la più alta carica ecclesiastica , non seppe però astenersi dai piaceri sessuali . Infatti , sopraffatta dalla fragilità femminile , cominciò a dimostrare interesse per un giovane diacono , che le era stato affidato come segretario .
Ben presto , venuto a conoscenza della natura femminile del pontefice , il giovane diacono si arrese alle lusinghe della donna e cominciò a intrattenere rapporti con lei sempre più frequenti .
Dopo un po' di tempo dall'inizio della loro relazione , la papessa rimase incinta, e poiché ignorava quando avrebbe dato alla luce il frutto del loro peccato , un giorno , mentre si dirigeva da Laterano verso San Pietro, lungo la strada che passa tra il Colosseo e la chiesa di San Clemente , assalita dalle doglie , partorì in mezzo alla strada .
A memoria di questo fatto fu scolpita una lapide su quel luogo e quella strada fu chiamata Vico della Papessa . Scoperto l'inganno, fu subito dimessa dalla carica e spogliata degli abiti religiosi ; visse in penitenza il resto della sua vita , mentre il figlio , raggiunta l'età adulta , dopo aver preso i voti, fu eletto vescovo di Ostia. La donna trascorse molti anni cercando di porre rimedio con le preghiere e le penitenze ai peccati che aveva commesso , e quando si rese conto che i suoi giorni erano ormai giunti alla fine e che il momento della morte era imminente , ordinò come suo ultimo desiderio che la seppellissero proprio nel punto di quella strada in cui aveva partorito . Tuttavia , il figlio , non tollerando che il corpo della madre fosse allontanato da Ostia , la portò nella chiesa maggiore e lì fu tumulata con tutti gli onori.
Si narra , inoltre , che il papa eviti sempre di passare per quella strada e che faccia ciò in segno di sdegno per quel triste evento. Né il suo nome è inserito nel catalogo dei santi pontefici , sia perché era una donna , sia per il disonore da lei arrecato alla Chiesa."


Da : Martinus Oppaviensis, "Chronicon Pontificum et Imperatorum".

[1] Si tratta di Leone IV
[2] Amasio=amante
[3] Trivio e Quadrivio. Erano i due gruppi in cui erano state ,grossolanamente, suddivise le discipline letterarie e filosofiche e quelle scientifiche. Al "Trivio" corrispondevano : grammatica , retorica e dialettica. Al "Quadrivio" : aritmetica , geometria , astronomia e musica. La preparazione in queste materie era la base per la laurea in teologia. [E non solo in teologia, ovviamente]
Questa variante della leggenda , raccontata da un monaco domenicano che redasse le cronache dei Papi , dà da pensare. Tradizionalmente , la leggenda della donna che si fece papa , secondo la Chiesa cattolica , sarebbe il frutto avvelenato dell'anticlericalismo e/o del protestantesimo. Ma la stessa Chiesa cattolica la avvalorò per secoli, , almeno dal tredicesimo , come abbiamo visto , fino al diciassettesimo , quando fu proprio un Protestante, il pastore calvinista francese David Blondel , a dimostrarne per la prima volta , e con argomenti credibili anche se confutabili, l'infondatezza storica . Quindi ? È probabile che , se leggenda fu , come spesso accade, il "mostro" sia stato partorito
all'interno della stessa Chiesa cattolica, una sorta di incarnazione grottesca delle proprie ossessioni, e che si sia largamente e profondamente diffusa a livello popolare come satira feroce del Papato oppressore e corrotto, tanto che un cronista ufficiale della Chiesa decise di usare il solito metodo : "impossessarsene "per poi restituirla con il taglio che la Chiesa stessa riteneva più innocuo, anzi, addirittura edificante .  Non è il racconto di un inganno ordito dal tradizionale Nemico della Chiesa . È una novella Eva che, ancora una volta e assecondando la propria natura , cede alla doppia tentazione : orgoglio e lussuria , e , pur dotata di buon intelletto e capace di compiere opere mirabili per la Chiesa , cade per l'intrinseca fragilità della propria natura di donna/femmina . E non è un caso che il momento della caduta coincida con il momento del parto, che ne è la causa immediata.
Né , in queste cronache , Giovanna ha pianificato e condotto a termine il suo inganno con l'intento di sbeffeggiare e tradire la Chiesa .Non si tratta di una inaspettata indulgenza da parte del redattore .
Cosa poteva costituire una reale umiliazione per la Chiesa? Una donna/femmina capace di ideare un piano diabolico , e di conseguire un successo così spaventoso da portarla al vertice della Chiesa o una donna/femmina , sorprendentemente dotata e versata per lo studio, che , per motivi di alcova , si finge uomo e, quasi contro la propria volontà ,raggiunge la vetta del potere ecclesiastico...per poi cadere rovinosamente perché l'intrinseca natura, debole e lussuriosa, di una donna/femmina non può essere cambiata?




Prelevato dal Forum "Lo Specchio-Cielo", sezione "La Terra degli Eternamente Giovani".

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domenica 20 marzo 2011

da "Ondarock"

Horror rock - La musica delle tenebre

di Luigi Milani
Autori: Eduardo Vitolo e Alessio Lazzati
Titolo: Horror Rock
Editore: Arcana Edizioni
Pagine: 460
Prezzo: 24 euro


Eduardo Vitolo e Alessio Lazzati firmano un libro che è riduttivo definire saggio. "Horror Rock" (Arcana Edizioni, 2010) può infatti essere considerato la "summa suprema" di un genere che nel corso degli anni ha assunto connotati sempre più universali. Dagli originari ambiti letterari, cinematografici e fumettistici è infatti presto tracimato nel rock, forma artistica ed espressiva per sua stessa natura adatta a veicolare determinati contenuti e suggestioni.
Organizzata nella forma del reportage, l'opera affronta i vari ambiti nei quali si declina l'horror rock; gli artisti e le band citati, anzi raccontati con grande dovizia di particolari, sono numerosissimi. Non possono mancare ovviamente all'appello i Black Sabbath, con e senza quel simpatico, furbo pazzoide di Ozzy Osbourne, né titani del calibro dei Led Zeppelin, che specialmente agli inizi si richiamavano ad atmosfere oscure e inquietanti.

Ma la carrellata di "artisti horror" è davvero sterminata, in grado di mettere alla prova anche il fan più appassionato e competente: compaiono, tra gli altri, nomi quali Serial Killers, Sepultura, Keith Emerson, gli inevitabili Rolling Stones, ai quali, come si ricorderà, stava decisamente simpatica una certa divinità cornuta, Quorthon, Trent Reznor, Rage Against the Machine.
Molto interessante la parte dedicata all'horror punk, che, sia pur ancora legato, almeno agli inizi, all'heavy metal, anticipa le atmosfere che saranno proprie del goth-rock. È il turno dei Damned di Dave Vanian e dei Misfits di Glenn Danzig, che in seguito influenzeranno nomi come Slayer, AFI e naturalmente Marilyn Manson. È proprio a Manson - artista tra i più discussi degli ultimi anni - che il saggio riserva un'attenta disamina. Prescindendo dalla dimensione spettacolare del personaggio, ne analizza a fondo il reale valore artistico-musicale. Ciò che ne emerge - al di là delle varie incarnazioni più o meno provocatorie -  è il ritratto di un abile professionista dello show-biz.
Tra le curiosità, non manca una sfiziosa intervista a uno dei personaggi più bizzarri del metal italiano "cristiano", quel Fratello Metallo che dichiara di ispirarsi alle nomi storici come Metallica e Megadeth.

Il ponderoso volume - quasi 500 pagine - non tralascia di affrontare temi anche scomodi, come l'influsso, reale o presunto, dell'horror nel mondo reale, le censure, le distorsioni e le forzature interpretative, le critiche ingrate, ma anche gli episodi, quelli sì, reali che tingono spesso di nero la quotidianità.
Colpisce l'approccio filologico adoperato dalla coppia di autori, che li ha condotti a passare al setaccio riviste e fanzine d'annata, testi e copertine di dischi spesso introvabili, rinvenendo così una messe di informazioni e notizie tanto interessante quanto sterminata.
A differenza di testi analoghi, il saggio ha inoltre il pregio di cogliere ed evidenziare con completezza le vaste, talora inaspettate, contaminazioni esistenti tra l'ambito letterario tout court e quello musicale. Non a caso vengono evocati veri e propri numi tutelari quali H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe, così come troviamo citato il nome di un giornalista e scrittore che ha spesso prestato la sua opera a certo rock, Danilo Arona. Né è un caso che la prefazione sia firmata da Alan D. Altieri, che di horror e musica "demoniaca" ne mastica da anni...

Del resto, credo possa ben essere questa la cifra interpretativa di un universo espressivo tanto sconfinato: la sua innata trasversalità, che lo porta a ricomprendere generi, sottogeneri e linguaggi all'apparenza dissonanti, ma in realtà accomunati da motivi e ispirazioni che ormai sono patrimonio comune della cultura moderna.
Un plauso dunque agli autori di questa lunga cavalcata nel versante più oscuro della musica moderna.

Da: Ondarock.it

giovedì 17 marzo 2011

Oscar Wilde : Americani (Aforismi ? No.grazie)

Non amo gli aforismi... forse perché abusati da giornalisti-pseudo-scrittori (vedi Gervaso) che li sparano come bombette puzzolenti e poi si guardano intorno gongolanti per "vedere l"effetto-che-fa " Gli aforismi dovrebbero condividere con il romanticismo, insospettabilmente, un'innocente inconsapevolezza Oscar Wilde è il più saccheggiato. Non è che trascorresse il suo tempo snocciolando frasette da cioccolatini, ancorché di alto livello... I cosiddetti aforismi sono largamente tratti dalle sue opere teatrali, ma anche dal suo celeberrimo "Il Ritratto di Dorian Gray", in cui è possibile incontrare una delle più sorprendenti (data l'epoca), dignitose e commoventi dichiarazione d'amore omosessuale che io abbia mai letto... Nonché qualche pregevolezza sugli Americani verso i quali Oscar Wilde nutriva sentimenti che mi onoro di condividere.



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Riporto due righe, prelevo trafitture di ironia, le enucleo da un tutto, sottolineandone l'unitarietà...

Ad un pranzo, alcuni gentlemen spettegolano su di una ricca Americana venuta a cercare marito in Europa. Parlano della fonte della prosperità paterna .

"...Dicono che in America fare il salumiere è il mestiere più redditizio, dopo la politica."
"È carina ?"
"Si comporta come se fosse bella . La maggior parte delle Americane fa così. È il segreto del loro fascino."
"Perché queste Americane non se ne stanno nel loro Paese? Dicono sempre che è il paradiso delle donne."
"Lo è. Per questo, come Eva, non vedono l'ora di uscirne" disse Lord Henry...

Qualche pagina dopo:

"Dicono che nell'aldilà gli Americani buoni vanno a Parigi" ridacchiò sir Thomas, che disponeva di un ampio repertorio di battute di seconda mano.
"Davvero? E dove vanno i cattivi?"chiese la duchessa.
"In America" mormorò Lord Henry...


Traduzione di Masolino D'Amico
Meridiani, Mondadori

mercoledì 16 marzo 2011

"Le Note dei Morti Viventi", di 2minolli

AllPosters.it
.......del blues possiamo certo dire che parla alle anime, ai cuori, alle emozioni. Il blues è comunque musica malnata, frutto di sofferenza e frustrazioni, di schiavitù, di vessazioni. Figliare il rock è stata impresa ardua, ma frutto di un’epoca. E’ bastata una lieve accelerazione del ritmo per trasformare la musica del dolore in canto di ribellione. Ma poi il rock si è evoluto, ha germinato ramificazioni, ha gemmato. Il rock progressivo è frutto di tali eventi. Odiato, criticato per la complessità dei propri suoni, emarginato per la propria emarginazione, accusato di non raccontare la realtà della generazione che lo ha creato. I ghetti, l’alienazione, l’eroina, la devianza che tracimano dal rock muscolare, traduttore di rabbia in ritmi e riff, col progressivo cedono il passo ad un mondo popolato di ombre, forse meno urlato, ma più crudele: l’isola del sogno, l’isola che non c’è. Perché dico più crudele? Perché non si tratta dell’isola dell’onirico, territorio di sogni che vanno per conto proprio ed, a volte, hanno la pericolosa tendenza a trasformarsi in incubi, ma piuttosto del più volte esplorato abisso della fantasticheria, il festival del sogno ad occhi aperti, il pozzo dei desideri indesiderabili. E cosa può rinviarci più crudelmente al reale se non la consapevolezza del bisogno di creare un reale alternativo? Credo sia esperienza comune popolare i propri desideri di magici incontri, di incontri perfetti e simulare un universo parallelo nel quale un incontro non contenga, implicito, il progetto di un abbandono, perché, in fondo, è sempre di questo che abbiamo parlato...........

2minolli

mercoledì 9 marzo 2011

Yuval Avital A Milano dal 22 Marzo

In scena al Teatro Parenti dal 22 marzo il monologo di Vitaliano Trevisan con Alessandro Haber. ldeatore, compositore e regista della scenografia sonora, il direttore israeliano già noto in Italia per "Samaritani". Tre giorni per registrare la sua composizione "per un organico corale e strumentale di massa".


Tre giorni di prove e registrazioni, 93 coristi, una soprano, una trentina di fisarmonicisti, due bassi tuba, un clarinetto, un didgeridoo, una pietra sonora, quattro direttori. E, sopra tutto e tutti, lui: Yuval Avital, 33 anni, l’ideatore, compositore e regista della stupefacente scenografia sonora di un monologo che andrà in scena al Teatro Parenti dal 22 marzo prossimo : "Una notte in Tunisia", di Vitaliano Trevisan, con Alessandro Haber, per la regia di Andrèe Ruth Shammah. Nessun riferimento al celebre standard jazz, molti a Bettino Craxi e al suo esilio (o, se si preferisce, latitanza) in quel di Hammamet, Tunisia, appunto.

Ma che cosa può interessare a un trentatreenne originario di un Paese, Israele, che già ha i suoi bei problemi, di Bettino e della sua solitudine tunisina? Non molto. Infatti la scenografia sonora di Avital è del tutto indipendente dal testo teatrale e ha anche un diverso titolo: Mise en abîme (il riferimento è a una tecnica artistica nella quale un’immagine contiene una piccola copia di se stessa, ripetendo la sequenza apparentemente all’infinito). Moltissimo, invece, importa al giovane compositore conosciuto in Italia per Samaritani (opera andata in scena a settembre per MITO) di poter registrare la sua composizione «per un organico corale e strumentale di massa» con le strumentazioni più moderne e sofisticate messe a disposizione dalla Rai di Milano. Con, in più, un gruppo di importanti musicisti (uno su tutti Massimo Gorli, fra i massimi direttori d’orchestra europei) e una pletora di perfetti sconosciuti (i coristi), nella stragrande maggioranza digiuni di tecnica vocale se non palesemente stonati.

Questo è appunto ciò che è avvenuto nelle tre giornate dal 28 febbraio al 2 marzo nello studio 3 della Rai di corso Sempione, Milano, quello di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, per intenderci, dove tutto l’ensemble si è autorecluso per tre giorni, con il solo conforto di bottigliette d’acqua e macchinette del caffè, senza percepire un centesimo (i musicisti, alcuni dei quali venivano da lontano, solo un rimborso spese).

Un’esperienza da raccontare un domani ai nipoti. O almeno, oggi, agli amici più stretti. Un evento che ha incuriosito i dipendenti Rai che sbirciavano sconcertati quella torma di studenti, pensionati, disoccupati e liberi professionisti intenti a sussurrare, soffiare, ululare, fischiare e rarissimamente intonare qualche nota, secondo le indicazioni dei direttori di coro e dello stesso Avital. Il tutto al cospetto di un’entità ‘mitica’, la sonda Ambisonic, un mega microfono ideato e brevettato dal Centro di ricerche Rai di Torino in collaborazione con l’Università di Parma: in pratica un sofisticatissimo microfono in forma di sfera, dotato di 32 capsule in grado di captare con precisione millimetrica ogni suono emesso a 360 gradi.

Il risultato è una registrazione di 100 minuti dove l’abisso del titolo è il suono prodotto da voci e strumenti secondo una partitura (per le voci) del tutto inusuale: una sequenza di grafici colorati che invitano a riprodurre di volta in volta il «ricordo di uno stormo di uccelli», un «suono di mare», un «suono di vento», oltre a fonemi intercalati da parole, o frasi (dal senso non compiuto) sussurrate o gridate, per non parlare dei mantra da recitare con voce grave le donne, acuta i maschi, con risultati irresistibili.

Ma perché Avital ha scelto proprio questa forma espressiva? Perché coinvolgere tante persone comuni, digiune di quella musica contemporanea così ostica per orecchie non educate? «La mia è una scelta insieme etica e ideologica» spiega Avital. «Desideravo uscire dalla gabbia del pentagramma e riferirmi alla tradizione popolare europea ed extraeuropea. Volevo una gestualità e una sonorità libere da qualunque costrizione. Soprattutto, intendevo abbattere la barriera fra esecutore e spettatore e riunificarli in un’unica entità». Ecco la chiave: lo spettatore diventa esecutore, addirittura autore, comunque parte essenziale dell’opera. E, finalmente, la capisce. Quel ricordo di uno stormo d’uccelli è il suo. Il mare che sgorga dai soffi vocali è quello che sta nel suo cuore e nella sua memoria. E l’alba che infine sorge dopo l’abisso della notte, è la prima luce che illumina di speranza la sua vita.

martedì 8 marzo 2011

Patti Smith

La sacerdotessa della new wave

di Claudio Fabretti


Con la sua voce, dolente e febbrile, ha segnato la storia del rock.
 E ha ancora tanta "energia positiva" da regalare ai fan.
Viaggio nel mito di Patti Smith, sacerdotessa "maudit" del rock




Con la sua voce, rabbiosa, febbrile, dolente, Patti Smith ha incarnato una delle figure femminili più dirompenti della storia del rock. I suoi primi lavori, con la mente proiettata nella avanguardie free-form e nelle improvvisazoni jazz e i piedi ben piantati in un primitivismo rock'n'roll, hanno gettato le basi per la nascente new wave. E la sua figura, a metà tra una oscura sacerdotessa e una pasionaria politica, è emersa come una delle più carismatiche del rock al femminile (e non solo). "Non ho mai pensato di essere una politica - dice - ma ho sempre voluto comunicare qualcosa. Sono americana e amo i principi su cui si fonda il mio Paese. Abbiamo la libertà, ma sento di avere una grande responsabilità per questo verso il resto del mondo". Non era lei, d'altronde, a cantare "Sono un'artista americana e non ho colpe"? E sulla sua parabola artistico-politica, ha recentemente osservato: "Ho avuto il privilegio di crescere in un periodo di rivoluzione culturale. E la musica ne è stata una componente. Forse non sono stata altro che una pedina, ma sono contenta, comunque, di aver contribuito a cambiare qualcosa".

Patti Smith è sempre stata pervasa dallo spirito dei grandi maudit del rock, da Jim Morrison a Lou Reed, da Janis Joplin a Bob Dylan . Quasi surreale il primo incontro con quest'ultimo, in camerino, dopo un concerto all'Other End. "Ci sono poeti da queste parti?", chiede Dylan. "Non mi piace più la poesia, la poesia fa schifo", lo gela la Smith. Ma il giorno dopo la copertina del "Village Voice" li ritrae abbracciati. E da quel giorno Patti trova in Dylan un amico, oltre che un maestro. Oggi l'esile e ossuta cantautrice americana porta addosso i segni di una vita turbolenta. I suoi capelli corvini si sono imbiancati e incorniciano un viso sempre più spigoloso e vivo, ma meno spiritato di un tempo. Come se i due figli e il dolore per la perdita del marito Fred "Sonic" Smith e del miglior amico, il fotografo Robert Mapplethorpe, avessero lenito il suo fervore allucinato. Quel fervore che segnò il suo esordio nelle cantine di New York dove Patricia Lee Smith, originaria di Chicago ma cresciuta a Pitman (New Jersey), approdò nel 1967.

Era già ragazza madre e scriveva poesie. Viveva anche con cinque dollari al giorno, dormendo in metropolitana o sulle scale esterne degli edifici. Per anni si barcamenò come commessa in un negozio di libri, critica di una rivista musicale, drammaturga. Quindi riuscì a entrare nel giro dell'intellighenzia newyorkese, da Andy Warhol a Sam Shepard, da Lou Reed a Bob Dylan. "Da bambina - racconta - non pensavo di diventare una rockstar. Sognavo di essere una cantante d'opera. Piangevo ascoltando Maria Callas e volevo diventare come le. Ma ero troppo magra...". Eppure la malia del rock l'aveva già presa quando, ragazzina, ebbe la sua prima eccitazione sessuale vedendo uno show dei Rolling Stones.



La Grande Mela la stregherà per sempre, tanto da indurla a tornarvi di recente, dopo la lunga parentesi di Detroit seguita al ritiro dalle scene nel 1980. "New York mi affascina. Con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei parchi, nelle strade, e nessuno mi ha mai fatto del male. Vivere lì è come stare in una grande comunità". E a New York Patti Smith fa la sua prima apparizione in pubblico nel 1969 (nei panni di un uomo) nella commedia "Femme fatale". Poi, scrive testi per i Blue Oyster Cult del suo compagno Allen Lanier, ha una relazione con Tom Verlaine dei Television di cui si invaghisce follemente (il rapporto "a tre" con Lanier e Verlaine sarà descritto nel 1979 nel brano "We Three") e compone le musiche per le proprie recitazioni libere, una tradizione di New York che in lei trova un'interprete suggestiva, sostenuta dalle chitarre inquietanti di Lanny Kaye. Ed è nei templi underground newyorkesi, come Cbgb's e Other End, che Patti Smith spopola insieme ai futuri compagni di strada: Television, Talking Heads, Ramones, Blondie. Il suo primo singolo, "Hey Joe/ Piss factory", segna l'anno zero della new wave americana. Sarà Lou Reed in persona a metterla in contatto con Clive Davis, presidente dell'Arista, che diventerà la sua etichetta storica.

Agli albori del punk arriva così il primo album Horses (prodotto da John Cale) che le vale subito un'enorme fama nel circuito underground americano. E' il disco che porta nella storia del rock un nuovo linguaggio musicale: una sorta di commistione tra recitazione "free form" e musica, in cui il testo diventa il punto di partenza, ma mai un limite; anzi, è spesso il veicolo che permette ai brani di espandersi e dilatarsi costantemente. Apre "Gloria", cover dei Them di Van Morrison. Una poesia inedita viene incastonata nell’originale blues. La voce è bella e potente, ma al massimo ringhia. Il credo cristiano trova nella Smith una dissacrante interprete: "Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, non per i miei" e "I miei peccati sono solo miei: mi appartengono". "Redondo Beach" è invece un testo malinconico (si narra il suicidio di una ragazza), su un ritmo reggae, con il Group che si produce in delicati coretti. I nove minuti di "Birdland" scoprono le carte. Il testo viene improvvisato in studio sulla base di un racconto di Peter Reich: il bambino vede a bordo di una astronave il padre morto da tempo, e piange a lungo implorando di essere portato con via, ma non gli resta che coricarsi sull’erba. Canta solo la Smith, la chitarra solista resta rispettosamente da parte. "Free Money", frenetico boogie sul rapporto tra amore e denaro, è un'altra cavalcata sfibrante, con Kaye che macina chilometri di rock’n’roll, e la Smith che, con il suo canto febbrile e gutturale, non fa altro che confermarsi una delle migliori interpreti rock di sempre. "Kimberly" è una ballata tipicamente new wave, condita di ghignetti vari e frasi d'organo, con echi sparsi dei Velvet Underground . In "Break It Up" c’è e si sente ululare la chitarra di Tom Verlaine. Da apprezzare, sullo sfondo, il lavoro di Sohl. "Land" è ulteriormente divisa in tre: "Horses", un crescendo isterico per voce e sezione ritmica, "Land Of Thousand Ballads", puro rock sognante, e "La mer(de)" continuazione sussurrata a tratti. Per altri nove minuti un certo Johnny, preso in prestito da William Burroughs, viene prima ucciso brutalmente, poi vive strane avventure. In "Elegie" compare anche Allen Lanier alla chitarra, che importa un certo clima solenne e melodico.

Disco d'intensità sconvolgente, Horses è il meno elettrico dei lavori di Smith negli anni 70, ma anche il più convulso, originale e punk, nonché il più "avanti" per attitudine. Tra gli altri meriti, avrà anche quello di folgorare sulla strada del rock Michael Stipe, futuro leader degli Rem : "Avevo delle schifose cuffiette graffianti dei miei genitori e un cesto di ciliegie davanti a me. Rimasi tutta la notte ad ascoltarlo. Era come la prima volta che uno si tuffa nell'Oceano e viene travolto da un'onda. Mi fece a pezzi. Capii da allora che volevo diventare un cantante e devo molto a Patti anche come performer". Già, perché dal palco Patti Smith è sempre riuscita a magnetizzare il pubblico. "È capace di generare più intensità con un solo movimento della mano di quella che la maggior parte degli artisti rock saprebbero produrre nel corso di un intero concerto", scrisse Charles Shaar Murray su "New Musical Express". "Le sue performance sono una battaglia cosmica tra demoni e angeli", aggiunse John Rockwell sul "New York Times". Un altro critico le paragonò alle doglie e al parto.



I riferimenti prediletti della Smith sono i cantici di Allen Ginsberg, la recitazione jazz di Jack Kerouac, le liriche di Williams Burroughs. Ma il suo vero maestro maudit è Arthur Rimbaud, "il primo poeta punk". A lui è dedicato il secondo album, il vibrante Radio Ethiopia, perché l'Etiopia fu la seconda patria di Rimbaud. Se Horses era il suo disco più ruvido e dirompente, Radio Ethiopia è forse quello che amalgama al meglio le sue due anime, quella "punk", feroce e straziata, e quella più cupa e "solenne", che trova espressione in ballate d'intensità quasi liturgica. Due anime che spesso si rincorrono e si uniscono anche all'interno di uno stesso brano.
La chitarra di Lanny Kaye e la voce gutturale e lancinante della Smith marchiano a fuoco "Ask The Angels", un'ode (post?)punk che lascerà più di un'impronta su moltitudini di future new wave band. Il brano dimostra anche come, adifferenza di molti suoi discepoli, Patti sappia anche irretire l'ascoltatore con ritornelli contagiosi e immortali. "Redondo Beach", poi, si butta su sonorità quasi reggae. Quando Smith pigia sull'acceleratore, però, nascono boogie indiavolati, come "Pumping My Heart", o sarabande allucinate, dense di umori psichedelici, come la title track, immersa in un nugolo di distorsioni. Il genere di cantilena free-form lanciato nell'album d'esordio torna soprattutto nella cupa e struggente "Ain't It Strange", intonata in quel suo registro dannatamente oscuro e seducente, o nella più quieta e composta "Distant Fingers". Il climax "mistico" del disco, comunque, sono i quasi cinque minuti di "Pissing In A River": a dispetto del titolo, è un'elegia cupa e solenne, che si snoda su una bella apertura melodica, prima che entrino minacciosi e i cori e gli assoli di Kaye a sfregiarne i contorni.

La ballata "Because The Night" (scritta insieme a Bruce Springsteen ) è il singolo-trainante di Easter (1978), terzo centro consecutivo per la cantautrice di Chicago. Nonostante Patti l'abbia in seguito quasi rinnegata come "commerciale" (secondo i maligni, a causa del fatto che veniva identificato quasi solo come un brano di Sprigsteen), è invece una canzone possente e magnetica, che unisce al meglio vena melodica e fervore rock. Altra ballata commovente del disco è la mesmerica "Ghost Dance", incentrata sul dramma e sulla "resurrezione" dei nativi american: "We shall live again", canta la Smith su uno sfondo sonoro onirico e straniante. La produzione di Jimmy Jovine (in seguito al fianco dello stesso Springsteen e di Tom Petty) contribuisce a smussare alcune asprezze del suo sound, rendendolo più "musicale" e comunicativo, anche se, inevitabilmente, meno selvaggio. Esempio di questo nuovo corso sono due pezzi di quasi hard-rock classico, come "Till Victory" e "Space Monkey". Ma il tipico rock'n'roll anfetaminico della Smith torna a trionfare nella impetuosa cavalcata chitarristica di "Rock 'n' Roll Nigger". All'interno del disco, spiccano la foto di una bandiera americana (che desterà polemiche) e l'immagine da bambino di Arthur Rimbaud, eterno ispiratore dell'arte di Patti. Easter ha il solo torto di essere stato preceduto da altri due capolavori come Horses e Radio Ethiopia, giacché possiede intatte le stimmate di un talento fuori dal comune. Se qualche critico comincerà a storcere il naso, il pubblico, invece, tributerà un enorme consenso all'album, consacrando definitivamente la Smith come rockstar e non più (solo) autrice di culto.

Il trionfo viene bissato solo in parte un anno dopo con Wave, album leggermente inferiore, ma pur sempre forte della psichedelica "Dancing Barefoot" (ripresa anche dagli U2) e dell'intensa ballata di "Frederick", dedicata a Fred "Sonic", il marito della Smith, che morirà non molto tempo dopo. Suggestiva anche la cover al cardiopalmo di "So You Want To Be (A Rock 'n' Roll Star)" dei Byrds. In fase di produzione, l'album si avvale di un'altra vecchia volpe degli studios, il geniale cantautore Todd Rundgren.

Lo stile di Patti Smith ha segnato un solco profondo nella storia del rock. I suoi ululati da belva in gabbia, i suoi acuti dirompenti, i suoi lamenti da moribonda in preda agli ultimi spasmi hanno affondato definitivamente la tradizione del "bel canto", dei voli epici di una Grace Slick , aprendo la strada a una nuova interpretazione, ruvidamente "punk" del ruolo di cantante. Ma è proprio questa la sua forza, la forza di una sciamana selvaggia che riesce a elevare le parole oltre il linguaggio, grazie al potere visionario della musica. Il suo messaggio, in realtà, è stato spesso confuso. Ha dichiarato che i suoi tre poeti americani preferiti erano Jim Carroll, Bernadette Mayer e Mohammed Alì. Ha proclamato migliori performer di tutti i tempi Mick Jagger, Cristo e Hitler, per la loro capacità di trascinare le masse. Ha cercato conforto nel Cristianesimo post-Concilio Vaticano II (Papa Luciani, il suo preferito, appariva all'interno di Wave) e nel Buddhismo. Ha predicato a lungo il rock come "forma di comunicazione delle anime". E ha lanciato inni populisti, un po' demagogici, ma pur sempre efficaci, come "People Have The Power", l'hit-single estratto dal modesto Dream Of Life, con cui tornò sulle scene nel 1988.

Oggi Patti Smith prega per il Dalai Lama (all'invasione cinese in Tibet ha dedicato "1959", nel suo penultimo album Peace And Noise). Dice che la "crocefissione di Bill Clinton" per il caso Lewinski è stata la crocefissione della sua generazione, quella della liberazione sessuale. E ha scelto una filosofia positiva: "Da bambina ero così debole e malata che non pensavo di riuscire a vivere a lungo. Oggi la mia vita è buona, malgrado i dolori che ho dovuto superare. È stata una gran vita e sono ancora qui!".



La sua produzione degli anni Novanta, tuttavia, non ha più alcun legame con i suoi grandi capolavori del passato. E se Dream Of Life provava almeno con una ballata come "Paths That Cross" a risvegliare i fantasmi del passato, i successivi album sono stati quasi uniformemente all'insegna di un mesto declino, aggravato dalla pervicacia nel voler ripetere in eterno lo stesso canovaccio. Gone Again (1996) prova ancora a imbroccare una ballata doc con "My Madrigal", riuscendovi solo in parte, mentre quando sceglie le corde dell'hard-rock (la title track o "Summer Cannibals") affoga in una banalità imbarazzante. Quello che stupisce, semmai, è la rinnovata forma di Patti Smith come interprete, testimoniata anche da alcune sue brillanti performance dal vivo. Oltre alla già citata e convincente "1959" (che riesce a strappare anche una nomination ai Grammy), però, non resta molto da salvare neanche sul successivo Peace And Noise (1997): il tono elegiaco, accentuato dalla predilezione per le ballate pianistiche, non è più supportato dalla vena poetica degli anni d'oro, la scrittura è piatta e scialba, e gli oltre dieci minuti di "Memento Mori" sono una minaccia quasi più dello stesso titolo.

Nonostante i flop dei suoi ultimi dischi, Patti Smith non demorde e torna di prepotenza nel 2000 al grido di Gung Ho. "È una espressione cinese, che indica proprio la voglia di continuare a combattere con entusiasmo. È lo spirito dell'album: voglio chiudere questo secolo e affrontare il nuovo con un'energia positiva". Ma "Ho" è anche un omaggio a Ho Chi Minh; mentre il ricordo del padre, Grant Smith, è affidato alla foto di copertina, che lo ritrae soldato durante la Seconda guerra mondiale. "Gung Ho" viaggia nel solco di un rock classico. E vibra, a tratti, di echi degli anni d'oro, grazie anche alle chitarre virtuose di Tom Verlaine (ex-leader dei Television) e Lenny Kaye (colonna storica del Patti Smith Group). "One Voice" (in memoria di Madre Teresa), la struggente "China Bird" e "Glitter In Their eyes" (con Michael Stipe al controcanto) i pezzi più suggestivi di un disco che comunque non resterà certo tra i lasciti più memorabili della poetessa del rock.

Arrivata alla veneranda età di 56 anni, Patti Smith pubblica anche la sua prima raccolta di successi, una antologia di tracce, inediti, classici del suo repertorio, demo, pezzi live e altre rarità, ribattezzata Land - 1975-2002 . Un’opera ad ampio respiro, che raccoglie brani ormai leggendari del repertorio della "sacerdotessa del rock", da "Gloria" a "Ghost Dance", da "Pissing in a river" a "Dancing Barefoot", da "Ask the angels" a "Because the night", per approdare fino ai successi più recenti: "People have the power", "1959" e "Glitter In Their Eyes". Chiude il primo cd l'inedita cover di "When Doves Cry" di Prince.

La pasionaria di Chicago, però, è testarda e non vuole proprio fare i conti con l'età e con la fine di un'epoca, di cui è stata indubbia protagonista. Le undici tracce di Trampin' (2004), debutto per la nuova etichetta Sony/Columbia, scorrono via senza lasciare segni, come un'innocua selezione di Adult Oriented Rock trasmessa da una qualsiasi stazione Fm americana. Il fido chitarrista Lenny Kaye e il batterista Jay Dee Daugherty, più Tony Shanahan al basso e alle tastiere e Oliver Ray sempre alla chitarra, formano senz'altro una line-up di qualità, cui si aggiunge un accurato lavoro in sala di registrazione. Musica ben suonata e ben prodotta, dunque. Ma senza sussulti. I momenti più godibili sono forse quelli in cui la signora Smith tenta di rinverdire le radici più pure del rock seventies: l'iniziale "Jubilee", anthem politico in cui la celebrazione del Giubileo diventa sinonimo di ricordo e protesta al contempo, la ballatona di "Mother Rose", rievocazione dell'adolescenza al suono di un nostalgico hammond, il country ombroso di "My Blakean Year", il quasi hard-rock di "Stride Of The Mind", con un riff ossessivo di zeppeliniana memoria che s'insinua tra farfisa e armonica. E a voler essere un po' sentimentali ci si può anche lasciar emozionare dal duetto di Patti con la figlia Jesse Paris Smith, che l'accompagna al pianoforte nella title track "Trampin'", un sommesso spiritual reso famoso dalla contralto americana Marian Anderson.

Ma troppe ballate folk ("Peaceable Kingdom", "Cartwheels", "Trespasses") rischiano di appesantire le palpebre dell'ascoltatore, troppe parti spoken sfociano in logorrea (l'ode accorata di "Gandhi") o affogano nel mare della retorica (i 12 minuti di "Radio Baghdad"). Ascoltando Trampin', sembra quasi di vedere un'ex sibilla che ipnotizzava le folle con le sue profezie in trance voler tentare di riproporre l'esperimento quando la trance è finita e tutti sono andati via.

Il 12 marzo 2007 Patti Smith è stata annoverata tra le celebrità della Rock and Roll Hall of Fame, mentre nel mese successivo ha pubblicato il nuovo album di cover, dal titolo Twelve, in cui si è riappropriata di 12 leggendarie canzoni tratte da repertori di mostri sacri quali Jimi Hendrix, Nirvana, Rolling Stones, Jefferson Airplane, Bob Dylan, Neil Young e Stevie Wonder. Si tratta comunque di un episodio trascurabile nella sua discografia, che soffre ormai da diversi anni la mancanza di un nuovo gioiello.

Nel 2008 Patti Smith torna a far parlare di sé in veste di "lettrice" dei propri versi. Merito di The Coral Sea, sensibile requiem postumo per l'amico, Robert Mapplethorpe. Straziante opera di rimpianto e nostalgia, nel solco della grande poesia americana post-beat generation, questo lungo poema scritto dalla Smith è diventato nel 2005 una performance, rappresentata dalla cantautrice americana assieme a Kevin Shields dei My Bloody Valentine, che ha musicato con chitarra e tastiere la lettura del testo. Il doppio cd raccoglie queste performance in due edizioni, la prima del 2005 e la seconda l’anno successivo, alla Queen Elizabeth Hall di Londra, ottenendo cinque stelle dal prestigioso critico del "The Guardian", che definì le esibizioni dei due "magical".
The Coral Sea descrive gli ultimi giorni di sofferenza della malattia di Mapplethorpe con visioni, urla, confessioni, riflessioni escatologiche recitate, rivissute sopra oceani di layer sonori con i quali vengono raggiunti singolari climax emotivi sui quali la voce sembra navigare a vela, in simbiosi con venti e marosi.

Contributi di Massimo Marchini ("The Coral Sea")

Da: Ondarock.it

mercoledì 2 marzo 2011

...E Ho Trovato Cristina




Ammetto che non la conoscevo, ma la dichiarazione d'amore di Stefania Sandrelli (e nella dichiarazione d'amore includo girare un film con la propria figlia nel ruolo di Cristina) mi ha incuriosito, così ho cercato notizie...

Christine de Pizan (o Pisan), o Cristiana di Tommaso da Pizzano, o Cristina da Pizzano, nasce a Venezia nel 1365.
Il padre, medico e astrologo, già Accademico presso l'Università di Bologna, e medico della Serenissima, viene chiamato alla corte francese di Carlo V nel 1368.
Cristiana o Cristina diventa Christine.
Sposa, a soli 15 anni, il giovane segretario del Re.
A 25 anni è vedova.

Christine Insegnante del Figlio Jean


Così, nel 1390, incomincia una nuova, faticosa, e, per l'epoca, straordinaria nuova fase della sua vita.
E' un capofamiglia. Ha la responsabilità di tre figli, della madre, vedova, povera e sola... Ha inizio la sua dignitosa lotta con creditori senza scrupoli, magistrati corrotti, debitori sprezzanti. Certo, si accorge presto che quella situazione non è una congiura ai suoi danni ma la normale condizione di una donna senza la protezione di un marito o di un amante ricco ed influente.

Ha un progetto. Folle, dati i tempi: mantenere se stessa e la sua famiglia con la propria produzione letteraria.
Dovrà combattere contro gli Accademici, chiusi nella loro egoistica grettezza. Solo la brillantezza del suo ingegno ed una certa audace originalità quanto agli argomenti trattati le guadagneranno la stima dei più ed il perenne ricordo nella cultura nord-europea, che la eleggerà antesignana di un moderato, intelligente femminismo.

"....Negli anni dal 1399 al 1403, Christine inizia a comporre l'immane corpus di poesie per cui diviene celebre (lavoro che dura fino al 1415)."

Compone cento ballate in due anni. (Cent balades d'Amant et de Dame)

Con ogni probabilità, nei primi tempi lavora pure come copista e addirittura dirige uno scriptorium di maestri miniatori se è vero che al  Louvre, alla presenza di Filippo di Borgogna, si reca assieme ai suoi aiutanti (avec mes gens).”

Una Lezione di Christine 


In quegli anni, alla Corte di Francia, un gruppo di gentiluomini, di “belle menti”, tentava di far rivivere l'Amor Cortese.
Il giorno di san Valentino del 1400, inaugurarono un'associazione letteraria, “La Corte Amorosa”, con l'intento di ridare la giusta dignità alla figura femminile.
Christine ne fu un importante membro .

La straordinaria metamorfosi da donna a uomo, descritta nel  Livre de la Mutacion de Fortune, composto tra il 1400 e il 1403, viene a simbolizzare, per Pizan, tanto una maggior assunzione di responsabilità quanto il cambiamento che genera la sua vocazione di scrittrice, comunque ancora mestiere da uomo. Pressante e angoscioso rimane infatti in lei il problema della difesa delle donne e l'intento di stabilirne l'autorità attraverso la riscrittura della tradizione.”

Partecipò in prima fila alle fiere polemiche, al battesimo del fuoco del nuovo movimento.
I primi bersagli furono il “Roman de la Rose” e “La Belle Dame sans Merci”.

“...con l'Epistres du Débat sur le "Roman de la Rose" e il  Dit de la Rose essa partecipa pubblicamente alla querelle sul Romanzo della Rosa, accusando con parole di fuoco la triviale tracotanza di Jean Chopinel de Meung-sur-Loire, prete e scrittore misogino, continuatore, attorno al 1270, dell'incompiuto racconto d'amore di Guillaume de Lorris.

Si sono conservate le testimonianze della sua militanza in questa disputa che andava oltre la semplice critica letteraria.
La sua vena polemica si appunterà sempre in modo particolarmente vibrante contro quegli uomini che sono stati allevati ed hanno studiato nei monasteri e nei conventi : i chierici. Alla loro intransigente misoginia opporrà ragionevolezza e logica, alle parole dei Padri della Chiesa opporrà le parole del Nuovo Testamento.
All' identificazione della Donna con la Tentazione (Eva) ed il Peccato, risponderà con la figura della Vergine Maria, ricordando che mai, nei Vangeli, si testimonia che una delle Pie Donne abbia tradito o abbandonato il Cristo.

Intanto, la sua produzione letteraria, brillante e versatile si fa monumentale in pochissimo tempo.

"Le sue creazioni riscuotono notevole successo, così da procurarle illustri committenti: solo nella famiglia reale i fratelli di Carlo V, Jean duca di Berry e il duca Filippo di Borgogna ; la regina Isabella di Baviera, cui Pizan dedica il lussuoso manoscritto miniato di tutte le sue opere (attualmente noto come Harley 4431 e conservato nella British Library); Luigi duca d'Orléans e sua moglie Valentina Visconti.


Christine e la Regina Isabella

Christine è ormai una professionista della scrittura: si fa ritrarre nella solitudine del suo studio, intenta a leggere o calligrafare un testo; cura personalmente la capillare diffusione dei suoi libri; compie ogni sforzo per conquistarsi una salda e durevole fama.
Nel 1404 scrive in prosa il  Livre des Fais et Bonnes Meurs du Sage Roy Charles V, attuando in esso il passaggio dalla biografia alla storiografia a dimostrazione di come memoria, fama, historia siano sempre congiuntamente intrecciate.
Si giunge così al  Livre de la Cité des Dames, fondamentale per la strategia pizaniana di valorizzazione del femminile, congiuntamente al suo corollario, il Livre des Trois Vertus sorta di vademecum della perfetta moglie medievale dedicato alla delfina, Margherita di Borgogna duchessa di Guyenne.


Christine Offre il suo Libro a Margherita di Borgogna


Scritto nell'inverno 1404-1405 e illustrato da Anastasia, la più accreditata miniaturista di Parigi, a confutazione sia del malevolo Liber Lamentationum Matheoli (XIII secolo) sia del boccacciano De Mulieribus Claris, il provocatorio Livre de la Cité consente a Christine, assistita da Ragione, Rettitudine e Giustizia, di progettare la grandiosa costruzione allegorica di una Città fortificata in difesa delle virtuose oltraggiate. La Città è il Libro e il Libro è la Città: opere entrambe perfette e insostituibili.
Subito prima della disfatta di Azincourt, nel 1415, Pizan scrive le Lamentations sur le maux de la guerre civile; nel 1418, l'Epistre de la Prison de vie humaine, dedicata alle francesi orribilmente provate dalle violenze della guerra.


Si ritira quindi presso sua figlia monaca, nel convento delle Domenicane di Poissy, dove, probabilmente nel 1425 morto in esilio il figlio Jean scrive un'opera sulla maternità crocefissa di Maria: Heures de contemplacion sur la Passion de notre Seigneur.


Nel 1429, all'indomani della liberazione di Orléans, la fecondissima scrittrice compone il  Ditié de Jehánne d'Arc, poemetto in 67 strofe di versi sciolti dedicato alla gloriosa pulzella, suo estremo impegno poetico a celebrazione dell'eroismo femminile.

Christine tace nel 1431, quando la Santa guerriera viene condotta al rogo: con ogni probabilità è già morta."


Traduzioni italiane

La Città delle Dame, a cura di P. Caraffi. Edizione di E. J. Richards, Milano-Trento, Luni Editrice, 1998

R. Pernoud, Storia di una scrittrice medievale: Cristina da Pizzano, edit. di L. Cocito, trad. di A. Tombolini, Milano, Jaca Book, 1996

L. Lanza, Frustoli di scrittura. Tra paganesimo e misticismo. Postfazione di M. Ferrari, Venezia, Supernova, 2002, 11-26


"La parola asciutta e la forza delle sue righe creano pagine nuove nella letteratura medievale, impregnata di misoginia e di pregiudizi. Christine, nelle sue opere, minaccia questa tradizione con una penna vellutata e sapiente, consapevole di tutto il suo valore artistico e femminile. Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1390 a causa di un'epidemia, e a seguito del declino del favore di cui godeva la sua famiglia a corte, l'autrice esprimerà tutta la sua creatività nella Città delle Dame, ideando una vera e proria città al femminile. L'opera partecipa alla querelle des femmes su vari livelli: da un lato rappresenta una feroce critica ai volgari pregiudizi di Ovidio, dall'altra agisce in modo più sottile rielaborando e riscrivendo fonti tradizionali quali il De Mulieribus Claris boccacciano. In quest'opera l'autrice fa vivere donne sagge, eroiche, malvage, forti e deboli di tutta la tradizione letteraria e mitica, da Didone a Medea, da Diana a Santa Marina vergine, intessendo così una narrazione acrobata dove traspare tutto il suo orgoglio di donna e letterata. Grazie all'espediente narrativo dell'Io Narratore, Christine si fa la prima donna che utilizza la scrittura come mezzo da scagliare contro un patrimonio misogino, un mezzo non solo artistico ma anche eversivo che restituisce alla creatività femminile tutto il suo valore."

Lanza Letizia

Da:
http://www.caritas-ticino.org/

http://www.arabafelice.it/

"El Camino del Largo y de Arte de la Construccìon-Cristina de Pizàn "

http://www.geocities.com/



Mab's Copyright

Cristina da Pizzano e Stefania Sandrelli

Nell'estate del 2009, ho pescato questa intervista di Stefania Sandrelli , rilasciata in occasione della imminente uscita del suo primo film. Eccola:

Sandrelli:"Una Poetessa per Fare il mio Primo Film"





Roma - Non aveva l'ambizione di diventare regista, ma si è innamorata di Cristina da Pizzano da quando sulla copertina di un libro ha visto la sua figurina lieve concentrata nella scrittura e la necessità di raccontarla ha cancellato ogni esitazione: Stefania Sandrelli sta ultimando l'edizione di Christine, la sua opera prima, prodotta da Cinema11undici e Diva. "È un piccolo film italiano, girato quasi tutto a Cinecittà. A me sembra armonico, divertente, un po' buffo, mi sta simpatico. Sono felice di averlo fatto. Ci sono voluti quasi cinque anni, ma la mia scommessa è vinta", dice.

Una bella scommessa esordire con una storia ambientata nel Medioevo....
"Ma non c'è l'oleografia cupa dell'epoca, racconto un Medioevo più femminile. Si vede un po' di soldataglia e la miseria dell'epoca, ma il film è la storia di una donna che passa dalle stelle alle stalle. Era nata a Venezia nel 1364 e poco dopo si era trasferita a Parigi con suo padre, astronomo famoso, chiamato a corte da Carlo V. Io la racconto dal 1380, quando, morto il re, dovette abbandonare la corte e si ritrovò sola con due figli, il marito era morto in guerra, senza mezzi. Non si perse d'animo e, dopo aver scoperto di avere un grande talento per la poesia, ebbe il coraggio di entrare in un mondo come quello della letteratura, da cui all'epoca le donne erano escluse".
Una femminista ante litteram?
"Anche, ho avuto la curiosità di cercare da dove veniamo. Però per evitare speculazioni intellettualistiche sul femminismo l'abbiamo raccontata come una favola già nella sceneggiatura, che ho scritto con Giacomo Scarpelli e Marco Tiberi, con l'aiuto prezioso di Furio Scarpelli".
Che cosa del personaggio l'ha più colpita?
"La sua dignità, la capacità di vivere con grazia le vicissitudini della vita, il coraggio di sfidare le convenzioni anche nei temi che trattava, le sue poesie non avevano nulla degli artifici accademici dell'epoca, lei parlava di sentimenti, di persone. L'ho sentita sempre molto vicina".
Con una figlia fuori dal matrimonio anche lei negli anni Sessanta sfidò le convenzioni.
"Mi sono identificata, ma io non ho pensato di essere trasgressiva, ogni scelta che ho fatto mi sembrava naturale. È stato un appuntamento naturale anche la scelta di Amanda per il personaggio di Cristina. È una brava attrice, perché no? Poi non so quante altre avrebbero accettato quelle due treccette mortificanti sulla testa per tutto il film e quasi senza trucco. Gino Paoli è stato molto contento, mi aveva anche proposto di fare le musiche magari senza firmare, ma non volevo esagerare con le cose in famiglia".



                                                                         
Le difficoltà sul set?
"Pochissime. Per farmi perdonare l'esordio alla mia tenera età prima ho cercato l'approvazione degli amici, Scola in particolare, poi mi sono circondata di collaboratori di alto livello ai quali mi sono affidata. Nanà Cecchi ha fatto un ottimo lavoro per i costumi e Marco Dentici è stato bravissimo a riadattare scenografie di Cinecittà, soprattutto quelle di "San Francesco". Sul set c'era un clima bello, dal primo giorno ho detto "aiutatemi a finire il film e non prendiamoci troppo sul serio". 
Chi sono gli altri personaggi?
"Cristina ha avuto il sostegno di due uomini, Charleton e Gerson. Charleton, Alessandro Haber, era un cantastorie da osteria un po' boccaccesco, spesso insultato dal pubblico, che strimpellava sul liuto versi critici contro il potere, una specie di Vauro del tempo. Alessio Boni è Gerson, che aiutò Cristina a trovare una casa e a partecipare ad una sfida letteraria con gli accademici. Nel rapporto con i figli e con gli uomini, pur senza tradire lo spirito di Cristina, l'ho un po' adattata a me, ho messo del mio, delle mia esperienza con le persone che mi hanno sostenuto nella mia carriera".




Con Gerson fu una storia d'amore?
"Direi una dolce amicizia, si scrissero per tutta la vita, anche quando Cristina, da laica, si era ritirata nel convento di Poissy da sua figlia suora. Gerson era un arcidiacono, un uomo di chiesa, bibliotecario a Notre Dame: sarebbe stato un amore impossibile. Io li ho avvicinati al massimo, quasi fino al bacio, mi sarebbe piaciuto andare oltre, ma avrei tradito lo spirito del tempo".





L'immagine di una persona che scrive non è molto cinematografica. Come racconta Cristina poetessa?
"Abbiamo inventato un linguaggio musicale, le poesie nascono nei dialoghi, vengono dette da Charleton, vediamo anche lei che legge o scrive, ma intanto intorno succede sempre qualcosa. Cristina ha scritto di cose insolite per l'epoca, come La Ballata delle Vedove, La Città delle Dame, La Mutazione della Fortuna, perfino Il Libro della Pace, decisamente controcorrente in un'epoca devastata dalle guerre. Tra le ultime opere c'è anche Il Dettato di Giovanna d'Arco".
Ripeterà l'esperienza della regia?
"No, non credo. Mi sono divertita tanto a lavorare con gli attori, mi ha interessato la scrittura, le riprese, il montaggio, tutto è stato bellissimo, ma faticoso. È molto più facile fare l'attrice, vai sul set, tutti ti coccolano, cerchi di fare al meglio la tua parte e oltre quella non hai altre responsabilità. Dovrei innamorarmi fortemente di un altro personaggio, ma credo sia impossibile incontrare un'altra Cristina".

 Cristina-Christine

di Maria Pia Fusco

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