giovedì 22 settembre 2016

Suits: le Poracciate Non le Fanno Solo i Soliti Italiani

E poi dicono gli Italiani...
Come ho già scritto Qui, la produzione in evidente economia di "Suits": si gira a Toronto, ma, in teoria, siamo a New York; il cast di sconosciuti, non emergenti ma affondanti, dato il livello medio dell'età; assenza di location esterne; regia e produzione condivise con due dei suddetti perfetti sconosciuti, ecc., ecc. Tenendo sempre presente il fattore ristrettezze, passiamo ad una delle più bieche forme di nepotismo seriale mai viste.
Ho già detto che Donna e Harvey sono vecchi compari, e credevo che lui avesse timidamente - dati i non eccelsi trascorsi professionali dell'amica (l'imperdibile comparsata in "Bones" in cui non ha dovuto neanche cambiare trucco e pettinatura per impersonare la volgare e grottesca rappresentante dell'agenzia immobiliare) - proposto il di lei nome, ma no! Leggo su www.serialcrush.com che Harvey l'avrebbe imposta, e che, addirittura, il suo personaggio non era neanche previsto! E, poiché, le ciofeche sono come le ciliegie, Donna si è portata dietro anche l'Olivier nero, Jeff Malone, lo stallone di GiAssica. Anche lui suo carISSIMO amico e compagnuccio di scuola.
Del padre di Gabriel Macht-Harvey ho già parlato. Speriamo che la ruffianata sia chiusa qui.
Avevo dimenticato la fidanzata di Mike, Troian Bellisario, che interpreta un suo remoto flirt (e alla quale spero non venga mai in mente di fare una capatina in Italia con quel nome!), nonché la moglie di Macht, Jacinda, che ha interpretato una quasi-storia del suddetto. Aaaah, e il fratello minore di Macht, noto musicista (ehm) va a farsi un po' di pubblicità gratis sul set.
Ora, il nepotismo è odioso ad ogni latitudine, ma, a volte, soprattutto quando si ha necessariamente il braccino corto, può e deve (o dovrebbe avere) un suo perché... Esempio. Fra i pochi attori conosciuti, Eric Roberts, che ha interpretato il ruolo di un arrogante e spregiudicato miliardario nemico giurato di Harvey.
Ora, se il fratello sfigato avesse convinto la ben più famosa sorella Julia (in calo da anni) a fare un'opera buona e a partecipare ad un paio di episodi al minimo sindacale, il tutto avrebbe avuto un senso, ma qui siamo nel delirio. Sconosciuti sfigati che assoldano disinvoltamente, parenti, fidanzati, amici, compagni di scuola ancòra più disperati di loro.... E i fan trepidanti che si chiedono se i quarantacinquenni del cuore infine si sposeranno ... Ma dico, dopo aver imposto la comare nel serial, addirittura creando un personaggio ad hoc, vogliamo credere nel ribaltone finale di una banalissima quanto del tutto inverosimile love story già scritta? E' che gli sfUnZ amano soffrire stringendosi l'uno all'altro per inventarsi un goccio di adrenalina.
Chicca finale: uno dei motivi del contendere tra il miliardario cattivo (Eric Roberts) e Harvey è una Aston Martin del '63 che Harvey ha soffiato al riccone.
Tanto per dare l'idea del lusso sfrenato al cartongesso.




Tipico della cialtronaggine della produzione: in una movimentata serata per la storia della serie, Harvey ritorna al galoppo allo studio cavalcando l'Aston Martin. Lo fanno credere, se ne è appena parlato! In realtà, viene inquadrata la nuca di Harvey, la chioma laccatissima di Harvey, il braccio di Harvey, il tutto a 25 cm dal suolo (per gli Americani, se un'auto non è una casa-mobile su 4 ruote deve essere necessariamente una scomodissima ma lussuosa e lussuriosa auto europea!), ma dell'Aston Martin manco un cartonato!
A presto con il post su Donna.

Mab's Copyright

lunedì 19 settembre 2016

Suits: Ode a GiAssica e alla sue Cavalcate per lo Studio

GiAssica (Jessica Pearson), ovvero Gina Torres, lascia temporaneamente (che ve lo dico a fare?) "Suits" a metà della sesta stagione. Incolmabile vuoto, luttuosa perdita.  Come ho già avuto occasione di dire, trattasi di una serie a tratti piacevole, se non fosse costellata di occasioni mancate e di furbate. Una delle furbate è quella di essere una serie a basso budget che viene girata a Toronto fingendo di essere a New York, e che, per gettare fumo negli occhi, patina anche le suole delle scarpe dei protagonisti, protagonisti sconosciuti ai più, e, che, al massimo, hanno partecipato come comparse parlanti a serie chiuse dopo una stagione, o a lontane serie giovanilistiche, o a .... Xena- Principessa Guerriera ed Hercules come la nostra inestimabile quasi cinquantenne Gina Torres. Vabbé, il passato non conta. Ci sono attori, tutta la vita nell'ombra, che sono esplosi artisticamente da attempati. No, non è questo il caso. Nel senso che Gina Torres non è esplosa. Dovrebbe interpretare il socio fondatore e dirigente di uno degli studi legali più prestigiosi di New York. Una donna tosta, acuta, energica, che ha sacrificato la propria vita privata al lavoro, e che, oltre a dirigere lo studio con polso fermissimo, dovrebbe difenderne l'etica, oltre che i profitti, e l'armonia interna. Ma quando? Per cinque lunghissime stagioni, non la si vede mai con una fagottata di scartoffie sul tavolo, mai in un tribunale, mai scarmigliata, in pullover nero e ballerine, che fa nottata sulle carte di una transazione finanziaria, mai che si faccia un mazzo così per intervenire dove gli altri dello studio falliscono. Lei sfila e sculetta battendo ritmicamente il tacco 12, accompagnata o scortata dal pupillo-lecchino Harvey, con il quale intrattiene interessanti dialoghi sullo stato degli affari riflettendosi nelle interminabili e claustrofobiche vetrate degli uffici. Harvey si controlla la cravatta, lei se il didietro è strizzato a sufficienza negli improbabili "abitini" da avvocato e capo di uno studio. E fin qui, non è colpa sua: la disegnano così! Voglio dire, gli sceneggiatori non si sono sprecati affatto nel delineare il suo personaggio, nel cercare di renderlo verosimile. Oltre ad essere chiaramente lavativa, è arrogante e cafona q.b. - il che non è MAI sinonimo di "carattere" - ingiusta, parziale, doppiopesista, doppiogiochista, radicalmente ipocrita e sostanzialmente inutile. Più che agevolare l'armonia tra soci ed associati, passa il tempo a sfilare vestita come una escort o, forse, come una maitresse - data l'età - facendo ticchettanti blitz nello studio (rigorosamente privo di libri, fascicoli, cartelle, ecc) dell'uno e dell'altro per coccolarsi il suo bambino virtuale o tirargli teneramente le orecchie, e disprezzare, manipolare, per*ulare il socio più produttivo dello studio ma sfigato, senza mancare di dardeggiare occhiate contro tutto il materiale umano che le fa schifo. Oppure, convoca l'imputato di turno, spaparanzata sul divano in pelle umana, bicchiere in mano (guai a fumare una sigaretta, ma la cirrosi, la pancreatite e il cancro al fegato vanno benissimo!), il vestitino tirato sulle cosciazze, tutta spalla o schiena nuda, fra drappeggi e volant. Credibilissima. In cinque stagioni, si è infilata sì e no un paio di volte in un tailleurino femminile ma decente. E qui incominciano le sue responsabilità, perché persino nella catena di montaggio delle serie televisive, un'attrice protagonista può e deve pretendere di non ridicolizzare il proprio personaggio. Una attrice - se è brava - può risollevare le sorti persino di un personaggio pessimo, senza sfumature, spessore e qualità di scrittura. Ma questa non è manco un'attrice. L'infinita gamma delle sue espressioni:




Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso:

1) GiAssica inca**ata.
2) GiAssica preoccupata
3) GiAssica pensierosa
4) GiAssica  combattuta interiormente (ehm!)





GiAssica  che dirime un caso spinoso indossando le prime quattro robe trovate nell'armadio: il vestitino sfoggiato al matrimonio cafonal della nipote una settimana prima.




Sempre in bianco e rosa (tipici colori da virginale cinquantenne), con plissettature, svolazzi e volant - per restare sul sobrio - in una tipica mattinata di duro lavoro nello studio di Harvey.
p.s.
Non vi allarmate. Quei "cosi" alle sue spalle non sono ponderosi libri di giurisprudenza, ma la collezione di vinili di Harvey.





Ed ecco la nostra GiAssica  finalmente in un tailleur tipicamente da udienze o patteggiamenti mattutini. Giulia Bongiorno - mi dicono - ne ha uno uguale.
Da notare l'espressione "nuova" e intensa.





Qui ci ha ripensato. La spalla di fuori è più professionale. Ennesima sfaccettatura espressiva.

Poi, ho pensato: a parte il fatto che la produzione stringe la cinghia e si devono accontentare di una comparsa di Xena, non è che siamo, invece, nel politicamente corretto, nella quota minoranze etniche? Il dubbio si rafforza quando si affaccia il manzone afro, in vestiti translucidi e pagnottoni dei bicipiti che spaccano le cuciture sprizzando giurisprudenza da tutti i pori. Naturalmente, è giunta l'ora dell'accoppiamento di GiAssica. Non vi dico l'eletrizzante empatia che trasmettono con la loro intensa storia d'amore. Le espressioni di GiAssica  scatenano un vortice di emozioni. Le dinamiche sono in misto del trattamento riservato al socio coccodizia e allo sfigato, più occasionali seratine. Manca la cravatta appesa alla maniglia, ma hanno provveduto con una finezza... Un paio di dvd che segnalano maliziosamente l'imminente accoppiamento.

Ma se fossimo in piena quota minoranze, perché non prendere, allora - un nome a caso - Jennifer Beals? Le mangia in testa a GiAssica. Più grande di qualche anno, sembra la sorellina minore di GiAssica  e Donna, è molto più bella, molto meno spianata e stirata, molto più brava, molto più affascinante. l'ho appena rivista in Lie to Me, guarda il caso nei panni di un procuratore legale ed era splendida.








Dai, su, una raspatina al capello, e il cambio non è neanche da discutere. Ma è bravina, e la novità sconvolgerebbe il set.
Intanto, anche se durerà troppo poco, mi godo la dipartita della cavallona su tacco 12 e zero tituli....

Mab's Copyright

Emmy Awards 2016

Personalmente, esulto per l'ennesimo riconoscimento a Maggie Smith e a Sherlock: l'Abominevole Sposa. Mi accontento di poco. Ho qualche rimpianto, ma Game of Thrones è un gigante cannibale che fagocita la qualsiasi...
Incazzata nera per le mancate candidature a "Penny Dreadful". Per dure.

Dall'articolo di Diego Castelli su serialminds.com:

MIGLIOR DRAMA

The Americans
Better Call Saul
Downton Abbey
Game of Thrones 
Homeland
House of Cards
Mr. Robot

Per quanto Game of Thrones, come tutti i fenomeni culturali di massa, abbia tanti estimatori quanto detrattori, è difficile negare che al momento sia la cosa televisiva più vicina al cinema (nel senso più ampio e nobile del termine) che i nostri piccoli schermi possano ricevere. La sua vittoria in questo senso era scontata, non fa notizia, specie visto che rispetto all’anno scorso non c’era nemmeno la concorrenza di un altro fenomeno al tramonto come Mad Men (e vinse comunque GoT). Onestamente non so quali altri dei candidati potessero sperare di vincere.

MIGLIOR COMEDY

Black-ish
Master of None
Modern Family
Silicon Valley
Transparent
Unbreakable Kimmy Schmidt
Veep 

Noi speravmo nella vittoria di Master Of None, ma Veep è una corazzata inossidabile che già aveva vinto l’anno scorso e che pare non conoscere ostacoli. Peraltro non le puoi nemmeno dire granché povera bestia.

ATTORE PROTAGONISTA IN UN DRAMA

Kyle Chandler, Bloodline
Rami Malek, Mr. Robot
Bob Odenkirk, Better Call
Saul Matthew Rhys, The Americans
Liev Schreiber, Ray Donovan
Kevin Spacey, House of Cards

A luglio, commentando le nomination e parlando del possibile Emmy a Rami Malek, dissi “dateglielo e basta”. E così è stato, non certo su mio suggerimento (per quanto mi piacerebbe) ma semplicemente perché il buon Malek se lo merita alla grande, e vederlo perdere l’anno scorso mentre vinceva Christian Slater nella stessa serie aveva fatto un po’ male al cuore. Ora tutto è sistemato.





ATTRICE PROTAGONISTA IN UN DRAMA
Claire Danes, Homeland
Viola Davis, How to Get Away with Murder
Taraji P. Henson, Empire
Tatiana Maslany, Orphan Black
Keri Russell, The Americans
Robin Wright, House of Cards

Eccolo qui l’altro sassolino (sassolone) che ci siamo tolti dalle scarpe. L’anno scorso vinse Viola Davis senza alcun motivo valido, se non forse un trattamento di favore per le minoranze, del tutto ipocrita. Questa volta finalmente si torna ai veri valori: Tatiana Maslany recita in una serie in cui interpreta una decina di personaggi e paradossalmente sembra quasi che Orphan Black le stia stretta, che sceneggiatura e regia non siano all’altezza di quello che la sua protagonista può dare. Emmy meritato e pure tardivo.




ATTORE NON PROTAGONISTA IN UN DRAMA

Jonathan Banks, Better Call Saul
Peter Dinklage, Game of Thrones
Michael Kelly, House of Cards
Kit Harington, Game of Thrones
Ben Mendelsohn, Bloodline
Jon Voight, Ray Donovan

Qui a Serial Minds Bloodline l’abbiamo proprio persa di vista (non si riesce a vedere tutto…) quindi non mi sento di fare chissà che commento pro o contro. Mi sarebbe piaciuto veder vincere Jon Voight, ma amen, quello è già una leggenda di Hollywood, emmy più, emmy meno non è che cambia tanto… 


ATTRICE NON PROTAGONISTA IN UN DRAMA

Emilia Clarke, Game of Thrones
Lena Headey, Game of Thrones
Maggie Smith, Downton Abbey
Maura Tierney, The Affair
Maisie Williams, Game of Thrones
Constance Zimmer, UnREAL

Fa uno strano effetto vedere vincere Downton Abbey, che sembra essere finita una vita fa. Eppure, complice le date della messa in onda americana (noi di solito tenevamo d’occhio quella inglese), è potuta rientrare in gara ancora una volta, garantendo il terzo emmy a Maggie Smith. A cui non puoi dire nulla a prescindere.


MINISERIE

American Crime
Fargo
The Night Manager
The People v. O.J. Simpson: American Crime Story 
Roots

Eccolo qui il primo degli attesi e pretesi Emmy per American Crime Story. Li volevamo, sono arrivati, e ora si gioisce.


TV MOVIE

A Very Murray Christmas
All the Way
Confirmation
Luther
Sherlock: The Abominable Bride

Qualcuno l’ha bocciato considerandolo una mezza presa per il culo (per il suo essere uno speciale vittoriano ma anche un effettivo gancio alla serie regolare), fatto sta che però con Abominable Bride Sherlock ci ha tenuto incollati alla poltrona e ci ha fatto discutere per giorni. E poi se vince Sherlock va bene e basta.

ATTORE PROTAGONISTA IN UNA MINISERIE

Bryan Cranston, All the Way
Benedict Cumberbatch, Sherlock: The Abominable Bride
Idris Elba, Luther
Cuba Gooding Jr., The People v. O.J. Simpson: American Crime Story
Tom Hiddleston, The Night Manager
Courtney B. Vance, The People v. O.J. Simpson: American Crime Story

E via con la girandola di attori vincenti per American Crime Story. Comincia Vance con il suo Johnnie Cochran, difensore del probabile assassino e capace di sconfinare dall’avvocato al predicatore mistico. Applausi.


ATTRICE PROTAGONISTA IN UNA MINISERIE

Kirsten Dunst, Fargo
Felicity Huffman, American Crime
Audra McDonald, Lady Day at Emersons Bar and Grill
Sarah Paulson, The People v. O.J. Simpson: American Crime Story
Lili Taylor, American Crime
Kerry Washington, Confirmation

Dopo essere stata nominata tante volte per American Horror Story, Sarah Paulson DOVEVA vincere questo emmy (in una serie dal nome molto simile). La sua Marcia Clark (che la Paulson s’è pure portata in sala!) è semplicemente un’altra categoria, un perfetto miscuglio di competenza e fragilità, a restituire i drammi interiori di una donna che credeva di avere la vittoria in pugno e se l’è vista scivolare fra le dita. Bravissima, meritatissimo.





MIGLIOR SCENEGGIATURA PER UNA MINISERIE, TV MOVIE O SPECIALE

Fargo (“Loplop”), Bob DeLaurentis
Fargo (“Palindrome”), Noah Hawley
The Night Manager, David Farr
The People v. O.J. Simpson: American Crime Story (“From the Ashes of Tragedy), Scott Alexander and Larry Karaszewski
The People v. O.J. Simpson: American Crime Story (“Marcia, Marcia, Marcia”), D.V. DeVincentis 
The People v. O.J. Simpson: American Crime Story (“The Race Card”), Joe Robert Cole

Ed eccoci all’ultimo emmy per American Crime Story, probabilmente la vincitrice più evidente della serata, col maggior numero di premi e l’impressione di aver proprio spaccato. Il premio alla sceneggiatura è peraltro doveroso, per una serie capace di raccontare un fatto di cronaca conosciutissimo a tutto il pubblico, riuscendo comunque a garantire la suspense del miglior thriller, unita a una rara capacità di coordinare un numero davvero elevato di personaggi, ognuno in grado di svettare e brillare a modo suo (e non a caso sono arrivati gli altri emmy). Qui a Serial Minds avevamo sperato fin da subito in questo trionfo, e quindi applaudiamo senza riserve. Quest’anno ci è andata proprio bene.

L'articolo integrale è Qui.

domenica 18 settembre 2016

Being Human, Quando Aidan Turner era il Vampiro Mitchell e gli Odiosi Romelza Erano Lontani

La BBC sta trasmettendo con grande successo la seconda stagione di "Poldark", serie televisiva tratta dalla saga di Winston Graham (dodici tomi) ambientata sul finire del diciottesimo secolo - Poldark è un reduce britannico della Guerra di Indipendenza Americana - pubblicata negli anni '40 del secolo scorso. Viene presentato nelle recensioni come "romanzo storico". Chiariamo: il romanzo storico è un'altra cosa. Trattasi di una saga d'amore e di avventure già editata in Italia in passato come romanzo rosa (giustamente). Il fatto che le vicende di Ross Poldark siano ambientate a fine Settecento è del tutto incidentale. Va preso per ciò che è: un romanzone popolare, a tratti verosimile, mai realistico. E' una fiaba letteraria, con buoni-buoni e cattivi-cattivi, con una delle Cenerentole più inverosimili mai descritta, e la bellissima ma calcolatrice antagonista. Il prodotto televisivo è all'altezza della professionalità, della bravura, del buon gusto di chi scrive, produce e dirige la fiction britannica. Una garanzia. Quanto ai contenuti, se la saga è una lunga fiaba popolare, la serie televisiva è la fiaba della fiaba, ancor meno realistica del testo scritto. Un Settecento che non esiste se non nei meravigliosi dettagli, un gentleman britannico dai comportamenti impensabili per l'epoca in cui viene disegnato. Il tutto con quel bonario conservatorismo misto a infausti innesti di "modernità" che dovrebbe rendere il prodotto gradevole e comprensibile ai più.
Protagonista è Aidan Turner, indimenticato protagonista del bellissimo, ironico, intelligente Being Human, una perla, un piccolo gioiello con la solita pecca del forzato protrarsi della serie. Un paio di stagioni e sarebbe stato perfetto. Certamente, Poldark rappresenta perTurner un notevole passo avanti verso un successo popolare su più larga scala, ma è un bel tonfo rispetto alla brillantezza, all'intelligenza e al contenuto artistico di Being Human.  E il fatto che risulti più vero, reale e realistico, più umano nei panni (sdruciti) del vampiro Mitchell che nei romantici mantelloni gonfiati dal vento della Cornovaglia di Poldark la dice lunga sul valore delle due serie e sul rimpianto per il Turner che fu. Quanto alla stupidera dei fan che seguono solo e soltanto le - ehm - dinamiche di coppia senza farsi una domanda intelligente che è una, tranne raccomandare "Niente spoiler, per carità".... Facessero l'ennesima riduzione televisiva de I Promessi Sposi, mi sa che urlerebbero ugualmente "No spoiler!" e cinguetterebbero sulla bellezza della coppia Renzucia.
Consoliamoci con un amarcord di Mitchell ed Annie, che, per essere un Vampiro e un Fantasma, sembrano tanto ma tanto più veri e simpatici dei... Romelza (Puah!).


giovedì 15 settembre 2016

Suits: l'Età è un'Opinione....

Pensavo di parlare di "Sherlock", ma, dopo il magnifico e plumbeo tuffo nella mia personale première di "Penny Dreadful", mi ha punto vaghezza di un sano ca**eggio. Dalla ambigua e inquietante Londra ricreata a Dublino di "Penny Dreadful" alla New York inventata a Toronto di "Suits". Doppio salto mortale carpiato... con spanzata. Una toccata e fuga. Non vorrei essere fraintesa: ho incominciato a seguire "Suits" (sempre saltabeccando di stagione in stagione), e se non ci trovassi qualcosa di buono e/o divertente non lo farei. Ma il salto è davvero mortale.

Poche precisazioni:
1) Non sono mai stata fanatica di niente e di nessuno, manco a dodici anni. Il che mi porta ad essere flagellata da chi è portato ad esserlo, ma mi consente una certa libertà di giudizio, e, credo, la possibilità di godermi una serie, un film, un telefilm in tutte le sue sfaccettature.
2) Tollero tutto, ma non la retorica e la stupidità (strettamente legate). Perfino nelle serie televisive.
3) Un piccolo Goya che è in me vede il grottesco anche in una semplice scivolata di gusto.

Ciò detto, e crollando dalle vette di "Penny Dreadful" agli scantinati (patinati) di "Suits" - che approfondirò in un altro momento - giochicchio un po'.
Passiamo da una serie lussuosa (e costosa), con un ottimo cast e una bella scrittura, ad una serie-fai-da-te. Tutto in economia. E si vede. Violata la regola aurea delle tre stagioni che avrebbe potuto salvarla, si avvia verso il destino triste e baro delle serie inutilmente e vacuamente prolisse, strizzate, allungate, sbrodolate. Massimo risultato (economico) con il minimo sforzo (produttivo e di scrittura). Né può contare sul materiale umano, ovvero, gli interpreti. Una mostra canina.
Voglio dire, GiAssica (Jessica, ovvero Gina Torres) l'imperdibile boss dello studio-show room idealmente collocato a New York viene da Xena - Principessa guerriera e Hercules. Per dire. Sfoggia due-espressioni-due da sei stagioni e una non appartiene al suo viso. Il massimo apporto alla serie sono le sue sfilate per gli irreali, infiniti corridoi di un uno studio irreale sculettando ritmicamente (destr-sinistr, sinistre-destr...). Un pezzone di carne su tacco 12 perennemente strizzata in vestitini assassini, che manco una escort a una cena "elegante". Credo sia sulla cinquantina, ma in questa serie in particolare (non è la sola, eh?) l'età, l'effettiva corrispondenza tra età dell'attore e quella del personaggio, e verosimglianza sono proprio opzionali. Con grottesche ricadute. Parliamone.
Le grottesche ricadute sono dovute, in gran parte, all'inutile (per lo spettatore, non per le tasche della produzione) allungamento della serie. E vi spiego perché.
Il "bello e impossibile" di "Suits", Harvey Specter, è Gabriel Macht. Chi è? Diranno i miei piccoli lettori. A saperlo! Un prestante giovanotto di belle speranze, mi son detta, dopo una prima occhiata. E' Nessuno. Ma proprio nessuno. E non è un giovanotto. E' sui quarantacinque. Figlio di un altro nessuno, uno che, per tutta la sua vita professionale, entrava e usciva, mai da protagonista, da episodi di Matlock, Colombo, e affini. (E, naturalmente, giacché il sangue non è acqua, gli hanno regalato una partecipazione anche a "Suits").
In realtà, Gabriel Macht interpreta - fatti due conti - il trentacinquenne, arrembante avvocato, socio del pregiato studiato Pearson, Specter&Litt. Lui di espressioni ne ha almeno tre (e il didietro non conta, nel suo caso), una seria, una seria ed inca**ata, una sorniona. Punto. Per essere completamente onesta, devo precisare che la sua voce e la conseguente interpretazione sono un po' meglio del doppiatore che gli hanno affibbiato, uno che, evidentemente, viene dal doppiaggio di manga e spot. Sui quarantacinque anni è anche la sua segretaria (ho già sulla punta delle dita un post su di lei), tale Donna (Sarah Rafferty). Roscia con una espressione. Ma non è colpa sua. Hanno tolto dieci anni anche a lei. E saranno andati giù di brutto con il botox perché ha il viso spianato come una camicia stirata con vaporella, dagli occhi al labbro superiore compreso è paralizzata (se è colpa di una qualche paresi di cui non ho notizia, chiedo scusa per la gaffe in buona fede). Purtroppo, la gola (da tacchino) è traditrice, così come le ciccette flaccide che si affacciano crudelmente dagli abitini strizzati (avete presente quelle piegoline frollate... ?) e le restituiscono i dieci anni più gli interessi. E non l'aiutano le solite sfilate a tacco battente per i soliti corridoi vestita come una clandestina cubana che ha fatto i soldi. Quando le levano ulteriori dieci anni per un flashback, se la cavano mettendole una frangia da badante rumena sulla fronte (con tutto il rispetto per le badanti rumene). Nè la salva il pedigree (in fondo, famose attrici del nostro teatro interpretavano "Scampolo" a sessant'anni). L'ultima imperdibile interpretazione di cui ho notizia è una comparsata con due battute in un episodio di "Bones", in cui, già sui quaranta, nei panni di una piazzista di case e con la solita còfana roscia cotonata, arricciolata e fissata con la fiamma ossidrica, allunga una bomboletta di lacca a Bones per evitare che una mano di cenere si dissolva. Ma è amica di Macht dai tempi della scuola (?) e, visto l'esempio di papi, mi sa che ha ricevuto la grazia. Intanto, il tempo passa, una stagione segue l'altra, e il povero Macht, color cremisi e sempre più imbolsito, rischia l'ictus con i colletti strizzati dei suoi completini ingessati da "giovanottone rampante".
Chi ha davvero trentacinque anni è Mike, Patrick J. Adams, il non-avvocatino co-protagonista. Naturalmente, sempre fatti i due soliti conticini, è sui venticinque nella serie. E anche a lui, la lunghezza dell'avventura non fa bene. Il faccino da ragazzino alla Frodo si sta intarchiando e la stempiatura avanza. Ed è un peccato, perché, insieme al mio amato Louis, Rick Hoffman (l'unico, vero motivo per seguire "Suits", il riscatto attoriale e di scrittura di "Suits"), ma a grande distanza, è l'unico che sfoggia una relativa padronanza sia del personaggio che della sua espressività.




Poi, non è colpa sua se "lo disegnano così". E, invece di sacrificarlo nella più insulsa relazione di tutti i tempi televisivi con l'insulsa Rachel (Meghan Markle, anche lei venticinquenne di trentacinque anni!), lo avrei visto benissimo in qualche stuzzicante sfida amoroso-giuridica con la sua coetanea Dana Scott (Abigail Spencer), l'unica penalizzata da queste sforbiciate generazionali.




Sì, perché a lei, e a lei soltanto, di fatto, hanno lasciato la sua vera età, e, di conseguenza, se la matematica non è un'opinione e tanto mi dà tanto, dieci anni glieli hanno aggiunti, facendole interpretare una collega di studi del quarantacinquenne Macht dei tempi di Harvard. Più o meno coetanea anche dell'attempata Donna, quindi. Burp!

Mab's Copyright

martedì 13 settembre 2016

Penny Dreadful: Incontri e Proposte

La serie, il primo episodio, si apre senza mediazioni, una madre e una bambina strette fra gli stracci di un giaciglio, la madre che sfrutta l'inaudito ed estemporaneo lusso di una latrina domestica, e viene risucchiata dal mostro. La figlioletta ne seguirà la sorte, ci vuol poco ad immaginarlo.
E senza mediazioni è presentata Vanessa Ives*, scalza, inginocchiata sul nudo pavimento di una stanza nuda, davanti ad un crocifisso. Appartiene alla cerchia delle mistiche folli d'amore, invasate e possedute dal Bene. Le preghiere che recita velocemente sanno di esorcismo. E quale sia la sua missione è rivelato dai ragni che strisciano sul crocifisso e poi su di lei. E' una guerriera e la sua vocazione è il martirio, la sua preghiera è sofferenza. Come ho detto, si può essere "possedute" anche dalle forze del Bene.

"One of my first days on set was the scene with Vanessa praying to the cross on the wall. I was amazed by how Bayona worked with Eva Green in creating the scene and that stunning performance. While Vanessa begins to shake and convulse, what you can’t see beneath the camera is that she was holding one end of a rope, while Bayona lay next to her and tugged hard on the other end. She was forced to tug back, resulting in the jerky movements you see. Bayona had an incredible ability to create these tense moments that would always leave everyone in the room in silence. I’m glad to say that all those spiders were created by our visual effects team…otherwise I’m not so sure I would be quite so enthusiastic about being in that room!"
Michelle Ryan, Digital Content Producer for Penny Dreadful.

[*Eva Green, europea, fugace musa di Bertolucci, Bond-girl, vincitrice di un Bafta, figlia di quella Marléne Jobert, francese, partner di Lino Ventura, Michel Piccoli, Alain Delon, ecc, negli anni '70. Per fortuna non assomiglia a mammà né fisicamente né professionalmente]






E, all'improvviso, il colore livido del delitto oscuro e della possessione religiosa vengono spazzati via dall'irruzione del personaggio successivo, Ethan Chandler* - un'eco del Buffalo Bill circense - che, truccato come una puttana sfacciata, rappresenta in Europa, il riflesso farlocco dei gloriosi delitti del generale Custer. Tra nani, funamboli e ballerine. Il tutto girato al Cabinteely Park di Wicklow, Dublino.

[E' Josh Hartnett - e torniamo in America - che, dopo una dimenticabile Pearl Harbor, inanella Sin City, e il bellissimo The Black Dahlia con Scarlett Johansson e Hilary Swank].





Tra il pubblico c'è Vanessa Ives, che gli farà una proposta, un lavoro notturno, un lavoro rischioso. Ma non prima di averlo "fotografato" come avrebbe fatto il migliore Sherlock, ricostruendo il suo passato e intuendo il suo presente da millantatore dal bell'orologio d'oro contrastante con gli abiti logori, con gli stivali risuolati più volte, dalla mano tremolante per le bevute che tenta di nasconderle, ecc. ecc. Il tono del colloquio si può dedurre da fulminei scambi di battute:
"E' un atto criminoso?"
"Vi importerebbe?"
"E' un omicidio?"
"Vi importerebbe?"
E, quando Vanessa si allontana, con la noncurante regalità che impareremo a (ri)conoscerle:
"Avete un nome?"
"Sì", et voilà. E' nata una regina.





E torniamo a parlare della Londra livida, stracci svolazzanti e nebbia - una Londra anch'essa ricostruita in Irlanda, nel Guinness Storehouse di Dublino, credo, anche in questo caso, per gli sgravi fiscali e gli incentivi economici più che per l'inclinazione immaginifica dello sceneggiatore entusiasticamente appoggiato dalla produzione.
L'appuntamento li porta a sprofondare nei bassifondi, poi in una fumeria d'oppio (e balena il Johnny Depp disperato investigatore drogato di assenzio de "La Vera Storia di Jack lo Squartatore"), poi nei sotterranei della suddetta fumeria.







E qui, Ethan e Vanessa incontrano sir Malcom Murray (Timothy Daliton), che si presenta al pistolero made in U.S.A solo come uno che "cerca una persona cara che gli è stata portata via". E anche qui senza filtri né mediazioni avviene lo scontro con un drappello di infettati dal Male, poi la ricerca in un ossario-carnaio di vittime e futuri carnefici, alla ricerca di Mina, della figlia perduta, di ciò che è diventata. E dall'inferno di ossa e carne, striscia fuori una Creatura, ombra dell'Altro, che li assale e viene ucciso.
A proposito della scena nell'ossario-carnaio e dell'incontro con il vampiro (un certo Robert, nella vita reale), Michelle Ryan scrive:
"I have never winced so much while walking through a set – the piles of dead bodies slumped in corners, and body parts lying on shelves and scattered across the room. This was not for the faint of heart. I managed to find an out-of-the-way balcony, and watched as the Vampire slowly emerged from the heap of bodies to catch one of the characters and throw him across the room. During one take, the actor tripped (on a spare limb no doubt) and actually fell across the room. Our vicious Vampire snapped out of his fierce, snarling stance and gasped “Oh no, I’m so sorry…Oh god, I’m a real Vampire!” Everyone cracked up."






Il corpo della creatura viene trasportato in un altro sprofondo: la fiorente industria di cadaveri per gli studenti e studiosi di Medicina.
Parentesi: effettivamente, a Londra questo commercio ebbe inizio con pochi scellini allungati a foschi inservienti di ospedali per i poveri e a becchini. La richiesta cresceva, la ricerca di corpi "freschi" diventava faticosa. Alcune bande formate dai suddetti foschi individui pensarono che fosse cosa buona e giusta aumentare notevolmente i prezzi, e che fosse un'idea ancòra più brillante non perdere tempo trafugando cadaveri qui e là. Meglio "produrre" cadaveri. Innumerevoli leggende metropolitane nacquero intorno a questo argomento. Ma questa è un'altra storia, direbbe qualcuno.

E incontriamo il destinatario della seconda Proposta: il dottor Frankenstein (Harry Treadaway, attore inglese, buoni studi, senza infamia e senza lode), molto poco barone, più giovane studioso "posseduto" dalla fame di Conoscenza quasi quanto Vanessa Ives è posseduta dalla sua fede febbrile e sir Malcom è posseduto dal desiderio di salvare sua figlia "a costo di uccidere il mondo intero".
Come spiegherà a sir Malcom in un incontro successivo, quello della "proposta", il giovane Frankenstein non è interessato alla Conoscenza fine a se stessa, non gli interessa contare le screziature di una foglia o le spire di un rettile, né, a differenza di sir Malcom, che, man mano, scopriamo viaggiatore, esploratore e scrittore, ambisce a piantare una bandiera sulla cima di qualche montagna. E' interessato solo alla Vita e alla Morte, anzi, al velo, alla scintilla che separa l'una dall'altra.







Intanto, durante il primo incontro sotterraneo, esamina il vampiro ucciso da sir Malcom nell'ossario. E scopre che, sotto una sorta di pelle non umana, ha il petto completamente ricoperto da geroglifici.
Il che conduce sir Malcom e Vanessa al British Museum, Dipartimento Egizio, dove incontreranno la successiva "proposta", Ferdinand Lyle*.




[*Simon Russell Beale, blasonato attore inglese].
E' deliziosamente inglese. Solo un bravo attore inglese riesce a sfiorare il grottesco senza mai apparire tale, a meno che non lo voglia. Il suo personaggio è un attempato e civettuolo erudito, gay, sposato con una donna molto ricca. Dirige il Dipartimento Assiro-Egizio del British Museum, si comporta come un deliziato fan con sir Malcom. Ma non è l'omino di burro che sembra.

Intanto,Vanessa ha ricevuto il pistolero americano che appare abbastanza disperato da accettare la proposta o troppo disperato per accettarla. E si viene a sapere che Vanessa è una sorta di veggente, ma - confermo - tocca la mente del disorientato Ethan più con il suo istinto e la sua inattesa logica alla Sherlock che attraverso la consultazione delle carte che sventaglia sul tavolo. Logica inattesa perché assolutamente in contrasto con il suo tormentato misticismo.
E, per la prima volta dalla sua scomparsa, Mina appare al padre, dapprima come una bambina perduta e terrorizzata, poi, con il suo aspetto infernale. E, mentre capiamo lentamente che ogni personaggio è oppresso da un dolore segreto, da una maledizione, da una febbre che lo perderà, emerge con chiarezza da un dialogo tra sir Malcom e Vanessa che entrambi, per motivi diversi, si sentono responsabili per la sorte toccata a Mina. Nuovamente sola nella nuda stanza dominata dal crocifisso, persa nelle sue maceranti preghiere e nei sensi di colpa, anche Vanessa avverte una presenza demoniaca intorno a sé. Sulla parete brulicante di ragni, il crocifisso è capovolto.

Dopo aver visto la scena di alta macelleria del ritrovamento della madre e della bambina fatte a pezzi all'inizio dell'episodio, mentre il "popolino" giura sul ritorno di Jack lo Squartatore, Ethan sembra pronto a ritornare sui suoi passi. Vanessa lo osserva arrivare da una finestra. Ma lui fugge, sempre più disperato e combattuto.

L'ultimo "quadro" vede la nascita della Creatura di Frankenstein, nuda, indifesa, dolente, innocente. Per un lunghissimo momento, la Creatura e il giovane scienziato si guardano, occhi negli occhi, cercando qualcosa nell'altro.





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domenica 11 settembre 2016

Emmy Award 2016: Penny Dreadful, Billions, Bates Motel e Tutti i Grandi Esclusi dalle Nomination

Le nomination agli Emmy 2016 annunciate oggi da Anthony Anderson e Lauren Graham avranno sicuramente diviso pubblico e critica, perchè si sa, quando si tratta di premi, tifo e votazioni, ciascuno di noi ha i propri beniamini e qualcuno da supportare e per forza c'è chi resta deluso. Possiamo però dire che sono le nomination più equilibrate e corrette degli ultimi anni, in grado di bilanciare cable, broadcast e streaming.
Nomination che testimoniano un piccolo, parziale declino della HBO, scesa sotto le 100 nomination fermandosi a 96 (di cui ben 23 arrivano da Game of Thrones) contro le 126 dello scorso anno. Un declino esemplificato dal fallimento di Vinyl cancellato dopo una stagione non esaltante nonostante i nomi coinvolti e la lunga lavorazione e non in grado di ottenere nemmeno una nomination in vista della premiazione del prossimo 18 settembre. Considerando che tra due anni Game of Thrones potrebbe non esserci più è arrivato il momento per il canale di correre ai ripari.
Se c'è un canale che ha lavorato bene dal punto di vista, anche, diplomatico è FX che cresce a 56 nomination dalle 38 dello scorso anno e ottiene il successo di portare dopo 4 anni in nomination The Americans compresi i suoi due attori protagonisti: la loro assenza negli ultimi anni gridava vendetta e finalmente è stata ottenuta. Oltre ad incassare le ovvie nomination per American Horror Story e American Crime Story e Fargo. Aumenta il suo peso specifico anche Netflix che arriva a 54 soprattutto grazie ad House of Cards e Bloodline di cui sono molto amati dai giudici gli attori, mentre snobbato il mondo Marvel così come è stata dimentica Orange is The New Black il cui giusto spostamento tra i drama ha penalizzato cast e show. Probabilmente ci vorrà ancora qualche anno perchè i membri della giuria possano superare il pregiudizio verso i superpoteri, basta guardare quanto è ancora forte quella verso gli zombie di The Walking Dead, nonostante almeno il cast si meritasse un riconoscimento, ma anche quanto ci è voluto per far entrare Game of Thrones tra i nominati.





Non riescono a far breccia nel cuore dei giurati nemmeno Showtime e AMC, il cui apporto al mondo Emmy si limita a i consolidati Homeland, Ray Donovan e Better Call Saul, con The Affair di cui è amata solo Maura Tierney e William H. Macy per Shameless.

Grande esclusa Penny Dreadful e la sua maestosa regina Eva Green costantemente e inspiegabilmente ignorata dagli Emmy. Evidentemente i giurati non devono amare gli horror o le atmosfere un pò troppo cupe visto che anche Bates Motel è stata ignorata. Soprattutto non aver inserito Vera Famiga e Freddie Highmore nell'anno della loro migliore interpretazione in una stagione complessa e stratificata, è un peccato che prima o poi i giurati dovranno espiare.

Non sono le uniche esclusioni che fanno rumore. Personalmente trovo molto sorprendente il mancato inserimento di The Leftovers se non era possibile inserirlo tra i Best drama, almeno un posticino per Justin Theroux andava trovato, anche perchè vale lo stesso discorso fatto per Eva Green: se non li inserisci per questi ruoli quando potranno mai sperare di ottenere una nomination? Altri due assenti spiccano particolarmente: Paul Giamatti e Daniel Lewis mattatori di Billions, uno confronto/scontro tra titani inspiegabilmente ignorato dai membri dell'Accademy. Il sospetto che non abbiano voluto dare troppi riconoscimenti a Showtime (o che il canale non sia riuscito a promuovere al meglio i propri prodotti) inizia a farsi strada.





L'assenza di The Good Wife e di Julianna Marguiles desta meno stupore di quanto dovrebbe. Sebbene tutti l'avremmo inserita in quanto stagione conclusiva, bisogna riconoscere che non è stata l'annata migliore della serie e l'inserimento di Carrie Preston e Michael J. Fox come guest star è stata la decisione più corretta. Allo stesso modo potrà aver sorpreso i fan ma l'assenza di The Big Bang Theory e del suo cast è giusta considerando la stagione appena conclusa e la decisione di premiare una comicità più variegata inserendo Master of None, Black-ish, Silicon Valley, Unbreakable Kimmy Schimdt e Grace and Frankie è decisamente più apprezzabile (anche se sarebbe dovuta uscire dai nominati anche Modern Family).

Grande sorpresa è l'ingresso tra i nominati di Constance Zimmer per UnReal, che avrebbe meritato una categoria a parte o un premio alla carriera come Miglior Str0nza della tv, come riescono a lei questi ruoli probabilmente a nessun altro. Se bisognava riconoscere qualcosa a UnReal e a Lifetime probabilmente inserire il suo nome era l'unica scelta possibile.




I media americani, infine, sottolineano come questo sia l'anno della diversità tra attori di origine indiana e l'alto numero di nominati afro americani come Cuba Gooding Jr per American Crime Story o Viola Davis per How To Get Away With Murder e Taraji P. Henson per Empire, Anthony Anderson e Tracee Ellis Ross per Black-ish, ma anche Kerry Washington per il film tv di HBO Confirmation. Insomma dopo anni di critiche l'accademy si è aperta anche a i non bianchi. Dopo queste prime opinioni sulle nomination appena rivelate è già tempo di preparare le magliette e i post sui social per sostenere i propri show preferiti, in attesa delle premiazioni del 18 settembre con la cerimonia che sarà presentata da Jimmy Kimmel e trasmessa dalla ABC.

Articolo di Riccardo Cristilli da ww.tvblog.it

Penny Dreadful - Primo Capitolo

Frankenstein, Dorian Gray, Lupi Mannari, Vampiri, Veggenti...
Tutti in un boccone. Indigesto, ho pensato. Vade Retro. Poi, casualmente, ho visto una puntata in notturna. E, non dico che mi sia ribaltata o che mi sia cascata la mandibola sulle ginocchia, ma il palato dei miei occhi ha esclamato:"Ancòra!"
Ci sono alcui verbi che non userò mai (shippare) e altri che userò poco: recuperare. Non si recupera nulla. Ho sfogliato puntate a caso, poi, ho deciso di mettere ordine.
Che sia una produzione sontuosa (e, quindi, anche costosa) salta agli occhi anche senza informazioni specifiche. Cast a parte, effetti speciali a parte. Il diavolo è nei dettagli, ma lo sono anche gusto, eleganza, e sontuosità, per l'appunto. Non c'è esibizionismo (tié, e fai vedé che abbondiamo! cit.), ma neanche una evidente urgenza di risparmiare. Il che, alla lunga, avrà condannato la serie alla chiusura anticipata. Non mi berrò mai la storia: Era già tutto previsto! Con un budget dimezzato, avrebbero allungato il brodo per altre 6-7 stagioni, come minimo. Sarebbero spuntati il fratello scemo di Frankenstein, la cognata ottantenne di Dorian Gray, una lupa mannara pentita persa per un lontano parente di Ethan, e una sorella-clone di Vanessa, pronta a rilevare la corona di protagonista in caso di defezione della suddetta. Con gli avanzi avrebbero creato perdibilissimi spin-off. Scampato pericolo. Tre stagioni. Perfetto così.






Consiglio per chi non lo avesse mai seguito: Guardate uno dopo l'altro i primi due episodi. Il primo non spazza via i dubbi.

Dunque, Londra fine '800. Ambientazione suggestiva ma pericolosa perché abusata, logorata.
Piena Rivoluzione Industriale, fumi e veleni che mangiano viva la città, l'aristocrazia delle armi che sfiorisce in favore dei borghesotti rampanti che si comprano e/o ottengono titoli grazie a commerci spregiudicati; guerre in giro per il mondo per sostenere i suddetti commerci spregiudicati. Un inesauribile fiume di nuova energia scorre sotto il putridume, le nuove scienze e conoscenze ammaliano e spaventano. Il controllo della propria vita, già esiguo, sembra sfuggire ad ogni respiro, a dispetto di opportunità mai conosciute prima. La piccola borghesia, precariato della nuova classe sociale, vive sul filo di un rasoio: basta una malattia, la morte di un datore di lavoro, un incidente di percorso negli ingranaggi di una piccola impresa per perdere tutto. La prigione per debiti, l'ospedale, la morte. L'Educazione non è più appannaggio di pochi privilegiati. Anche i ricchi borghesi assumono governanti e precettori francesi o tedeschi per i loro apatici rampolli, che perfezionano gli studi in costosissime scuole private; i piccolo-borghesi fanno del loro meglio, ospitando zitelle istruite ma povere, o accontentandosi di una didattica domestica affidata a volenterosi esponenti del clero. Gli Inglesi non hanno mai avuto un Wagner o un Verdi (vabbé, si sono rifatti in seguito: dagli anni '60 del secolo scorso in poi, la musica è inglese), neanche a parlare di un Rembrandt, di un Raffaello, ma sanno raccontare e amano ascoltare o leggere i racconti. Tecnicamente, il Romanzo è stato inventato dai Francesi, ma fu subito oscurato, mentre attecchì e fiorì in Gran Bretagna. Nel periodo di cui parliamo, la letturatura non era più confinata nelle biblioteche dei nobili e dei ricchi, imbalsamata in preziose edizioni, ma viaggiava anche nei modesti quartieri residenziali, quelli in bilico tra gli splendori di nuove ricchezze e una miseria per cui non bastano gli aggettivi. Charles Dickens fu il primo a spezzettarsi in economiche dispense, a imparare l'arte di lasciare il lettore ingolosito alla fine di un capitolo, in ansiosa attesa diel successivo.  E giravano, di mano in mano anche libretti, fogli e fogliacci. Alcuni raccontavano a tinte fosche e rosso-sangue i più truculenti fatti di cronaca - e il materiale abbondava! - e le storie vere diventavano leggende, si nutrivano di vecchie leggende. E poi i più o meno rozzi racconti di pura fantasia, pugni nella pancia, grondanti sangue, popolati di fantasmi e di strani ibridi, di delitti misteriosi. Distoglievano i più derelitti dall'orrore reale in cui vivevano, davano un piacevole brivido ai borghesucci annidati accanto al caminetto nelle loro rassicuranti poltrone.
"Penny Dreadful" cita nel titolo questa letteratura, ma, in realtà, non la rispecchia. E' più vicina all'insoddisfazione di chi si sentiva perso e stritolato dal pragmatismo spietato dei nuovi ricchi e dal cinismo dei vecchi conservatori come dai falsi idoli della Scienza legata alle conquiste industriali. E allora sognava viaggi esotici in terre lontane, dove i cattivi sono ben riconoscibili, ma hanno bellissime figlie da salvare, oscure e terribili divinità a cui sacrificare vite e preziosi papiri di cui non conoscono il significato nascosto né il valore. Un'altra, più sottile forma di Colonialismo e di Razzismo, direi. Ma i viaggi non hanno per destinazione solo terre esotiche abitate da orribili indigeni. Si scende a tentoni, con poca delicatezza, nelle oscurità più spaventose che si annidano sotto la perfetta e levigata corazza del conformismo anglosassone. Oscurità tanto più spaventose in quanto sconosciute. E allora il gelido, bellissimo orrore segreto di Dorian Gray, il Male assoluto avvolto nel pastrano del buon dottor Jekyll, gli esperimenti mostruosi nelle cantine e nei solai sbarrati del geniale Frankenstein. E l'incarnazione estrema della lotta tra il Bene e il Male, tra la Fede (non necessariamente religiosa) e la Disperazione, l'orrore del Vuoto.




Lo so, è tanto, è troppo, e, come i piccolo-borghesi eternamente in bilico tra un radioso avvenire ed una orrenda miseria, la serie è perennemente sull'orlo del grottesco involontario, ma non cade. Vacilla, ma non cade.

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domenica 4 settembre 2016

CIAK: "The Young Pope" in Tre Domande





Paolo Sorrentino porta sul piccolo schermo un Papa pieno di contraddizioni ma non inverosimile Sono state presentate oggi alla mostra del Cinema le prime due puntate di The Young Pope, la serie realizzata da Paolo Sorrentino con Jude Law nelle vesti di un giovane papa pieno di contraddizioni. Dopo la proiezione solo un timido applauso, ma c’è anche chi parla già di capolavoro. Potrete farvi la vostra opinioni a partire dal 21 ottobre, quando la serie sarà trasmessa su Sky Atlantic.

Ma che reazioni si aspetta Sorrentino dal Vaticano?

Paolo Sorrentino: È un problema del vaticano, non mio, ma non è nemmeno un problema in realtà. Se avranno la pazienza di vederlo fino in fondo capiranno che non è una provocazione e non nasce da nessun pregiudizio o intolleranza. È un lavoro che indaga con onestà e curiosità, fin dove può, le contraddizioni e le difficoltà della Chiesa e anche il fascino del clero, dei preti, delle suore e di un prete un po’ diverso da tutti gli altri, che è il Papa. Il Papa che abbiamo trattato nella serie è diametralmente opposto a quello attuale, perché credo che sia verosimile che dopo un Papa come Francesco, così liberale, ne possa arrivare uno più conservatore. Credo sia abbastanza illusorio credere che la Chiesa abbia avviato un cammino verso la liberalità. Il nostro Papa non è inverosimile, credo che in un futuro non troppo lontano potrebbe accadere che venga scelta una persona del genere.





Come è stato per Sorrentino passare dalla scrittura cinematografica a quella televisiva?

L’ho scritta insieme a Grulli, Grisoni e Contarello, è difficile ma eccitante, si ha la possibilità di approfondire molto i personaggi e concedersi delle digressioni che il cinema tende a censurare per questioni di tempo. Ho dovuto tener conto molto di più di una tenuta narrativa. Qui c’è molta più storia e ho provato anche a trasferire certe sintesi che si fanno nel cinema. Ma di fatto io considero questa serie un lungo film di dieci ore. Ha anche aiutato che ho potuto fare questo lavoro con tutta la libertà e con tutto il budget di cui avevo bisogno.





Com’è stato per Jude Law interpretare un Pontefice?

Sono stato felice di aver avuto un ruolo così stratificato, il copione mi aveva molto emozionato, era simile al lavoro di Paolo che già conoscevo, adoro il suo linguaggio visivo, era bello essere un colore sulla sua tavolozza. Poi ero entusiasta dall’opportunità di portare sullo schermo un personaggio che ha così tante contraddizioni. Solo dopo mi sono reso conto che dovevo essere un Papa e non sapevo che lavoro fare per dare un certo peso, una credibilità a questo ruolo, ma Paolo mi ha sempre ricordato che stavamo parlando di un uomo. In più quando si è un uomo con un ruolo pubblico c’è sempre il problema di chi si vuole essere per il pubblico e di come si è nel privato, e da attore queste sono dinamiche che mi sono familiari.

di Maria Laura Ramello

www.ciakmagazine.it

sabato 3 settembre 2016

Suits, Sherlock, Penny Dreadful. Hanno in Comune Solo Me.

Non sono mai in sincro con le programmazioni delle serie tv. E' capitato, poi, non ho voluto esserlo. A volte, si parte entusiasti, curiosi. Arriva una malefica seconda stagione che ti fa rintanare, guaendo, nell'Angolo del Castigo. Oppure, al contrario, sghignazzi preventivamente, e poi ti genufletti nell'Angolo del Rimorso. In entrambi i casi, non essendo una spettatrice/consumatrice onnivora né compulsiva, non ho mai avvertito la necessità di sbraitare insulti per esprimere il mio profondo disgusto, o caramellarmi in orgasmi multipli in qualche fanpage. Mi hanno tentato i Blog, ovviamente quelli in cui ho "sfogliato" recensioni scritte in buon Italiano e con discreto uso di neuroni, ma, poi, ho rinculato davanti al tono di certi commenti. Vade retro. Ci sarà qualcuno che ama risfogliare (come si fa con un libro che si è amato) storie non in diretta streaming, o, persino, racconti che hanno già scritto la parola Fine. Perché no? Quando gli umori sono decantati e il cervello si dà una rinfrescata, o quando si è in crisi nostalgica (chiamasi anche astinenza) non è male condvidere per un attimo - agrodolce - le impressioni di chi si accosta al tuo tesorrrro per la prima volta, o vuol giocare a "facciamo finta che sia la prima volta".

Mab

Sherlock






Penny Dreadful







Suits







p.s.
Come è facile notare, non sono onnivora, ma neanche snob.

mercoledì 13 luglio 2016

Woody Allen: "Nati con la schiavitù, ora ne paghiamo il prezzo", da la Repubblica

Il regista parla degli incidenti razziali: "Negli Usa si vive di pregiudizi ormai da centinaia di anni"
di SILVIA BIZIO


NEW YORK. "I terribili incidenti razziali che l’America sta vivendo in quest’ultima settimana non dovrebbero purtroppo sorprenderci", dice Woody Allen, 80 anni, incontrato nella sua amata New York per parlare del film Café Society, in uscita negli Stati Uniti dopo la sua premiere a Cannes. "Il problema degli Stati Uniti, adesso e nel passato, è che questo è il prezzo che il paese paga per aver messo le sue fondamenta sulla schiavitù, per la complicità nel rapire la gente dall’Africa, portarla qui, renderla schiava, senza nessun programma per il loro benessere. Siamo un Paese che è vissuto di pregiudizi razziali per intere generazioni. Cosa ci si aspetta da un paese nato così male? Quando succedono queste brutte cose, questi incidenti razziali, da bianchi nei confronti dei neri, e da parte dei neri che ora rispondono in modo violento, cosa ti aspetti da un paese che ritualmente è stato insensibile per centinaia di anni? È il prezzo che gli Stati Uniti dovranno pagare fino a quando quell’antipatia così profondamente radicata tra una razza e l’altra sarà finalmente smussata e la gente non la sentirà più".

La legge non è dunque servita a molto...
"No, perché una cosa è fare delle leggi per integrare la società, ma se la popolazione non lo sente e ancora odi l’altra persona, quelle leggi non significano molto. E così restiamo un paese diviso nonostante leggi che cercano di migliorare la situazione. E ne paghiamo il prezzo".

Pensa che leggi più restrittive sul possesso di armi possano aiutare?
"Le leggi sulle armi, ovunque nel mondo, sono abbastanza ridicole. Negli Stati Uniti abbiamo delle leggi terribili sulle armi. La mia impressione è che potrebbero aiutare un pochino, ma non sono davvero la risposta. Io sono completamente contro le armi, non credo ci dovrebbe essere nessuna arma se non in modo estremamente limitato e controllato per chi va a caccia, per sport. Ma anche se elimini tutte le armi, fino a quando non affronteremo gli altri veri problemi, quelli delle persone, avremo ancora una società che è guidata dall’odio razziale, dall’ineguaglianza economica e dalla povertà, avremo comunque terribili sofferenze. Le armi sono solo una parte, e una parte assai sciocca, appunto perché le leggi sulle armi che abbiamo in questo paese fanno ridere".

Si sperava che la presenza di un presidente afroamericano come Obama alla Casa Bianca potesse cambiare qualcosa. 
"Una singola persona non può cambiare questa situazione, è un problema che richiede un’enorme mole di lavoro per tanta gente, è così intrinseco al tessuto di questo paese, da centinaia di anni, che è molto difficile da risolvere. Ci vuole uno sforzo comune e concentrato da parte di tutti, un singolo presidente non ce la può fare".

Sta seguendo queste elezioni, vede speranze? 
"Non sui problemi razziali che stiamo attraversando. Ciò detto non ho mai fatto misteri del fatto che io sia un grande sostenitore di Hillary Clinton, sono democratico geneticamente, lo sono sempre stato, ho contribuito alla campagna democratica".

Pensa che vincerà?
"Ne sono sicuro. Ho conosciuto Donald Trump, era nel mio film Celebrity, ed era stato anche bravo! Ogni tanto lo incrocio in qualche ristorante o evento ed è sempre cordiale e piacevole, ma non penso abbia nessuna chance di diventare presidente. Non si preoccupi, non c’è bisogno che nessuno si trasferisca in Nuova Zelanda o in Canada! Hillary vincerà, credo sia qualificata e brava, mi piace molto anche se non l’ho mai incontrata. Me lo dicono gli istinti e il senso comune. In America la gente sa che Donald Trump, con tutte le sue teatralità e il suo essere cosi’ flamboyant, non potrebbe mai essere un buon presidente. E sento che la gente istintivamente lo sa e voterà di conseguenza. Certo è una strana campagna elettorale, il partito repubblicano è da anni in uno stato pietoso, ma anche questo strano anno elettorale passerà e ne avremo solo un vago ricordo. E Donald Trump continuerà ad essere soggetto di barzellette e scenette in televisione".

Come spiega il fascino sulla gente di uno come lui?
"Come dicevo c’è molta sofferenza in questo paese, e non solo fra i neri. E lui è un candidato che dice cose che la gente vuole sentirsi dire, anche se poi non va a controllare. Hanno fatto un sondaggio in Inghilterra e tanti di quelli che hanno intervistato hanno confessato di non avere idea su cosa votavano: hanno votato per uscire dall’Unione Europea e non sapevano nemmeno cosa fosse l’Unione Europea! Negli Stati Uniti è lo stesso: la gente non sa, è troppo preoccupata di svegliarsi al mattino e di ritrovarsi senza lavoro, o con un figlio cocainomane, non ha tempo... Così un candidato arriva — e se non fosse stato Trump sarebbe stato Cruz, o Rubio — e gli dice, “non ti preoccupare, ci penso io” e la gente ci crede. Non ha tempo di controllare o capire cosa voglia dire. Non va in profondità. È più facile pensare “sono stato licenziato perché il mio posto di lavoro è andato in Messico o in Cina”. Sono letture superficiali, ed è quello che succede. Per fortuna penso che la maggioranza non la pensi così. Dopo tutto nella nostra storia i nostri presidenti per la maggior parte sono stati decenti. Alcuni hanno fatto cilecca, ma per di più sono stati buoni. E lo sarà anche Hillary".

www.repubblica.it

venerdì 22 gennaio 2016

Franca Leosini e le sue Storie Maledette: Ritorna la Mia Signora Omicidi Preferita


Amo questa donna. Tailleur anni '60, con spilla d'ordinanza sul risvolto della giacca, capelli imbalsamati con la fiamma ossidrica, mani curate che muove sapientemente come un Vescovo felliniano in piena omelia... Hai quasi l'impressione di captare il suo profumo cipriato, l'odore intenso di un rossetto più o meno suo coetaneo...
Si accomoda, busto eretto e gambe unite, davanti al tavolino spoglio e anonimo di un carcere, sfoglia con le dita discretamente ingioiellate fogli di appunti, stralci di verbali, perizie, come se giocherellasse (rispettosamente) con il catalogo di una mostra milanese sponsorizzata da suoi carissimi amici... e incomincia. Davanti a lei, lo sguardo vagamente perplesso di un/una omicida che incontra la reincarnazione di una professoressa dei suoi lontani tredici anni.
Le va riconosciuto un merito: si rivolge al malcapitato/a con estrema cortesia, dà immancabilmente del "lei", sparge incensi di "scusi" e "la prego". E' rigorosa e accattivante nell'esposizione di fatti e circostanze, in un crescendo apparentemente innocuo di domande, osservazioni, repliche.
Poi, sempre con lo stesso tono vellutato e ipnotico, proprio come se chiedesse "Quante zollette, prego?" ad un'accartocciata detenuta dallo sguardo perso dietro una frangia tinta "in casa", lo smalto smangiucchiato e il trucco sbagliato, intona:
"Mi faccia capire. Così, mentre quella ragazzina, una bimba di 27 anni - e non una bimba qualsiasi, ma la sua MIGLIORE amica - agonizzava in un lago di sangue, e la sua povera vita lasciava il corpicino contorto e i suoi occhioni - quei grandi occhi celesti - le chiedevano disperatamente aiuto... lei è andata a mangiare una pizza con il suo amante? Il suo amante che era il cognato della vittima, cioè il fratello del marito della povera Assunta? Mi spieghi...".
Immensa.

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E' un post (corretto qua e là) del 2014, ma va bene così.