domenica 14 settembre 2014

Caso Pistorius. I Dieci Consigli ad un Aspirante Femminicida di Selvaggia Lucarelli

Sei maschio?
Ne hai la scatole piene della fidanzata libertina o della moglie opprimente?
Hai deciso che il divorzio ti costerebbe troppo?
Ritieni che lasciarla vorrebbe dire buttarla tra le braccia di qualcun altro e il pensiero ti disturba?
Sei un po' fumantino e avresti voglia di liberare i tuoi istinti?
Hai un paio di pistole che sono lì a far polvere e pensi che sia un vero peccato? Non preoccuparti, caro aspirante femminicida. Ieri è stato un gran giorno per te. Il caso Pistorius e il suo epilogo, ti forniscono una serie di preziosi consigli per far fuori la tua compagna e sfangartela con una condanna per omicidio colposo. In fondo, che differenza c'è tra l'ammazzare una vecchietta sulle strisce pedonali mentre si abbassa il volume del cd di Molella e l'accoppare la fidanzata con quattro colpi di pistola? E allora, mio caro aspirante femminicida, ecco la lista di consigli utili per compiere il femminicidio perfetto:
1) intanto, se non la possiedi già, procurati una pistola. Non importa che te la procuri legalmente, tanto se poi finisci per sparare puoi sempre dire che vivi in una città pericolosa. Lo so che magari non vivi a Johannesburg come Pistorius, ma pure Roma, Napoli e Milano sono città pericolose e comunque puoi sempre mettere in mezzo zingari e marocchini, dire che ci sono stati furti in ville nella tua zona, dire che avevi paura dei ladri, di Equitalia, di Darth Vader, vedrai che chiuderanno un occhio. Magari modificala pure, come ha fatto Pistorius, che la pistola se l'era fatta esplodente, a punta cava, giusto perchè l'arma era una necessità, mica una passione.

2) Visto che ormai la pistola ce l'hai, non tenerla chiusa nel cassetto assieme al Momendol e al telecomando del ventilatore. Non ti limitare a tenerla lì nel caso un malintenzionato ti entri in casa. Fa come Pistorius, portala anche alle cene con gli amici. Lui, prima di uccidere la fidanzata, aveva sparato in un ristorante tanto per esplodere l'ultimo colpo in canna, tu puoi sempre far fuori Cracco se il controfiletto è troppo cotto o accoppare un bambino troppo rumoroso, che mi pare pure un utilizzo pure più efficace, anzichè sparare in aria come un Balotelli qualunque.

3) Se hai ex fidanzate che ti ricordano come un uomo violento, non preoccuparti. Non preoccuparti neppure se anche con la tua ultima fidanzata, quella che vuoi far fuori, il rapporto è burrascoso. Il giudice Thokozile Masipa ha detto chiaro e tondo che "i rapporti sono dinamici, non me la sento di giudicare". Capito? L'ex fidanzata di Pistorius (quella prima di Reeva) gli nascondeva la pistola sotto al letto non perchè temesse di essere crivellata, ma perchè i rapporti sono dinamici. Le continue liti tra Pistorius, gelosissimo, e la sua fidanzata, non potevano rappresentare un movente ma la spia di una dinamicità della coppia. Non esistono rapporti violenti, ma solo dinamici. Magari posta la frase su fb e attribuiscila a Barbara Alberti, alla Boldrini o a qualche altra paladina dei diritti delle donne, nessuno se ne accorgerà. L'ha detta un giudice donna, va bene. L'avesse detta un uomo, l'avrebbero appeso per le palle sul monumento più alto di Pretoria.

4) Riguardo i vicini di casa, stai sereno. Non importa che siano miti signore o una normalissima coppia di coniugi, come nel caso Pistorius, anzichè due mitomani appurati. Anzichè Gabriele Paolini e Marika Fruscio. Non importa che dicano, come nel caso Pistorius, di aver udito chiaramente le liti, le urla della vostra fidanzata, gli spari e voi che gridavate help help help. Gli avvocati trovano sempre tesi convincenti per sostenere l'innocenza del proprio assistito. Quello di Pistorius, per esempio, disse alla testimone che in realtà lei udì sempre e solo la voce di Pistorius, il quale quando grida emette degli acuti "molto femminili". E' negli atti, mica sto inventando. E alla fine il giudice ha stabilito che i vicini in fondo possono aver fatto un po' di confusione. Quindi, mio aspirante femminicida, fa un bel corso da soprano e vedrai che con la storia della voce da castrato, riuscirai a far passare i vicini per matti e te stesso per la nuova Conchita Wurst, altro che assassino.

sabato 30 agosto 2014

Editoria e Opera Omnia. Chi se non Hoffmann?

E.T.A. Hoffmann:
 "Notturni", traduzione di Matteo Galli, Roma, L’Orma, 2013, "Le Omnie", n°1, 384 p.
"Gli elisir del diavolo", traduzione di Luca Crescenzi, Roma, L’Orma, 2013, “Le Omnie”, n°2, 400 p.

Chi, se non Hoffmann? Provate a immaginare una casa editrice che decide di aprire una collana di classici, anzi di pubblicare le opere complete di un autore classico e di partire con uno scrittore classico, guarda caso, proprio di lingua tedesca. Classico, nel senso di: indiscutibilmente nel canone. Classico, anche nel senso di: pre-novecentesco (autori con uno o due piedi nel ’900 presentano spesso insormontabili problemi di diritti d’autore…). E provate a scorrere gli autori canonici della letteratura tedesca dei due secoli in questione, il Diciottesimo e il Diciannovesimo (prima del 1750 impensabile parlare di testi classici nella letteratura tedesca), tenendo conto di una serie di fattori: le dimensioni dell’opera e dunque la fattibilità di un’omnia, la situazione nell’attuale mercato editoriale italiano, il genere letterario/i generi letterari nei quali quell’autore si è cimentato, la popolarità complessiva.

Partiamo dalla situazione nell’attuale mercato italiano (ciò che, evidentemente, ci dice qualcosa anche sulla popolarità complessiva), prendiamo una qualche libreria online a caso e vediamo la top five, in base ai volumi disponibili sul mercato, nel giugno del 2013. Al primo posto c’è Johann Wolfgang von Goethe con 121 titoli, di cui poco meno di metà distribuiti fra: 20 edizioni dei Dolori del giovane Werther, 14 edizioni delle Affinità elettive e 13 edizioni del Faust; al secondo posto i fratelli Grimm con 89 titoli, tutte edizioni – molte delle quali per l’infanzia – delle Fiabe. A moltissima distanza con 32 titoli Friedrich Schiller e Heinrich von Kleist, con 31 E. T. A. Hoffmann. Seguono poi, ulteriormente distanziati: Friedrich Hölderlin e Theodor Fontane con 21, Adalbert Stifter con 19. Sopra i dieci titoli, anche: Novalis, Heinrich Heine e Gotthold Ephraim Lessing. Gli autori sotto i dieci titoli sono scrittori che di fatto in Italia non hanno mai davvero sfondato: Keller, Grillparzer, Tieck, Storm etc etc, e dunque arrischiarsi a presentare le loro opere complete non avrebbe molto senso.

Impensabile pubblicare le opere complete di Goethe, un’impresa ciclopica. L’opera completa dei fratelli Grimm? Uno, massimo due volumi, poi sarebbe già finita. Valutiamo allora le posizioni successive. Un’edizione completa del teatro di Schiller manca nel mercato italiano dal 1975, quando ne uscì una in quattro volumi presso Newton Compton con l’introduzione di Paolo Chiarini. Da allora qualche edizione singola, con uno, talvolta due, in rari casi tre drammi nelle principali collane tascabili. Rifare, ritradurre tutto Schiller, l’opera di un autore che per lo più scrive teatro e, testi d’importanza almeno equivalente, saggi filosofico-estetici? Impresa meritoria e doverosa, ma destinata a un pubblico molto settoriale. Il focus dell’opera di finzione è sul teatro e Schiller, anche stando alla presenza nei palcoscenici italiani, non è Shakespeare, non è Molière. Nell’800, anche grazie a Verdi, le cose magari stavano diversamente, ma adesso (spiace dirlo) Schiller non è più nel canone letterario del pubblico colto dei lettori italiani, né è immaginabile che torni in tempi brevi ad esservi. Ex-aequo con Schiller, 32 presenze anche per Heinrich von Kleist, forse anche in considerazione del fatto che il 2011 è stato l’anno kleistiano, duecento anni dalla morte. E infatti nel 2011 Mondadori ha pubblicato un Meridiano Kleist, con alcune traduzioni nuove di zecca, che vanno ad aggiungersi a 4 impeccabili edizioni kleistiane (con testo a fronte) negli Elfi di Marsilio e alla gloriosa edizione Garzanti, tradotta da Andrea Casalegno e introdotta da Giuliano Baioni. Può bastare; inoltre vale – seppur in misura misura minore – anche per Kleist la “questione” teatro: più di metà dell’opera kleistiana è – seppur di altissimo livello – teatro. E sui palcoscenici italiani Kleist non è…

Veniamo al quinto, staccato di una sola lunghezza: E. T. A. Hoffmann, 31 titoli di cui, in realtà, una decina fuori commercio. Alla fine degli anni ’60 del Novecento Einaudi aveva pubblicato tre volumi nei "Millenni", qualcosa poi era uscito sempre nei Tascabili Einaudi e in altre edizioni pocket, un’opera fondamentale nella storia del romanzo ottocentesco come le Considerazioni del Gatto Murr risulta oggi introvabile, la terza raccolta di Hoffmann, Die Serapionsbrüder (I Confratelli di San Serapione), smembrata e sparpagliata in tante diverse sillogi. Edizioni annotate: praticamente nessuna. Eh sì, Hoffmann sembra proprio l’autore che fa al caso nostro. Perché ha scritto quasi esclusivamente prosa – romanzi, novelle, fiabe – che è e resta il genere che funziona meglio. Perché è forse il classico tedesco che presenta il più funzionante sistema di doppia codificazione in grado di soddisfare sia le esigenze del pubblico più raffinato, interessato alla complessa rete di relazioni intertestuali, intermediali e interdiscorsive, a profonde questioni esistenziali ed estetiche, sia le esigenze del pubblico interessato a plot ben costruiti, a certi ammiccamenti, alla – contiguità con la – letteratura di genere di allora e di oggi.

Chi, se non Hoffmann? E l’omnia va dunque a incominciare con due fra i testi che meglio esemplano questa doppia codificazione: i Notturni e Gli elisir del diavolo, una raccolta di novelle e un romanzo risalenti alla fase mediana della, in fondo, brevissima (dieci anni scarsi) parabola creativa di Hoffmann che nel 1809 con Il cavaliere Gluck approda alla scrittura tardi, a 32 anni, pubblica la sua prima raccolta nel 1813 a 37, e muore a 46 anni, in un’epoca – la Goethezeit – in cui, a partire da colui che al periodo ha dato il nome, si esordiva a poco più di 20, con opere che catapultavano gli scrittori immediatamente nell’Olimpo della fama: Goethe, Schiller, Tieck, Wackenroder, Friedrich Schlegel, Novalis, Hölderlin. E poi magari si moriva altrettanto presto, o si impazziva.

Matteo Galli

Dalla presentazione editoriale dei Notturni:
"Anticipatore del realismo borghese e del surrealismo, narratore scapigliato di avventure ottocentesche e analizzatore dell’inconscio, umorista trascendentale e sognatore delle fiabe, antesignano dell’angoscia moderna e della dissociazione della personalità, esponente dello slancio romantico e ironico superatore dei limiti ideologici del romanticismo. Lo sguardo nei piú cupi abissi dell’inconscio e la pura liberazione nella fiaba, il divertimento piú spassoso e un procedimento strutturale per ‘simboli’ di straordinaria attualità (Claudio Magris).
Otto racconti per esplorare le origini della follia e dell’ossessione contemporanea. Il lato oscuro dell’esistenza prende una forma classica ed esemplare in queste storie visionarie che hanno cambiato la sensibilità moderna e ispirato Freud e i surrealisti. Da L’uomo della sabbia al Maggiorasco, queste novelle aprono una dimensione irrevocabile e irrinunciabile di pensiero e di immaginazione che inaugura quella passione per l’inconscio da cui nasce tutta la letteratura fantastica."
Dalla presentazione editoriale degli Elisir:
"Hoffmann è il maestro senza rivali del perturbante nella letteratura. Il suo romanzo Gli elisir del diavolo contiene una gran mole di temi che si è tentati di riferire all’effetto perturbante nella narrativa, ma si tratta di un racconto troppo complesso e oscuro perché ci sentiamo di darne un riassunto. (Sigmund Freud).

Gli elisir del diavolo è il primo romanzo di E.T.A. Hoffmann, uscito per la prima volta nel 1815. Ispirato al romanzo di M.T. Lewis Il monaco, Gli elisir gode fin da subito di grande popolarità, esercitando impressione e infuenza, tra gli altri, su autori come Poe, Dostoevskij, Hugo, Maupassant e Baudelaire.
Heinrich Heine riferisce di uno studente di Lipsia impazzito dopo la lettura del libro, il cui contenuto a lungo fu ritenuto scandaloso. Oggi è considerato il romanzo capostipite del romanticismo nero che custodisce nel legame tra l’amore e le forze oscure il suo fascino a distanza di due secoli. Romanzo erotico e religioso assieme, Gli elisir del diavolo ripercorre il tortuoso cammino spirituale di tentazione e redenzione del frate Medardus, che al fne di recuperare le perdute capacità oratorie, beve da una misteriosa boccetta lasciata da Satana in tentazione a Sant’Antonio e fnisce preda di contraddittorie pulsioni. Inizia così la sua discesa agli inferi, accompagnata al desiderio violento per una donna che lo porta a inseguire una serie di avventure sempre più lontane dallo spirito e sempre più vicine al corpo, il suo e soprattutto quello degli altri."

Da: http://www.germanistica.net

Antidoti: Il Vaso d'Oro, E.T.A Hoffmann

Momento: "Ritorno ai Classici". E dico "ritorno" perché sono illogicamente, quasi etilicamente (astemia, io) ottimista. Ma sono stanca di rivisitazioni. Ri-visitazioni? E cosa è successo, cosa hanno imparato nel corso dell'approfondita prima visita? Che massacrare è bello? Dissacrare può essere molto bello, se declinato da un genio, il resto è fuffa.
Così propongo la ri-lettura delle opere di E.T.A. Hoffmann. La scrittura non è particolarmente ricercata, sofisticata, originale... Eppure, questa banalità formale si trasforma in un pregio perché esalta ciò che dovrebbe essere un valore assoluto, ovvero, i contenuti: le invenzioni, i lampi e le saette, la fantasia delirante, magicamente imbrigliata in una trama coerente. Chi non l'avesse mai letto potrebbe avere un'impressione di déjà vu. Succede... quando si viene saccheggiati da contemporanei e posteri.
Mi rendo conto, volendo limitarmi ad una sola scelta, che proprio non ci riesco.
Intanto: Il Vaso d'Oro. Poi, Il Piccolo Zacchéo detto Cinabro e L'Uomo della Sabbia (a cui si ispirò Charles Nuitter per il libretto del balletto "Coppelia").
Il Vaso d'Oro è suddiviso in veglie, non in capitoli. Su Internet abbondano i riassunti, non voglio pensare né, tanto meno, sapere a che scopo.
Ho riassunto all'osso i riassunti delle prime tre veglie, tanto per...

Prima veglia
Dresda, primi dell’Ottocento - (Prima edizione: 1813, quindi, piena contemporaneità).
E' il giorno dell'Ascensione. Anselmus, un giovane studente (imbranato) esce per partecipare ai festeggiamenti, ma inciampa nel cestino di un'orribile vecchia: tutte le sue mele ruzzolano giù per la via. Anselmus svuota il borsellino (destinato ai suddetti festeggiamenti), ma non evita insulti e maledizioni ("Finirai nel Cristallo!").
Ormai senza più un quattrino, lo studente si apparta ai piedi di un sambuco, in riva all'Elba. E' il tramonto. Anselmus vive una visione, un invito della Natura e dell'Amore. Il suono di una campanella di cristallo: tra i rami si affacciano tre serpi, una ha gli occhi azzurri e Anselmus se ne innamora immediatamente.

Seconda veglia
Preso per un reduce dai festeggiamenti, Anselmus, confuso e imbarazzato, si convince di aver sognato. Incontra il vicepreside Paulmann che passeggia lungo il fiume insieme  con sua figlia Veronica e con l’attuario Heerbrand. Accetta il loro invito e partecipa ad una gita in barca sull’Elba. Anselmus vede la serpe guizzare nell’acqua e tenta di raggiungerla, trattenuto dal barcaiolo. Anche questa volta, si convince d'aver sognato o di essere stato ingannato dai riflessi dei fuochi d'artificio sull'acqua.
A casa dei Paulmann, Veronica, che si è decisamente innamorata di Anselmus, canta per gli ospiti. La sua voce viene paragonata al suono argentino di  una campanella di cristallo. Anselmus dissente vigorosamente: lui l'ha sentita davvero una voce che risuona come una campanella di cristallo.
Convinto, come gli altri, che il giovane sia in preda a vaneggiamenti a causa della precarietà in cui vive, Heerbrand gli propone un lavoro come copista presso l’archiviarius Lindhorst, un personaggio eccentrico, legato al mondo della magia e dell'alchimia. Il mattino dopo Anselmus, puntuale e ben vestito, si reca dall’archiviarius. Ma il picchiotto della porta di casa si trasforma prima nell'orribile vecchia delle mele che gli ripete la formula della maledizione, e, quindi, in un serpente bianco che si attorciglia intorno ad Anselmus. Lo studente perde i sensi.

Terza veglia
In un Caffé, l’archiviarius Lindhorst racconta il mito dell'Amarillide e del principe Phosphorus il cui amore trionfa contro un Drago custode dei metalli della terra.
Afferma però, che si tratta della vera storia dei suoi antenati.
Nel Caffé ci sono anche il preside Paulmann e Anselmus. Paulmann ripropone la candidatura di Anselmus al posto di copista, e Lindhorst accetta di assumerlo, sembrandone, però, contrariato.

L'Uomo della Sabbia è nella raccolta "Racconti Notturni".




Se Il Vaso d'Oro non è nel catalogo Einaudi, ripiegare sugli Oscar Mondadori. Mai, Garzanti. ("Il Piccolo Zacchéo detto Cinabro" è in genere fra "e altri racconti", sia con Il Vaso d'Oro che con Gli Elisir del Diavolo).
L'ideale sarebbe l'opera completa di E.T.A. Hoffmann nella collana "I Millenni", Einaudi.



Se l'alternativa è Garzanti, meglio in Inglese.



Da:
http://zerkalo-mitomania.blogspot.it/2014/08/antidoti-il-vaso-doro-eta-hoffmann.html

mercoledì 27 agosto 2014

Nicole (Dogs Never Bite Me. Just Humans. - Marilyn Monroe)




Si era fatta chiamare Nicole, era il nome che aveva scelto per rivendicare la sua indole femminile, ma era nata con le fattezze di un uomo e con i vestiti di un uomo è stata sepolta. È accaduto ad Avenza, nei pressi di Massa Carrara. Nicole è morta a 36 anni dopo una lunga malattia, da vent’anni era transessuale, eppure i genitori non hanno resistito al desiderio di ricondurla nell’immagine che conservavano in cuore, quella di un bambino, il figlio che hanno amato senza mai riuscire ad accettare le sue scelte di adulto. Una debolezza comprensibile - nella vita vera i costumi sociali cambiano meno rapidamente che nelle fiction televisive - ma certo è stato un duro colpo per le amiche e gli amici di Nicole vederla nella bara in giacca e cravatta, privata della sua identità, questa volta sì travestita. E sarebbe stato ancora più duro per Nicole, che da ragazza avrà lottato come tutti i transessuali per affermare se stessa, trovarsi addosso, e per sempre, i panni di un uomo. icole era ciò che aveva deciso di essere Come se il suo fosse stato uno sbaglio e quello di adesso un ravvedimento estremo.
Ma Nicole era ciò che aveva deciso di essere, perché al di là delle apparenze non è la natura a stabilire chi siamo: è il nostro percorso sulla terra, il nostro modo di stare in mezzo agli altri, la nostra vocazione. Come ogni altro essere umano, anch’io ho una conformazione anatomica e dei tratti somatici dettati dalla genetica, ma non sono mai solo il mio corpo, io sono essenzialmente i miei atti, le mie parole, i miei gesti, i miei comportamenti, le mie maschere, tutto ciò che produco nel contesto sociale, ovvero ciò attraverso cui gli altri mi riconoscono. Se ha un senso l’esortazione di Nietzsche "Diventa ciò che sei" ce l’ha nel senso che già le dava Pindaro: "Diventa ciò che hai appreso di essere".
A differenza degli altri animali, la persona non trova già determinata la propria identità, ma la scopre nella relazione col mondo, facendone esperienza - un’esperienza intima quanto più condivisa - e al contempo affermandola. Non si possono certo biasimare le madri e i padri che affrontano il dolore idealizzando l’album dei ricordi, ma il loro amore sarà davvero compiuto quando accetteranno la separazione, l’autonomia, le volontà di chi hanno cresciuto.

Di Mauro Covacich
www.corriere.it

L'Associazione consultorio transgenere, Mit (Movimento Identita' Transessuale), Associazione Mondo Arcobaleno, Lgbt scrivono:
"Essere trans le ha dato quella dignità che sentiva essere sua. Per tutti era Nicole, la sua semplicità e il suo sorriso davano consiglio a chi non aveva ancora intrapreso il percorso. La famiglia, da sempre al corrente, non è stata in grado nemmeno nel momento doloroso del trapasso di rispettarla per quello che era, per quello che da sempre attraverso il suo modo di vivere, di riconoscere che il suo essere coerentemente donna giorno per giorno non era legato a un capriccio ma era più grande di lei e apparteneva al suo genere. Sentirsi imprigionata in un corpo che non ti appartiene è da sempre una battaglia che le persone transessuali vivono da subito. Lo stigma sociale che spesso le porta a vivere ai margini della società per Nicole non è stato certo più semplice, ma era riuscita attraverso la sua determinazione a imporsi. A nulla è valso! La famiglia era certamente al corrente del suo percorso. All'età di 37 anni lei viveva la sua identità di genere alla luce del sole. Il suo essere donna non era certo un capriccio ma una priorità da sempre. Siamo mortificati, delusi, imbarazzati nel venire a conoscenza che nemmeno da morti venga rispettata la nostra volontà. Vedere Nicole vestita da uomo nella triste bara con la giacca e la cravatta che la porteranno verso un'altra vita ci rammarica fortemente. Siamo certi che verrà ripagata della sofferenza e del martirio che a causa della colpa e dell'ignoranza siamo costrette a vivere in quanto persone transessuali. Riteniamo questo atto una mancanza di rispetto ed un insulto alla sua intelligenza, certi del fatto che se giustizia esiste le sarà resa".


sabato 23 agosto 2014

23 Agosto 1927: Assassinati Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

Il 23 agosto 1927, Nicola Sacco, anarchico e calzolaio, e Bartolomeo Vanzetti, anarchico e pescivendolo, muoiono sulla sedia elettrica, assassinati dal pregiudizio, dal razzismo, dall'intolleranza politica e dalla Giustizia americana.




A seguire, le ultime parole pronunciate da Bartolomeo Vanzetti in tribunale, trascritte, e nell'interpretazione di Gian Maria Volontè ("Sacco e Vanzetti", film del 1971 diretto da Giuliano Montaldo). Riccardo Cucciolla nel ruolo di Nicola Sacco.

"Sí. Ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato. Non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto, primo fra tutti: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo.
E se c'è una ragione per la quale sono qui è questa e nessun'altra. Una frase... Una frase mi torna sempre alla mente:
"Lei, signor Vanzetti, è venuto qui, nel paese di Bengodi, per arricchire!". Una frase che mi dà allegria. Io non ho mai pensato di arricchire: non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando per colpe che effettivamente ho commesso. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico, e mi sun anarchic; perché sono italiano, e io sono italiano, ma sono così convinto di essere nel giusto che, se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e io per due volte potessi rinascerere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto. Nicola Sacco. Il mio compagno Nicola! Sì, può darsi che a parlare io vada meglio di lui, ma quante volte, quante volte - guardandolo, pensando a lui, a quest'uomo che voi giudicate ladro e assassino e che ammazzerete... Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni, non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome - il nome di Nicola Sacco - sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo ringraziarvi. Senza di Loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati: un buon calzolaio, un bravo pescivendolo... E mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini... Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati!"





Rodolfo e Valentino

Rodolfo Guglielmi, in arte e nella leggenda  Rudy Valentino, morì di peritonite il 23 agosto del 1926, al  Polyclinic Hospital di New York, dopo otto giorni di dolorosa agonia. Tutto: dalle sue origini, alle inclinazioni sessuali, fino alle circostanze della morte, tutto ciò che lo riguardò risulta in qualche modo sfuggente, alterato inevitabilmente dalla leggenda o proditoriamente da chi aveva interesse ad alimentare la leggenda. Trentuno anni, solo sei anni di carriera cinematografica, un pugno di film mediocri, due mogli, due divorzi, un'amante famosa e nessuno prima di lui, nessuno dopo di lui, è mai stato oggetto di un amore virtuale più fanatico, talmente banale nella sua essenza da rasentare il Sublime. 
"Mentre il cadavere di Valentino era esposto solennemente alla Campbell Funeral Home, le strade di New York diventarono la scena di un delirio collettivo mai verificatosi prima: una folla di centomila persone faceva furiosamente a pugni per arrivare a dare l’ultimo sguardo al Grande Amante.
Quando le sue spoglie mortali furono trasferite per essere sepolte nella Corte degli Apostoli del Memorial Park Cemetery di Hollywood, Rudy Vallee*, un cantante dell’epoca, sussurrava una canzone commemorativa da tutte le radio degli Stati Uniti: "C'è una nuova stella in cielo questa sera, Rudy Valentino". Valentino l'attore, una leggenda vivente, era morto. Ed ecco che cominciarono a proliferare le leggende post-mortem. I pellegrini fecero della sua tomba una seconda Mecca; una tomba che è tuttora sempre adorna di omaggi floreali.
In occasione dell'anniversario della sua morte compariva una processione di donne in lutto e la famosa Dama in nero. Nel De Longre Park fu innalzata in suo onore una statua (unica eretta ad Hollywood ad un divo del cinema) chiamata "Aspirazione".
Da:
http://www.fondazionevalentino.it



"Fu con la sua morte che nacque l’inedito fenomeno di necrofilia divistica che esplose nel corso delle onoranze funebri più sensazionali mai viste a New York. Il passaggio dell’immensa folla nella camera ardente, allestita alla Campbell Funeral Home, provocò lo sfondamento delle vetrate con cento feriti e attimi di terrore. Proprio per evitare che il cadavere fosse vittima di atti di fanatismo, sembra che nella bara scoperchiata, in cui il divo giaceva perfettamente truccato e vestito e coi capelli impomatati, ci fosse solo una copia in cera del suo corpo. Fu, invece, una trovata pubblicitaria di un press-agent dell’impresa di pompe funebri il piantonamento del feretro da parte di un uomo in camicia nera sull’attenti, vicino a una corona di fiori fasulla con la scritta 'Da Benito (Mussolini)'. 



 Occorsero, poi, innumerevoli carri per sgombrare la zona da quintali di fiori spediti da ogni angolo del pianeta (4000 rose rosse le aveva fatte portare Pola Negri, la sua ultima fidanzata), mentre un aereo sparse petali di rosa lungo il tragitto funebre. Per la morte di Rudy, si disse, trentacinque donne si tolsero la vita, quaranta si dichiararono incinte e un fattorino dell’ascensore del Ritz di Parigi fu trovato morto su un letto coperto d’immagini dell’attore. E anche quando la salma fu trasportata in treno a Los Angeles ad ogni sosta esplosero manifestazioni d’isteria collettiva. Durante il servizio funebre solenne, prima della tumulazione all’Hollywood Memorial Park Cemetery, il lavoro in ogni studio cinematografico della California fu interrotto per due minuti di raccoglimento. L’omaggio che, forse, Rodolfo avrebbe gradito maggiormente, visto che era stato proprio grazie al cinema che, oltre al successo ed alla ricchezza, era riuscito a rendere universale la sua voglia di piacere a tutti".
Da:
http://gaetanolopresti.wordpress.com

Il confine tra come amava rappresentarsi, o come gli conveniva rappresentarsi, e come la Leggenda lo plasmò e tramandò fino ai nostri giorni è esilissimo. Tenebroso e languido amante latino dalle improbabili origini aristocratiche o contadino pugliese analfabeta ed emigrante per fame atavica. In realtà, nasceva da una famiglia borghese, ebbe una buona educazione, di cui non approfittò, e la sua condizione, all'epoca piuttosto privilegiata, precipitò in seguito alla morte prematura del padre. Era sicuramente ambizioso e sicuramente insofferente degli orizzonti limitati che la Puglia prima, l'Italia poi, avevano da offrirgli.
"Rodolfo Pier Filiberto Raffaello Guglielmi, in arte Rudolph Valentino, nacque a Castellaneta in via Commercio 34, (oggi via Roma 116) il 6 maggio 1895 da Giovanni Guglielmi, dottore in veterinaria ed ex capitano di cavalleria, e dalla gentil donna Maria Berta Gabriella Barbin, figlia di un medico francese e dama di compagnia della marchesa Giovinazzi.
I tanti nomi rivelano alcuni ingredienti di pretesa nobiltà che si mescolarono poi nel suo personaggio: derivò il cognome Valentino da un asserito casato "di Valentina d’Antonguolla" che fondeva un vecchio titolo papale con diritti di proprietà rivendicati dai Guglielmi sui terreni confiscati vicino a Martina Franca, luogo d’origine della famiglia.
Rodolfo Guglielmi visse fino a nove anni a Castellaneta, qui frequentò le prime tre classi elementari avendo come maestri Nicola D’Alagni, Francesco Miraglia - Quero; completò le scuole elementari, con mediocri risultati, a Taranto dove il padre dovette trasferirsi per esercitare la sua professione.
Aveva undici anni quando morì il padre, perciò, in seguito, ebbe la possibilità di frequentare il Collegio - convitto per gli orfani sanitari italiani a Perugia.
A Perugia non fu un allievo modello, anzi venne radiato per indisciplina. Tentò allora di entrare nell’Accademia di Marina a Venezia, ma fu dichiarato inabile al servizio della Regia Marina per insufficienza toracica e scarsità visiva; decise, infine, di studiare tecnica agraria e ottenne a diciassette anni il diploma di agente rurale a S. Ilario di Nervi, in provincia di Genova.
Però Valentino, spirito ribelle e cittadino del mondo, non aveva alcuna intenzione di tornare in Puglia per dedicarsi all'agricoltura (ritornerà a Castellaneta ormai attore famoso, una sola volta nel 1923).
Nel 1913 volle allora andare a Parigi dove apprese l'arte del tango. Non volendo tornare indietro, "l’Italia è troppo piccola per me" disse ad Alberto, suo fratello, s’imbarcò nel dicembre 1913 sul piroscafo tedesco "Cleveland", diretto in America per la sua grande avventura."




La condanna di nascere borghese e continuare ad esserlo malgrado tutto, di vivere, lui  ordinario, una situazione  straordinaria deve aver avuto un effetto straniante e, per molti versi, frustrante. Era attratto da chi riteneva  fuori dall'ordinario, forse sperando di diventare - per contagio - il protagonista ideale della propria incredibile vita.
"Great lover", grande amante sullo schermo, amante fedele, non proprio irresistibile, invece, nella vita privata, per alcuni addirittura omosessuale. La verità è che in Valentino era ben sviluppato il desiderio mediterraneo di un andamento domestico ordinato e comodo. Con gran dispiacere dei cronisti mondani, Valentino non frequentava molto le feste; non era un ubriacone, non era un effeminato, nonostante l'accusa di essere "un piumino da cipria rosa". La sua vita fu priva di quegli scandali sensazionali di cui furono protagonisti, altri divi. Scoppiò solo uno scandalo: dopo un breve matrimonio, con l'attrice Jean Acker, si innamorò di Natacha Rambova, (pseudonimo di Winnifred Shaughnessy, figliastra di un magnate dell’industria dei cosmetici, ballerina e scenografa di raro talento) e la sposò nel maggio 1922, prima di aver concluso formalmente il divorzio con la sua ex moglie, perciò fu accusato infondatamente di bigamia. La Rambova ebbe un’influenza notevole su Valentino: disprezzando il mondo finto di Hollywood e il cinema popolare americano, lo spinse a litigare con diversi studi cinematografici; lo obbligò a vivere nel modo stravagante che per lei sembrava appropriato ad una stella del cinema; incoraggiò il suo interesse per lo spiritismo, tanto che Valentino pubblicò un libro di poesie dettate dall’aldilà dal suo spirito guida, il pellerossa Penna Nera.
Da
http://www.fondazionevalentino.it

 Valentino e la Rambova


venerdì 22 agosto 2014

Frances Farmer: La Vera "Storia Vera" - Quinta e Ultima Parte

"Sono stata violentata da inservienti, morsa da topi e avvelenata con cibo guasto. Sono stata incatenata in celle imbottite, immobilizzata con camicie di forza e semiannegata in bagni ghiacciati".

"Le condizioni di vita erano intollerabili: criminali e ritardati mentali erano stipati nelle stesse celle, il cibo veniva gettato sul pavimento lurido e i reclusi dovevano lottare tra loro per entrarne in possesso. La Farmer fu nuovamente sottoposta a elettroshock continui e regolari. Inoltre fu prostituita ai soldati della base militare locale, violentata e maltrattata dagli inservienti. 'Uno dei ricordi più vividi di alcuni veterani della clinica era la vista di Frances Farmer immobilizzata dagli inservienti e violentata da bande di militari ubriachi.' Infine veniva usata come cavia per la sperimentazione di farmaci quali torazina, stelazina, mellaril e prolixin."

Negli anni '40, nel Western State Hospital erano ricoverati 2500 pazienti, 500 in più delle capacità massime di accoglienza. La manutenzione degli edifici dell'ospedale, fatiscenti costruzioni risalenti all'inizio del secolo, era nulla. 
Nel '47, un incendio ne aveva devastato un'ala e due pazienti erano morti. 
Le precarie strutture tirate su alla bell'e meglio nel momento della massima emergenza divennero permanenti: due anni più tardi erano ancora in funzione.
Il personale era costituito in tutto da 15 infermieri, assistiti da 23 allieve-infermiere: 107 era il numero di operatori considerato appena sufficiente dall'Istituto Superiore di Sanità .
Sulla base di questi presupposti, non stupisce che gli amministratori del Western State Hospital fossero aperti alla sperimentazione di qualsiasi innovativa tecnica chirurgica che permettesse di svuotare rapidamente le corsie, promettendo un tranquillo ritorno dei pazienti in seno alle rispettive famiglie. 
Come non accogliere a braccia aperte il buon Dr. G. Freeman, neurologo e psichiatra di Washington D.C., inventore della lobotomia transorbitale, il cui motto era: "La lobotomia li manda a casa" ? 
Il 19 agosto del '47, operò 13 pazienti del Western State Hospital. Evidentemente euforici per il buon risultato delle sue pratiche, i vertici della struttura manicomiale lo invitarono nuovamente nel '49. Questa volta, il Dr. Freeman si occupò di un nutrito numero di pazienti. Non solo. Convinse della bontà del suo metodo diversi medici ai quali insegnò la sua tecnica. 
In che cosa consisteva? In fondo, era molto semplice: si introduceva sotto la palpebra del fortunato paziente uno strumento sottilissimo, simile ad un rompighiaccio, fino a raggiungere il lobo frontale del cervello, dove, secondo la sua teoria, era sufficiente troncare il collegamento a quei nervi il cui malfunzionamento si riteneva fosse responsabile di gravi disturbi psicologici. 
Un reporter del Seattle Post-Intelligencer scattò quella che divenne la foto sulla lobotomia transorbitale più famosa e riprodotta del mondo; certo, l'interesse che esercitava ed esercita non fu diminuito dalla confessione in punto di morte con cui, nel 1972, il Dr. Freeman salutò il figlio Frank, prima di partire per il paradiso dei bisturi ultrasottili e dei lobotomizzati superfortunati: la donna ritratta nella foto mentre veniva sottoposta all'intervento di lobotomia era Frances Farmer . Circostanza confermata da William Arnold, autore del libro "Shadowland" su cui, in larga parte, si basa il film "Frances", del 1982, interpretato da Jessica Lange.*

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Ma pochi credono alla confessione del Dr. Freeman. E' stato sufficiente un esame scrupoloso dell'immagine per concludere che quella sfortunata paziente non poteva essere Frances. Il che, tuttavia, non ne diminuisce affatto l'impatto e la drammaticità, né esclude l'ipotesi che Frances sia effettivamente stata lobotomizzata.
C'è da dire che i parenti di Frances hanno sempre negato di aver autorizzato i medici del Western State Hospital a sottoporla a questo genere di intervento; in un memoriale pubblicato nel 1978, Edith, sorella di Frances, affermò che i dirigenti del manicomio avevano vivamente sollecitato la sua famiglia perché concedesse l'autorizzazione all'operazione, ma che tale pressante invito era stato restituito al mittente, in particolare dal padre di Frances che si diceva inorridito da tali pratiche. Anzi, oltre ad opporsi decisamente alla lobotomia, l'ottimo genitore avrebbe minacciato di azioni legali l'ospedale nel caso la sfortunata figlia fosse stata oggetto di uno dei loro esperimenti chirurgici "guinea pig".
La stessa Frances, nel corso di un'intervista registrata nel '68, dichiarò che molte donne ricoverate con lei avevano pregato di essere lobotomizzate perché era stato detto loro che sarebbe bastata la recisione di un piccolo nervo per ottenere guarigione e fine delle sofferenze. Ma affermò di non aver mai subìto tale intervento. In seguito, anche tre ex-infermiere del Western State Hospital smentirono Freeman.
Comunque, per ragioni che rimarranno nel novero dei grandi misteri esistenziali, il 23 marzo 1950, Frances fu improvvisamente rilasciata sulla parola e affidata alla custodia della tenera madre. Secondo alcune fonti, il padre ottenne il suo rilascio dichiarando solennemente che la presenza della figlia era necessaria in famiglia: sia la sua salute che quella della ex-moglie, reduce da un colpo apoplettico, declinavano rapidamente. Non credo sia un pettegolezzo, né mi sorprende o scandalizza minimamente, che Frances sia rimasta profondamente amareggiata all'idea di essere liberata al solo scopo di accudire coloro che l'avevano spedita all'inferno.
Liberata nel '50, riottenne pienamente tutti i diritti civili solo nel '53, e solo dopo aver fatto ricorso alla Corte Suprema. Andò a vivere all'Olympic Hotel  (proprio quello in cui i "pezzi grossi" avevano festeggiato la loro "Cinderella-girl"!), ma non come ospite: lavorava nella lavanderia dell'albergo. 
Nel '54 si risposò... e, sei mesi più tardi, mollò marito e genitori e si stabilì in California, ad Eureka. Perché proprio Eureka? "Perché era il posto più lontano da Seattle che le sue magre finanze le permisero di raggiungere!"
Si fece chiamare Frances Anderson e visse - si presume - tranquillamente per tre anni, lavorando come segretaria.
Non ebbe più alcun rapporto con i genitori, che morirono ad un anno di distanza l'uno dall'altra. Sua madre l'aveva nominata unica erede: giusto il tempo di vendere la casa di famiglia per 5.500 dollari e abbandonò Seattle definitivamente.
Meglio Eureka.
Nel '57, conobbe una curiosa razza di "consulente per la televisione e la radio", Leland C. Mikesell, una sorta di lelemoriano-fabri-crown, che fiutò l'affare...
E, qualche tempo dopo, ad un fortunato giornalista di San Francisco, magari aiutato da una disinteressata spifferata, capitò di scoprire che l'infelice, affascinante Frances Farmer , la "nuova Garbo", lavorava come receptionist in un albergo della città. Ai giornalisti raccontò che aveva abbandonato l'alcol e incontrato Dio: "Non accuso nessuno per la mia caduta in disgrazia - affermò nobilmente - Credo di aver vinto la mia battaglia per l'autocontrollo". 
La adorarono. Gli Americani adorano le americanate. E niente li fa star meglio di un povero disgraziato (giusto un cincinino più sfigato di loro) che si umilia pubblicamente, proclamando il proprio ritorno da figliuol prodigo in seno alla società e alla fede (una a caso, va bene).
Ed Sullivan la invitò per ben due volte al suo show.
Si mostrarono magnanimi: le perdonarono la sua infelicità.
E, dopo 15 anni, Frances tornò a recitare in teatro, nel ruolo di una donna che tentava di rimettere insieme i pezzi della sua vita dopo 15 anni di esilio.
L'anno successivo, lavorò in originali televisivi, e in produzioni teatrali estive. Girò un unico film, l'ultimo, "The Party Crashers". E si risposò... con Leland C. Mikesell, of course. Un'unione che non durò più delle precedenti. Già verso la fine del '58, capì che il "nuovo inizio" della sua carriera era già terminato: non era più una novità, una curiosa attrazione, e le proposte di lavoro svanirono.
Una televisione locale di Indianapolis le offrì di condurre un programma pomeridiano sul cinema, "Frances Farmer Presents": avrebbe introdotto il film del giorno ed intervistato celebri attori. Accettò la proposta e si trasferì a Indianapolis.


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Aveva trovato una "cuccia"? Uno show, modesto ma tutto suo, che le permetteva di muoversi, comunque, nel suo ambiente, che le garantiva una stabilità economica, un reddito dignitoso, ed un ruolo sociale di un certo prestigio: era richiestissima come speaker in convegni e conferenze e collaborava attivamente con la Filodrammatica della Pardue University. Poi, pian piano, crepa dopo crepa, tutto le crollò nuovamente addosso.
Divenne sempre più volubile e caratteriale, con repentini sbalzi d'umore.
"All'improvviso, senza una ragione apparente, Frances iniziava ad imprecare come una camionista ", dichiarò un ex-collega di lavoro.
"Quell'amabile, affascinante, sensibile, elegante signora inveiva contro il regista o qualcun altro, e se ne andava via..." (Indianapolis Star).
Venne licenziata nell'aprile del '64. Riassunta due mesi più tardi, fu nuovamente licenziata alla fine dell'estate. Tuttavia, durante l'estate, lavorò ancora con la Filodrammatica universitaria interpretando un ruolo in "Look Homeward, Angel"
Arrestata in stato di ebbrezza, non tornò mai più in un teatro.
Tentò di mettersi in affari un paio di volte con altrettanti amici-soci, ma fu un fiasco. Nuovo arresto in stato di ebbrezza, e ritiro per un anno della patente.
Nel '68, incominciò a lavorare alla sua autobiografia, ma non la completò. Morì per un cancro all'esofago il 1 agosto del 1970, poche settimane prima del suo cinquantasettesimo compleanno. Fu seppellita ad Indianapolis, sei amiche portarono la sua bara.
Il pensiero seattliano, ufficioso ed ufficiale, è che, se non avesse avuto una vita così disgraziata e tumultuosa, e se il cinema non si fosse innamorato della sua storia, nessuno ricorderebbe la pur bellissima attrice di un solo grande successo. Si tende anche a minimizzare, o a rendere meno drammatico, il suo trascorso da internata. Si allude, insomma, ad una sorta di leggenda metropolitana, rimbalzata dalla cronaca alla narrativa, dalla narrativa al cinema...
Chisssssenefrega!
Kurt Cobain da Seattle la amò, le dedicò una canzone e chiamò la propria figlia Frances in suo onore.


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Ho controllato informazioni e preso alcune foto qui:
http://www.historylink.org/

*William Arnold , "Shadowland"
Ricordo, ancora una volta, che su questo libro fu largamente basato il film "Frances", del 1982, di Graeme, con Jessica Lange, Sam Shepard, Kim Stanley.




Frances Farmer e Jean Ratcliffe , "Will There Really Be a Morning ?"

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mercoledì 20 agosto 2014

Frances Farmer: la Vera "Storia Vera" - Quarta Parte

Fu in quel periodo, nei primi anni '40, che incominciò a bere duro - come ricorderà poi.
È molto probabile, inoltre, che già dagli inizi della sua esperienza cinematografica fosse dipendente dalle amfetamine. Soltanto negli anni '70 vennero scoperti e resi noti i pesanti effetti collaterali derivanti da un uso incauto di benzedrina (il nome con cui l'amfetamina era commercializzata): poteva provocare sintomi molto simili a quelli osservati nei pazienti affetti da schizofrenia.
A quei tempi. l'uso era perfettamente legale. E di facile accesso. I medici delle attrici, modelle, e delle signore dell'high society la consigliavano caldamente come inibitore degli stimoli della fame.
Certo, non solo attrici e modelle erano ossessionate dal peso.
"Non si è mai né troppo magre né troppo ricche" era un motto già in voga a quell'epoca. Non l'hanno inventato gli sceneggiatori di "Sex & the City".
Fino all'ingresso trionfale del business della chirurgia plastica, molari sani venivano estratti per scavare le guance ed evidenziare gli zigomi; le ultime costole, le "fluttuanti", venivano resecate per permettere l'uso di quelle splendide cinture-bustini di vernice....
Questa follia era incominciato molto prima della meteora-Frances e continuerà per anni e anni dopo di lei.
Non sapremo mai se fosse affetta da una qualche turba mentale o se sia stata vittima dell'uso e dell'abuso di alcol e benzedrina.
Nell'ottobre del '42, (tempo di guerra), fu fermata da un poliziotto perché guidava con gli abbaglianti accesi in una zona in cui non era consentito.
Reagì, si infuriò (il poliziotto riferì che gli aveva gridato:"Mi hai scocciato!") ed il fermo venne trasformato in arresto per guida senza patente ed in stato di ebbrezza, e per la mancata osservanza della restrizione sull'uso degli abbaglianti.


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Fu condannata a 180 giorni di prigione, ( ma la pena fu sospesa), e ad un'ammenda di 250 dollari. Ne pagò subito la metà, impegnandosi a versare il resto entro breve tempo.
Una produzione indipendente le aveva offerto un ruolo in un film di serie b. Accettò e partì per il Messico dove si svolgevano le riprese.
Abbandonò il set dopo un paio di settimane e tornò a casa: i parenti l'avevano sloggiata dal bungalow in affitto e piazzata in un albergo. Ufficialmente perché a corto di soldi.

Nel gennaio del '43, ottenne una parte in un'altra produzione a basso costo. Il primo giorno di lavorazione, schiaffeggiò un parrucchiere che cadde malamente slogandosi la mascella. Fu denunciata e saltò fuori la multa che non aveva mai finito di pagare, nonché la violazione della libertà vigilata.
Andarono a prelevarla in albergo il mattino dopo. The Seattle Times riportò le circostanze dell'arresto.
Giornalisti e fotografi non videro la splendida attrice dall'aria spirituale e raffinata: Frances aveva gli occhi pesti ed iniettati di sangue, recava tutte le evidenti tracce di una sbronza colossale e di un dopo-sbronza devastante.
Durante l'udienza in tribunale, tenne un comportamento sfrontato e provocatorio. Al giudice che le chiedeva se avesse mai bevuto alcol dopo il primo arresto, rispose: "Tutto quello che sono riuscita a bere, e ne avrei bevuto anche di più ! E mi sarei fatta tutta la benzedrina che mi fosse capitata a tiro!"
L'udienza si concluse con una rissa.
Frances fu trasportata fuori di peso, e, mentre veniva trascinata via, urlò: "Non avete mai avuto il cuore spezzato?"


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Quelle foto girarono per tutto il Paese. Anche a Seattle delle piogge.
Mammina, in un primo tempo, disse che si trattava di una trovata pubblicitaria per il lancio di un nuovo film, una specie di esperimento-verità per il ruolo in preparazione.
Poi disse che Frances era preda di un grave esaurimento nervoso a causa dei ruoli di "puttana" che la costringevano a sostenere.
Infine, addossò ogni responsabilità all'Internazionale Comunista.
Nessuno internò lei.

Frances trascorse solo una notte in cella. L'indomani, pare su intervento di un noto psichiatra, Thomas H. Leonard, contattato dalla famiglia, e con l'interessata mediazione di Ruth Farmer, moglie di suo fratello Wes, nonché vice-sceriffo della contea di Los Angeles, venne trasferita nel reparto psichiatrico del Los Angeles General Hospital.
Il dottor Leonard riferì alla stampa che la sua famosa paziente soffriva di "una psicosi maniaco-depressiva" che lui leggeva come sintomo precursore di "una sicura demenza senile precoce", diagnosi che, più tardi, verrà definita "un'assurdità incomprensibile".
La stampa, per parte sua, sintetizzò la brillante diagnosi in "squilibrio mentale". Punto.
Qualche giorno più tardi, Frances viene trasferita nella clinica per divi del cinema La Crescenta, in San Fernando Valley.
Ha così inizio il suo calvario da istituzionalizzata, che, fra alterne vicende e qualche breve pausa, durerà 7 anni.
In ospedale, fu confermata la diagnosi di sindrome "maniaco-depressiva", ma  gli psichiatri che l'ebbero in cura mostrarono una generosa fantasia diagnostica: offrirono, in alternativa, una diagnosi di "schizofrenia con delirio paranoide", senza escludere una semplice depressione.
Molte idee e completamente confuse. Grottesco, divertente se non avessero dato sfogo ai loro autonomi deliri sulla pellaccia di un essere umano, di una donna in carne, ossa e neuroni!

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Né la terapia cui fu sottoposta rende meno grave la loro sadica ignoranza.
Fra l'altro, la "curarono" con lo shock insulinico, terapia inventata a Vienna nel '22 dallo psichiatra Manfred Sakel. Le praticavano una overdose di insulina che procurava forti convulsioni e coma. L'idea di base era che il cervello, sottoposto ad un trauma così violento, "ripartisse" , ripristinando una normale funzionalità.
Quando questa orrida terapia verrà dichiarata illegale, le motivazioni furono che essa non soltanto era inutile, crudele e pericolosa, ma altamente nociva: "una brutale tortura psichiatrica che toglie al corpo la sensibilità e provoca danni cerebrali estesi".
Frances denunciò che questo trattamento le aveva procurato, oltre a stordimento e confusione mentale, nausea, forti dolori fisici ed un profondo stato di prostrazione.
"Si rese conto che gli psichiatri stavano distruggendo sistematicamente l'unica àncora di salvezza della sua vita: la fiducia nella propria creatività".
Per andarle incontro, e nonostante il suo organismo reagisse negativamente alla "cura", le inflissero altri 90 shock insulinici. In 7 mesi.
Infine, dopo ripetute fughe della figlia e le sue continue denunce, e, forse, timorosa della pubblica opinione, mammina si preoccupò e insistette perché la dimettessero.
Tornarono insieme a Seattle nel settembre del '43.
Apro una parentesi.
Il giornalista Jeffrey Kauffman, critico del biografo ufficiale e, più in generale, seguace della corrente di pensiero "seattliana" che preferisce leggere la storia di Frances come una leggenda metropolitana - corrente di cui parlerò in seguito - tende a scaricare parecchie responsabilità dalle spalle della madre di Frances per addossarle al fratello Wes ed alla cognata vice-sceriffo Ruth.
Pare che, dopo il primo arresto, quando, presumibilmente spaventata e
disorientata, Frances trovò rassicurante persino l'idea di tornare a "casa", l'iniziativa di farle ritrovare i propri effetti personali in una camera d'albergo sia stata proprio di Ruth, che, in quell'occasione, distrusse le bozze dell'autobiografia a cui Frances aveva incominciato a lavorare ( "Avevo paura che finisse in mani sbagliate", si giustificherà in seguito). Abbiamo visto il suo ruolo nel primo ricovero, anche se le risparmiò la prigione. Peccato che la decisione fra le due alternative, galera/manicomio, non sia stata lasciata alla stessa Frances.
Personalmente, avendo letto nei dettagli le prove alla base delle ipotesi, non escludo nulla. Perché Lillian e Ruth non possono aver agito in perfetto accordo, esponendosi una volta l'una, una volta l'altra, secondo l'opportunità o la necessità del momento?
Torniamo a Seattle.
Affidata alla madre, fra  brevi tentativi di fuga, la sua situazione, più che la sua condizione, degenerò.

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Il loro rapporto giunse ad un punto di non ritorno.
"Fin dai primi giorni, dopo la clinica, non facemmo che lottare, litigare, minacciarci a vicenda, urlarci contro, finché non fummo che due donne che si guardavano attraverso il tavolo di una cucina piccola e in disordine: due nemiche stanche di fingere".
Mammina, però, aveva l'arma segreta. Lo scontro era impari.
Nel marzo del '44, senza dir nulla a Frances, chiese che venisse nuovamente istituzionalizzata, (interessante rilevare che la indicò con il nome del marito, anzi, dell'ex-marito)
Nel corso di un'audizione presso la Commissione Sanitaria della contea, due psichiatri dichiararono Frances Farmer ufficialmente "pazza".
I chiari sintomi:
"Agitazione, delusioni, e paranoia".
Ipotizzarono che l'infelice esperienza coniugale (sappiamo quanto poco avessero contato quei mesi di matrimonio per lei!) l'avesse predisposta al crollo mentale.
E Frances, questa volta, finì davvero nella "fossa dei serpenti": fu internata nel Western State Hospital for the Insane di Steilacoom, non lontano da Seattle.

(continua)

Ho controllato informazioni e preso alcune foto qui:
http://doc.studenti.it/
http://www.historylink.org/
http://jeffreykauffman.net/

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giovedì 14 agosto 2014

Frances Farmer: La Vera "Storia Vera" - Terza Parte

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Sull'onda del successo di "Come and Get it", e a distanza di un anno e mezzo dalla burrascosa partenza, tornò trionfalmente a casetta!... Serre di fiori all'aeroporto, folla assiepata ai lati della strada percorsa regalmente dalla limousine che riportava "Frances la Bolscevica".
Lei si sottopose al rito delle foto con i genitori, con gli studenti di Arte Drammatica della facoltà di Washington, la sua università..
All'Olympic Hotel si offrì alla crema della società locale nel corso di un lussuoso ricevimento in suo onore. A capo di una folta delegazione di pezzi grossi, il governatore dello stato di Washington in persona si recò a tributare il doveroso omaggio alla loro Cinderella girl!... Ancòra fumavano le torce con cui avevano acceso un rogo tutto per lei e per la sua "possessione bolscevica"... ancòra tuonavano le parole: "Se i nostri giovani finiranno all'inferno, non c'è dubbio che alla loro testa ci sarà Frances Farmer!”.
Ma Frances simulò un attacco di diplomatica amnesia. Grati, i suoi conterranei accennarono fulmineamente al famigerato viaggio, ansiosi di concentrarsi sulle sue presenti glorie e di brillare di luce riflessa.
Intanto, e qui i pareri sono discordi, la crescente fama di carattere difficile ed umorale, accompagnata da dichiarazioni a denti stretti di colleghi estenuati ed esasperati dalla comune esperienza lavorativa, lasciava presagire le future tempeste. Semplicemente, Frances ancòra non poteva permettersi la nomea di partner problematica e capricciosa, e, quindi, inaffidabile: dopo il fulmineo trionfo di Come and Get it, secondo contratto, aveva girato altri tre film nei primi sei mesi del '37, ma quella magia non si ripetè, né allora, né mai più.
La luna di miele con la Paramount era finita. La stessa Frances aveva aperto gli occhi e non era più la ragazzina raggiante di gratitudine per la mancetta settimanale.


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Presto, la stampa specializzata incominciò a chiedersi quanto la Farmer sarebbe durata, se la scommessa più brillante degli Studios si sarebbe trasformata o no nella più pericolosa delle delusioni. E, se le insinuazioni sulle sue intemperanze si fossero rivelate fondate, quanto avrebbe retto la pazienza della Paramount senza la compensazione di nuovi successi?
Frances, dal canto suo, non aveva mai dimenticato il teatro.
(Apro parentesi: siamo lontani anni-luce da certe dichiarazioni di attori nostrani, tristanzuoli e recalcitranti pensionandi forzati del cinema, che se ne escono con dichiarazioni in serie - e per la serie:"Il teatro è stato il mio primo, grande vero amore"!!!)
Chiese un congedo alla Paramount, e si recò sulla Costa Orientale dove partecipò con grande successo a due lavori teatrali. Ovviamente, con il Group Theater.
Al termine della stagione, le fu proposto di entrare a pieno titolo nella Compagnia e di interpretare Golden Boy, un lavoro di Clifford Odets.
La prima fu un incredibile successo, seguita da 250 repliche a Broadway.
La fortuna di Golden Boy non accennava a diminuire, e Frances riportò un autentico trionfo personale. A ventiquattro anni, aveva ottenuto tutto ciò che aveva sognato disperatamente, ragazzina, nei lontani giorni di Seattle.Tuttavia... tuttavia, già durante le prove, si era innamorata di Odets ed aveva una relazione con lui.


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La relazione con Odets fu altalenante e tempestosa, passionale e coinvolgente. Finì con uno stitico bigliettino del "cavaliere dalla scintillante armatura":
"Mia moglie ritorna oggi dall'Europa. Credo che la cosa migliore sia non rivederci mai più".
Uno dei soliti Vermi - avrebbe detto Audrey Hepburn in "Colazione da Tiffany".
Dovette affrontare anche una fastidiosa grana legale: un ex-agente a caccia di soldi. Frances vinse la causa, ma la coincidenza temporale fu devastante.
Intanto, proseguiva con successo la tournée di Golden Boy. Apparentemente, lo squallido esito della relazione con Odets non aveva avuto ripercussioni sulla sua collaborazione con il Group Theater.
Ma, alla vigilia della partenza per Londra, prima tappa del tour europeo, fu liquidata senza tanti complimenti.
Forse, Odets il "verme" non c'entrava nulla... Forse, il fatto che i genitori della sua sostituta finanziassero la tournée europea non c'entrava nulla... Perché malignare?
Nonostante tutto, Frances, nel '39, partecipò ad altre due produzioni del Group Theater:
"Quiet City" di Irwin Shaw e "Thunder Rock" di Robert Ardrey.
Due fiaschi.
Le fu offerta una parte in "Fifth Column"di Ernest Hemingway. Il regista, Lee Strasberg, tentò di arginare la sua deriva, ma Frances aveva già passato il confine e dovettero sostituirla con un'altra attrice.
Frances ritornò a Hollywood, ma il suo momento era passato e non sarebbe mai più ritornato.
Tra il '40 ed il '41 girò sei film. Produzioni a basso costo. Qualità scadente. Pietosamente "dimenticabili".

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Nel '42, ricoprì un ruolo secondario in "Son of Fury", filmazzo con Tyrone Power. La protagonista femminile era Gene Tierney, forse una delle più belle ed enigmatiche attrici di sempre. Anche lei, come Frances, finì nella "fossa dei serpenti", anche lei conobbe il girone infernale dei trattamenti speciali, dei bagni ghiacciati e degli elettro-shock.

(continua)

Ho controllato informazioni e preso alcune foto qui:
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Lauren & Bogie

domenica 10 agosto 2014

Frances Farmer: La Vera "Storia Vera" - Seconda Parte

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Mamminacara, incancrenita in un fanatico anti-Comunismo, non perdeva occasione per testimoniare il proprio zelante odio. Anche (e soprattutto) quando l'occasione fu la stessa Frances. Proclamò che la figlia era stata corrotta da insegnanti estremisti, e, al "Seattle Post-Intelligencer", confermò la propria dedizione alla Causa. Dedizione estrema:
"Se dovrò sacrificare mia figlia al Comunismo, spero, almeno, che le altre madri riescano a salvare le proprie ragazze dagli estremisti della Scuola Pubblica!".
Anche le autorità laiche si espressero con durezza, bollando il famigerato viaggio come un'operazione di propaganda dei Bolscevichi.
Frances espresse il suo rammarico per la feroce riprovazione materna e per la generale indignazione di cui era oggetto. In un articolo intitolato: Perché vado in Russia, pubblicato dal Seattle Times, affermò che il Comunismo non c'entrava nulla con la sua decisione di partire; spiegò che il viaggio nell'inferno bolscevico non rappresentava per lei che una chance per la sua futura carriera, ed era quanto di meglio potesse capitarle:  l'irripetibile opportunità di frequentare uno dei dieci maggiori Centri Teatrali del mondo. Più tardi, nella sua autobiografia, confermerà che quel viaggio, all'epoca, non era stato che un gradino nella scalata alla sua vera, agognata mèta: New York.



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Partì nel marzo del '35. In tasca, venti dollari, dono del padre. Il viaggio-premio prevedeva una tappa a New York. Grazie alla sua insegnante di Seattle, entrò in contatto con il Group Theater, un Centro Teatrale di idee progressiste di cui faceva parte un giovane drammaturgo, Clifford Odets.
Di ritorno da Mosca, incassò il rimborso del biglietto d'autobus che l'avrebbe riportata fra le braccia di Lillian e di Seattle, si fermò a New York, affittò una stanza ed incominciò la maratona dei provini.
Poche settimane più tardi, si ritrovò con un agente, una sceneggiatura, e l'offerta per un contratto con la Paramount. Nelle sue memorie, ammise senz'altro che proprio lo scandalo suscitato dal famoso viaggio in Russia aveva attirato su di lei l'interesse degli Studios.
Certo, la sua ostinazione (=testardaggine, per i detrattori), il suo ostentato disinteresse per il giudizio altrui, il coraggio e la consapevolezza delle proprie qualità e delle poche chances a disposizione per sfruttarle degnamente giocarono un ruolo rilevante in questa svolta decisiva della sua vita, ma è innegabile che si verificò anche una catena di eventi, di azioni e reazioni, al di fuori del suo controllo, che la sospinsero in un'ascesa irresistibile, risparmiandole mortificanti, estenuanti gavette.
"Ho visto il mondo - scrisse ai genitori - e, adesso, sono pronta a lasciarvi la mia impronta".


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Così per Frances iniziò una nuova vita: era sotto contratto con la Paramount!
Guadagnava 100 dollari la settimana, una somma che le pareva generosa.
La sua autentica passione, la sua formazione, le sue ambizioni erano ancòra completamente dedicate al teatro. Secondo lei, qualsiasi passo in un'altra direzione non serviva che a spianarle la strada verso una solida carriera teatrale.
Intanto, non si sottrasse ad alcuno dei suoi obblighi contrattuali, espliciti o meno.
Accettò di essere sottoposta ad esperimenti di trucco e parrucco... accettò di venire trasformata, manipolata fisicamente... permise che le depilassero completamente le sopracciglia.
Docile ed attenta, studiava assiduamente dizione, recitazione e portamento con i coach che gli Studios le avevano messo alle costole per completare il suo addestramento.
Accettò tutti gli estenuanti (e banalissimi: le tipiche foto da starlet) servizi fotografici che la Paramount le impose.


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Rifiutò recisamente, invece, di cambiar nome e non adattò mai il look personale, quello quotidiano e privato, alle pretese di chi le stava cucendo addosso un'immagine in cui non si riconosceva.
Nel 1936, sposò un giovane attore, anche lui sotto contratto con la Paramount, destinato a diventare, dopo una gloriosa sfilza di ruoli opachi da opaco comprimario, la star di serie b di una popolare serie televisiva degli anni '70, High Chaparral, (in Italia, Ai Confini dell'Arizona).





Si chiamò Wycliffe Anderson.... poi William Anderson, poi Glenn Erickson, ed infine, Leif Erickson.
Il matrimonio, un colpo di testa senza neanche la magia dei colpi di testa, durò un anno soltanto, (il successivo matrimonio dell'anonimo consorte durò un mese, quindi, non credo affatto al prematuro decesso coniugale imputabile alla umorale sposina).
Tempo dopo, Frances  affermò che non si era certo sposata spinta da una passione irresistibile e che nella sua testa era sempre rimasta Frances Farmer, "non Mrs. William Anderson... men che meno Mrs. Leif Erickson!"


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      "Rhythm on the Range"del'36, con Bing Crosby

In quello stesso anno, Frances girò ben quattro film, ma quello che attirò su di lei l'attenzione di critica e pubblico fu: Come and Get It, regia di Howard Hawks, in cui Frances interpretava due ruoli, una cantante di cabaret e la sua ingenua figliuola.
Hawks, che pare l'avesse scelta personalmente per il doppio ruolo, opponendosi agli Studios che volevano Miriam Hopkins, dichiarò che Frances era la migliore attrice con cui avesse mai lavorato e la temuta, potentissima, velenosissima Louella Parsons si caramellò nella famosa predizione sulla futura, nuova Garbo.
In Italiano, Come and Get It fu intitolato "Ambizione".

Da "il Morandini":
"La vita, la scalata al successo e gli amori di un industriale della carta tra le foreste del Wisconsin verso la fine dell'Ottocento. Rinuncia alla donna amata della cui figlia s'innamora trent'anni dopo e ha per rivale il figlio. Da un romanzo (1934) di Edna Ferber, sceneggiato da Jules Furthman e Jane Murfin. Supervisionato e diretto in gran parte da Hawks in assenza del dispotico produttore Samuel Goldwyn in ospedale, ne fu licenziato insieme con l'operatore Gregg Toland e sostituito con William Wyler (e Rudolph Maté) cui si attribuisce almeno l'ultima mezz'ora. Le potenti immagini del disboscamento sono dell'aiuto Richard Rosson. La polemica ecologica e anticapitalistica della Ferber nel suo melodrammatico romanzo sociale, tipico dell'era roosveltiana, è smorzata nel film, l'unico in cui Hawks si cimenta direttamente con la politica. Irrisolto, greve, un po' verboso, ma apprezzabile nel disegno dei personaggi (W. Brennan ebbe l'Oscar di non protagonista), anche in quello di F.Farmer che canta in modo struggente 'Aura Lee', poi rilanciata da Elvis Presley come Love Me Tender". 

(continua)

Mab's Copyright

Ho controllato informazioni e preso alcune foto qui:
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lunedì 4 agosto 2014

Frances Farmer : La Vera "Storia Vera"- Prima Parte

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La “nuova Greta Garbo”.

Certi vizietti che accompagnano il lancio di un personaggio-prodotto non hanno età... magari, a differenza delle vicende promozionali riguardanti squallidi personaggini nostrani, nel caso di Frances Farmer era la banalità del marketing a risultare particolarmente stridente e totalmente inadeguata rispetto alla personalità del “prodotto”.

Ho visto un paio di suoi film nel “porto delle nebbie” di Fuori Orario. L'impressione che ne ho ricavato, da semplice spettatrice-ingurgita-film, l'avvicina, semmai, ad una Carol Lombard (l'amatissima moglie di Clark Gable morta nel corso della seconda guerra mondiale) molto più bella dell'originale. Quanto all'ironia dissacrante della signora Gable, alle famose bestemmie da facchino ed alle ricorrenti bevute da scaricatore... mi pare proprio che anche Frances non appartenesse al tipo di donna che oggi si definirebbe “genere Barbie”.



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Carol Lombard

 Non so se nacque in una “notte buia e tempestosa” carica di presagi foschi e di atmosfere dickensiane. So che nacque il 19 settembre del 1913 a Seattle delle eterne piogge, stato di Washington.

Il padre, Ernest Melvin Farmer, era un avvocato, a sua volta figlio di un giudice di contea del Minnesota. Si era stabilito a Seattle ai primi del secolo ed aveva sposato nel 1906 Lillian Van Ornum, una donna fresca di divorzio e già madre di un ragazzo. Come spesso accade, i due coniugi erano totalmente diversi... Lui - secondo coloro che lo conobbero personalmente - era mite, gentile, ma debole ed irresoluto.
Lillian, al contrario, era una donna forte, determinata ad essere una protagonista. Idee precise ed estreme portate avanti in modo estremo. Durante la Grande Guerra  aveva avuto il suo quarto d'ora di celebrità, a livello di cronaca nazionale, ottenendo, grazie a numerosi incroci, una gallina bianca, rossa e blu, per sostituire l'aquila, emblema degli Stati Uniti (... e anche dell'odiato Nemico crucco).
Fu anche sostenitrice del Movimento Femminista, ma, ben presto, tutte le sue furenti energie si coagularono in un granitico anti-Comunismo.
Il divorzio non sorprese nessuno, immagino.
Il colpo di grazia fu il declino economico della famiglia, un vero e proprio declassamento simbolizzato dal trasloco in un modesto bungalow in affitto (qui mi ritorna in mente Dickens, in modo meno irrazionale). Lui tornava regolarmente in visita  ogni settimana...

La terzogenita, Frances, aveva preso certamente alcuni aspetti del carattere materno. Inizialmente meno evidente, o solo mascherata, la debolezza paterna affiorerà più tardi.
All'epoca del divorzio e del dissesto economico era un'adolescente. Pare fosse piuttosto solitaria, accanita lettrice, precoce intelligenza, precoce in tutto. Doveva già dimostrare un notevole e poliedrico talento se l'ambiziosa madre, nonostante le difficoltà economiche, le procurò lezioni di piano e di recitazione.

A 14 anni debuttò con la sorella Edith in una recita parrocchiale. Si disse che la sua presenza scenica, qualcosa di molto simile al carisma, fosse già indiscutibile. Il “Seattle Daily Times” pubblicò una foto del memorabile evento.


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Frances e la sorella Edith

Così, in una sorta di curiosa simbiosi, i rapporti di Frances sia con la madre Lillian che con Seattle sono ancora accettabili in questi anni della prima adolescenza.
Certamente, quella brillante, ruvida, testarda ragazzina era un corpo estraneo nella cerchia famigliare così come nella plumbea comunità cittadina, tuttavia, la sua deflagrante personalità ed i suoi molti talenti, titillandone la riluttante vanità, le assicuravano una simil-approvazione.

Al liceo, la sua attività era addirittura febbrile, come si può notare da questo annuario scolastico del '27.

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Frequentava sia il corso di recitazione che quello di retorica, collaborava con il giornale scolastico e con la rivista letteraria (scriveva poesie e racconti).
Né trascurava lo sport: faceva parte della squadra di volley e di quella di basket.

Nel 1931, partecipò ad un concorso letterario sponsorizzato dalla rivista The Scholastic e vinse un premio (cento dollari ) con un breve saggio dal titolo "Dio è Morto ". Naturalmente, lo scandalo fu grande per i bravi cittadini di Seattle.

Infine, il "corpo estraneo " aveva fatto danni e la città la trafisse (tipo "Il Collezionista di Farfalle". Senza cloroformio, però!).
Mammina fu l'interprete più virulenta dell'indignazione collettiva.

I giornali locali sfoderarono titoloni del tipo: "Ragazza di Seattle Rinnega Dio e Vince un Premio!"
Gli "uomini di fede" additarono Frances e la sua insegnante di Inglese come sulfurei esempi dell'ateismo dilagante nella Scuola pubblica.
Uno di loro (di fede battista), rivolgendosi alle sue tremebonde pecorelle, tuonò: "Se i giovani di questa città finiranno all'Inferno, non c'è il minimo dubbio che sarà Frances Farmer la loro guida!"
Riferendosi a questo episodio, Frances disse che era stato triste per lei scoprire fino a che punto la gente potesse rivelarsi stupida. Si sentì sola al mondo... più la gente la additava con disprezzo, più lei si induriva.
"Quando incominciarono a chiamarmi 'The Bad Girl of West Seattle High', feci del mio meglio per essere all'altezza della mia fama."

[ A questo punto, poiché citerò spesso le sue parole, mi pare giusto sottolineare che, per lo più, sono tratte da un'autobiografia che aveva incominciato a scrivere due anni prima di morire e che uscì postuma. Quando quella incredibile bufera che fu la sua vita, lobotomia compresa, si era avviata verso un'altalena di tardive ricerche di approvazione e crolli alcolici].

Nel settembre dello stesso anno, si iscrisse alla facoltà di giornalismo presso l'università di Washington. Presto  abbandonò il giornalismo per la facoltà di Arte Drammatica. Si manteneva agli studi con i lavori più disparati, compreso quello di cameriera-cantante in un pub.
In compenso, divenne in breve tempo la star delle produzioni teatrali studentesche, che, all'epoca, erano seguite da un vasto pubblico.
Tre anni più tardi, un perspicace critico locale le predisse, con rara banalità, "le luci di Broadway". Anche Frances era incrollabilmente convinta del proprio glorioso destino. "Ero divorata viva dal'ambizione ", dirà poi... sappiamo quando e in che mutate condizioni... Sentiva di essere destinata a raggiungere la "vetta del Mondo". Il problema era COME arrivarci.
A causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, un suo soggiorno a New York era impensabile.
Nel 1935, grazie ad una collaborazione con una rivista di sinistra, vinse un viaggio in Unione Sovietica... e, un'altra volta ancòra, fu "Frances la scandalosa", e chi guidò le proteste, in preda a feroci coliche anticomuniste?


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Mamminacara

(continua)

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Ho controllato informazioni e preso alcune foto qui:

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Kurt Cobain : "Frances Farmer si Vendicherà di Seattle"






[.....] Tuttavia, appartiene essenzialmente al mondo della musica il merito di aver reso Frances Farmer una figura di culto. Nel 1993 compare nell’album In Utero dei Nirvana una canzone intitolata "Frances Farmer Will Have Her Revenge On Seattle" (Frances Farmer si vendicherà di Seattle). È l’omaggio di Kurt Cobain, come la Farmer originario dello Stato di Washington, alla sua ossessione di sempre.
Cobain non è stato il primo musicista ad averle reso omaggio.
Durante gli anni ’70 e ’80, si erano tenuti numerosi concerti punk presso il Group Theater della University of Washington a Seattle, così chiamato dal nome della compagnia teatrale di cui la Farmer aveva fatto parte a New York.
Nel 1984 esce una canzone dei Culture Club dedicata a Frances, The Medal Song, mentre, nel 1985, è la volta degli Everything But The Girl, che inseriscono nell’album Love Not Money un pezzo in memoria dell’attrice, Ugly Little Dreams (Piccoli brutti sogni).
Tracey Thorn, struggente e malinconica voce femminile del celebre duo inglese, autrice anche del testo della canzone, rievoca Frances con i tocchi di un femminismo che profuma di Anne Sexton.
Tu non sei impressionata dalla merce che può offrire la vita - canta la Thorn - e ci sono molti piccoli brutti sogni da comprare per le belle ragazze, (riferendosi all’effimero valore di bellezza, denaro e successo) ce n’è abbastanza per farti impazzire, ma è più sicuro abbandonarsi alle lacrime. È un campo di battaglia Frances, combatti o concedi vittoria al nemico che chiama la tua forza pazzia. Che possibilità hanno certe ragazze? Come possiamo competere in un mondo che ama le sue donne stupide e dolci? (...) Scommetto che maledirai il giorno in cui gli angeli ti hanno dato la tua parte di occhi azzurri e di capelli dorati come il grano.”

Esiste anche una band del folto underground musicale newyorchese che ha scelto di chiamarsi Frances Farmer My Hero e che fa capo a un ragazzo molto singolare di nome George Snow. Ha tre album all’attivo, di cui il primo, The Unauthorized Biography del 1991, è una rock-opera alternativa che ricostruisce la vita della Farmer, traducendo in musica anche alcuni suoi componimenti poetici.

Il pezzo di Cobain rimane tuttavia il più impressionante, poiché il cantante, morto suicida, mette in musica la sua catartica visione della Farmer con la quale in parte si immedesimava, soprattutto da quando avevano tentato di portargli via la figlia a causa dello stile di vita suo e della moglie, la controversa Courtney Love, giudicato da molti discutibile e diseducativo. Nella sua canzone, Cobain si fa beffe della caccia alle streghe che ha causato la rovina dell’attrice e la sua, mentre predice una sorta di apocalisse nella quale la Farmer ritornerà circondata da fiamme per “bruciare tutti i bugiardi e lasciare un manto di cenere sul terreno”.
Nel caso della Farmer, tutte le cose che si supponeva dovessero procurarle felicità - carriera, denaro e fama - la portarono invece alla distruzione e Cobain, riflettendo nel testo della canzone sul proprio successo, conclude confessando di sentire la “mancanza del semplice conforto della tristezza”. Cobain cercò di mettersi in contatto con William Arnold, l’autore di  "Un gulag americano". Arnold aveva intenzione di rispondergli, ma Cobain morì prima che avesse modo di farlo.
[.....]

Di  york74

http://www.scrivo.com/

Frances farmer will have revenge on Seattle 

It’s so relieving to know
that you’re leaving
As soon as you get paid
It’s so relaxing to hear
that you’re asking wherever you get your way
It’s so soothing to know
that you’ll sue me
his is starting to sound the same
I miss the comfort in being sad
I miss the comfort in being sad
I miss the comfort in being sad
In her false witness
We hope you’re still with us
To see if they float or drown
Our favourite patient, a display of patience
Disease covered Puget Sound
She’ll come back as fire to burn all the liars
And leave a blanket of ash on the ground
I miss the comfort in being sad
I miss the comfort in being sad
I miss the comfort in being sad