lunedì 25 luglio 2011

Lost, al Comic-Con Cuse e Lindelof Presentano una (ironica) Scena Inedita (video sottotitolato)

Possibile, a più di un anno di distanza, che “Lost” raccolga ancora una folla di fan pronta ad accogliere nuove rivelazioni su qualche mistero, anche se in chiave evidentemente parodistica? Certo che è possibile, se ci si mettono di mezzo il Comic-Con (che si sta svolgendo in questi giorni a San Diego) e Cartlon Cuse e Damon Lindelof.
Era un anno che non si parlava di “Lost” (almeno con un panel dedicato appositamente) al Comic-con, la convention che ogni anno raggruppa i fan di fumetti e (sempre di più) diventa l’occasione per presentare le nuove serie televisive della prossima stagione. E siccome i panel dedicati a “Lost” sono stati, negli anni precedenti, tra i più frequentati, si è tenuta ieri la convention commemorativa intitolata “Entertainment Weekly Presents… Totally ‘Lost’: One Year Later”, moderata dall’esperto Doc Jensen.
Un’occasione per discutere dello show ad un anno di distanza ma, soprattutto, per attendersi qualche sorpresa. Come è accaduto, dal momento che tra il pubblico si sono palesati i due autori della serie, Carlton Cuse (travestito da soldato) e Damon Lindelof (con una tuta della Dharma Initiative), che hanno inscenato una lite basata su una scena mai trasmessa della serie risalente alla prima stagione.
Tutto è “iniziato” con una serie di repliche che i due autori si sono mandati tramite Twitter: Cuse aveva sognato Nikki e Paulo (personaggi minori dello show) che gli dicevano “Non importa, non farlo”. Il riferimento era alla pubblicazione di un video in cui viene dimostrato che i due hanno sempre saputo dove andare a parare. Se per Cuse la rivelazione del video non era indispensabile (“Lo show parla da sè”), per Lindelof si trattava di qualcosa di necessario (“Abbiamo sempre saputo come avremmo finito la serie, e possiamo provarlo”). Il risultato? La decisione è stata messa ai voti, ed i fan hanno, ovviamente, chiesto di vedere la scena.
Si tratta di un frammento relativo ad “Exodus”, finale della prima stagione in cui, durante un colloquio tra Jack (Matthew Fox) e Locke (Terry O’ Quinn), nascosti nella giungla si trovano Jacob e l’Uomo in Nero, personaggi allora non ancora presentati. Loro due sono i protagonisti di questa scena, che si rivela una simpatica azione autoironica verso lo show stesso, accusato da molti di aver lasciato molte domande in sospeso, tra cui quella sul vero nome dell’Uomo in Nero che se, stando al copione originale, si sarebbe dovuto chiamare Samuel (ma poi non è mai stato rivelato), ora viene chiamato con un altro nome (che vi lasciamo scoprire).
Per realizzarla, sono tornati in scena Mark Pellegrino e Titus Welliver, mentre Jack Bender (regista anche del finale) ha diretto i pochi secondi, girati negli studi della Disney con le piante usate fino a poco fa per girare “Brothers and sisters”.
Il pubblico ha apprezzato, e ne ha approfittato per fare qualche domanda ai due autori, che hanno risposto e regalato i poster di “Lost” in stile “Star Wars” (foto). Un altro modo per ironizzare su una serie che manca a molti.





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"Amy: 27 Anni Vissuti Liberi"

di Federico Mello






Morta Amy Winehouse. È la prima volta che risulta prevedibile” scrive Frankie Hi Nrg su Twitter. Ha ragione Frankie, l’originalità di Amy lascia un vuoto enorme nella musica contemporanea.

Quella della sua morte è una notizia che, in un afoso sabato d’estate, arriva come un fulmine e si propaga in ogni anfratto dell’infosfera tramite i social network.

Molti su Twitter ricordano come sia morta a 27 anni. La stessa età in cui ci hanno lasciato, in epoche diverse – anche dal punto di vista musicale – Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Kurt Cobain. Tutte icone del rock, tutti miti delle loro generazione (e non solo) e decisi a vivere da persone libere, come volevano, come se ogni giorno fosse l’ultimo.

Alcuni, anche online, dicono che era una notizia prevedibile: “Se l’è cercata”; “E’ stata semplice selezione naturale”, “Un talento e una vita buttati nel cesso”, scrivono anche alcuni dei nostri lettori su questo sito. Eppure, c’è chi fa un passo in avanti: “Un esempio da imitare per tutti i disperati. Che voce… che talento…” scrive Waldemar sempre nei commenti.

Ecco, io la penso proprio così. Di Amy straordinaria era la forza delle sue canzoni e dei suoi testi, la passione che buttava in ogni nota, in ogni acuto. Mi chiedo: avrebbe avuto la stessa passione con una vita regolare? Avrebbe avuto la stessa sensualità distruttiva e irresistibile senza decidere di consumare tutta la sua vita in una potentissima fiammata fuori da ogni consuetudine e ogni imposizione?

Spesso l’esistenza di noi umani è diversa da quella che immagina Giovanardi. E ognuno deve essere libero di vivere come vuole. Se poi una disperazione straziante regala emozioni a uomini e donne di tutto il mondo come ha fatto Winehouse, non c’è nulla da aggiungere. Parlano solo le canzoni di una grande artista vissuta giusto il tempo di lasciare un segno prima di tornare Back to black. Rest in peace."


In morte di Amy Winehouse, impossibile “mettersi in riga”

di Domenico Naso


Nessuno si aspetti di leggere, in queste righe, espressioni del tipo “voce graffiante” o “talento sopraffino”. Non lo diremo semplicemente perché la grandezza vocale e musicale di Amy Winehouse era così fottutamente evidente da non aver bisogno di approvazioni critiche o elogi standard buoni per tutte le stagioni. E non troverete nemmeno tirate moralistiche sul suo stile di vita, sulla sua tendenza all’autodistruzione. Una delle regole più importanti (e a volte più dolorose) dell’esistenza umana è, o almeno dovrebbe essere, quella secondo la quale ognuno fa della propria vita quello che vuole, anche consumarla velocemente come fosse una birra ghiacciata in una giornata afosa d’estate, da tracannare tutta d’un fiato prima che si riscaldi troppo.

Amy Winehouse era così. Non poteva, o non voleva, “mettersi in riga”. Era alcolizzata, drogata, persa in un mondo tutto suo fatto di gorgheggi per lei perfetti nella loro imperfezione anche sotto l’effetto di sostante stupefacenti, di liti con il pubblico, di storie d’amore maledette e di fughe per tentare di salvarsi l’anima. Ma nessuno può permettersi di giudicare, di puntare il dito, di dire, sospirando e arricciando il naso: “Che vita buttata, che talento sprecato”. Certo, assistere alla morte a 27 anni della migliore voce degli ultimi tempi fa rabbia, soprattutto a chi la musica la ama e cerca quotidianamente un’oasi di qualità nel desolante deserto della mediocrità conformista dell’industria discografica. Ma il sentimento di rabbia e frustrazione si ferma di fronte all’individuo e alla sua assoluta libertà di sbagliare e di farsi del male, almeno fino a quando non danneggia anche gli altri.

E allora doliamoci della morte di Amy Winehouse ma non commettiamo i due tipici errori in cui si incappa in casi del genere: non la bolliamo come eccessiva e stupida milionaria viziata dedita all’alcool e alle droghe; non ne facciamo un’icona da venerare, un modello di vita da seguire. Non era un modello, la bruttina ma talentuosa Amy. Lo sapeva e ne era persino fiera. La sua vita alcolica e tossica non la rendeva orgogliosa né la abbatteva. Era la sua vita, punto. Ci sono cose che non si possono cambiare, ci sono sentieri accidentati lungo i quali siamo obbligati a camminare, magari sperando in cuor nostro che prima o poi si spalanchi davanti ai nostri occhi un largo e confortevole viale alberato. Per Amy non è stato così. Il sentiero si è interrotto e il viaggio è finito. Non dipendeva da lei. Tantomeno da noi.

In queste righe abbiamo tentato, sperando di esserci riusciti, di non essere patetici o scontati. Non per una narcisistica ricercatezza e originalità, per carità. Ma semplicemente perché Amy Winehouse era tutto fuorché banale, tutto fuorché conforme alle “regole” della società. Era semplicemente Amy Winehouse, la cantante che ha fatto la sua fortuna gracchiando talentuosamente al mondo che non voleva andare in “rehab “ e che sapeva perfettamente di non essere buona (“You know, I’m no good”). Era lei, prendere o lasciare. Noi, come milioni di altri fan in giro per il mondo, avevamo deciso di prenderla così com’era e di apprezzarne il talento, sopportando le snervanti scenate sui palchi di mezzo pianeta. Ma lei, che di farsi prendere non ne aveva nessuna fottutissima voglia, ci è sfuggita di mano per l’ultima volta. E forse è quello che voleva più di ogni altra cosa. Rest in peace, Amy."



Da:

http://www.ilfattoquotidiano.it/


Jean-Francois Dupuis