venerdì 22 gennaio 2016

Franca Leosini e le sue Storie Maledette: Ritorna la Mia Signora Omicidi Preferita


Amo questa donna. Tailleur anni '60, con spilla d'ordinanza sul risvolto della giacca, capelli imbalsamati con la fiamma ossidrica, mani curate che muove sapientemente come un Vescovo felliniano in piena omelia... Hai quasi l'impressione di captare il suo profumo cipriato, l'odore intenso di un rossetto più o meno suo coetaneo...
Si accomoda, busto eretto e gambe unite, davanti al tavolino spoglio e anonimo di un carcere, sfoglia con le dita discretamente ingioiellate fogli di appunti, stralci di verbali, perizie, come se giocherellasse (rispettosamente) con il catalogo di una mostra milanese sponsorizzata da suoi carissimi amici... e incomincia. Davanti a lei, lo sguardo vagamente perplesso di un/una omicida che incontra la reincarnazione di una professoressa dei suoi lontani tredici anni.
Le va riconosciuto un merito: si rivolge al malcapitato/a con estrema cortesia, dà immancabilmente del "lei", sparge incensi di "scusi" e "la prego". E' rigorosa e accattivante nell'esposizione di fatti e circostanze, in un crescendo apparentemente innocuo di domande, osservazioni, repliche.
Poi, sempre con lo stesso tono vellutato e ipnotico, proprio come se chiedesse "Quante zollette, prego?" ad un'accartocciata detenuta dallo sguardo perso dietro una frangia tinta "in casa", lo smalto smangiucchiato e il trucco sbagliato, intona:
"Mi faccia capire. Così, mentre quella ragazzina, una bimba di 27 anni - e non una bimba qualsiasi, ma la sua MIGLIORE amica - agonizzava in un lago di sangue, e la sua povera vita lasciava il corpicino contorto e i suoi occhioni - quei grandi occhi celesti - le chiedevano disperatamente aiuto... lei è andata a mangiare una pizza con il suo amante? Il suo amante che era il cognato della vittima, cioè il fratello del marito della povera Assunta? Mi spieghi...".
Immensa.

Mab's Copyright




E' un post (corretto qua e là) del 2014, ma va bene così.

Franca Leosini. Seriamente.






Franca Leosini la fa breve: “Mi interessa capire, dubitare e raccontare. La natura dei protagonisti, delle vittime e dei colpevoli. E poi l’ambiente in cui il delitto si è svolto perché il delitto è anche un fatto culturale e sociale”.

Dal 21 gennaio, con Storie Maledette, questa bionda signora napoletana dal linguaggio aulico che entra nelle carceri e fa parlare i condannati sarà in onda in prima serata su Rai3. Tre puntate, tre casi, tre storie misteriose: “Perché il mistero rende più sensata anche la ricerca della verità”.

Si parte con Rudy Guede, ivoriano, unico colpevole secondo i tribunali dell’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, condannato a 16 anni di carcere. Parla per la prima volta davanti a una telecamera e riscrive una storia molto diversa da quella che avevo immaginato.

Guede ha potuto leggere le domande prima?
"Non faccio mai leggere le domande in anticipo, però chi mi cerca sa cosa trova".

E cosa trova un condannato in Franca Leosini?
"Una persona senza giudizio né pregiudizio. Il confronto con la verità è doloroso: chi si apre deve poter contare sulla neutralità del mio sguardo".

Come la cercano?
"Mi scrivono o mi fanno scrivere dagli avvocati. Io vado a incontrarli una o al massimo due volte. Ho bisogno di vederli, di parlare con loro, di trascorrere tempo insieme".

Perché va a trovarli?
"Per studiare la psicologia del personaggio: per me è centrale. Gli incontri in carcere possono durare anche otto ore. Mangiamo insieme. Mi aprono la loro cambusa. Li faccio parlare molto della loro vita, del loro passato".

Come è andata con Guede?
"Avevo impostato il colloquio prevedendo una serie di domande serrate. Mi ha detto cose che non mi aspettavo".

Si è detto innocente accusando Raffaele Sollecito e Amanda Knox?
"Non esattamente. Ho letto ricostruzioni imprecise, ma posso dire che il vero Rudy Guede non somiglia al ritratto che di Rudy Guede è stato dipinto per anni. Davanti a me c’era una persona diversa da quella descritta dai giornali."

Guede ha sostenuto di essere stato condannato perché mettere in catene il ‘negro’ era più semplice? “Nero trovato colpevole trovato”?
"Il pregiudizio è stato un elemento fondamentale della vicenda. Non a caso scrivendo del delitto di Ashley Olsen e del ragazzo che è stato arrestato per presunto omicidio, Chek Diaw, il Washington Post ha fatto immediatamente un paragone con il delitto di Meredith Kercher. Quello spettro rimane. Il dubbio resta come un’ombra".

Che rapporto intrattiene con il dubbio?
"Un rapporto tormentato. Le storie sono tutte importanti, ma esistono percorsi più o meno lineari e parabole umane che a volte lasciano dentro domande profonde". 

Le è capitato anche in questa edizione?
"Ripercorrendo il caso di Lucia Annibali, sfigurata dall’acido a Pesaro, vittima di un reato sconvolgente già tristemente emulato è stato impossibile non porsele". 

In carcere, in attesa della Cassazione, c’è Luca Varani. L’ex fidanzato. 
"Luca Varani non ha mai confessato, chi seguirà la puntata vedrà fino a che punto si è spinto con me".

Quali limiti si pone nell’incontrare chi è stato accusato di reati gravissimi?
"Non uso le persone, ma rifiuto di essere usata".

Ci sono argomenti che si rifiuta di trattare?
"La televisione ha i suoi doveri, ma anche i suoi diritti: non tutte le storie sono adatte alla televisione".

Certe storie non sono abbastanza televisive?
"Metterla così non mi piace. Perché nelle mie storie la materia umana si fonde con quella giudiziaria. Ci sono cose di cui però non voglio parlare e su cui non imposterei mai una puntata. Non mi occupo di malavita, camorra, mafia, di tutto quello che ha a che fare con i professionisti del crimine. Non mi occupo di pedofili per rispetto dei bambini. Poi non tratto storie a sfondo economico. Se l’industriale ha ammazzato il rivale per motivi esclusivamente economici, non mi interessa".

Perché?
"Perché mi pare di vedere un’assenza di motivi passionali".

I suoi interlocutori sono considerati criminali.
"Non sono serial killer. Non sono malati. Sono persone che hanno ucciso, è diverso".

Qual è la differenza?
"La persona che ha ucciso e non è un professionista del crimine è solo un individuo che ha commesso un crimine. È passata da una normale quotidianità all’orrore di un gesto estremo che non somiglia alla sua normalità".

E chi sono i professionisti?
"Per me un professionista del crimine è anche uno scippatore".

Per citarla: “I miei interlocutori sono persone cadute nel vuoto di una maledetta storia”.
"Quando li incontro so molto della loro storia, ho già letto le sentenze".

E le bastano?
"No. La vera miniera sono le informazioni sommarie. Gli interrogatori iniziali a familiari, amici, nemici. All’edicolante come al pescivendolo. Da quel che la gente dice puoi capire tante cose della personalità di chi stai per incontrare".

Cosa diventa lei per loro?
"Un’agevolatrice. Stabilisco un ponte tra loro e la società perché nel mondo, presto o tardi, dovranno tornare".

Franca Leosini, autodefinizione.
"Sono una persona onesta. Una che ha lavorato sempre tanto senza aver dietro di sé né un amante né un partito".

Di Malcom Pagani
Da Il Fatto Quotidiano del 20 gennaio 2016

sabato 16 gennaio 2016

David Bowie mi Dipinge di Nero le Unghie - Cesare Cremonini





Un grande artista non muore. Non per noi.

Ora vorrei dirlo con grande sincerità: per chi come me ama la musica e le grandi opere musicali venute alla luce nell'ultimo secolo, l'eroe che le ha composte e cantate non si fa uccidere da niente e da nessuno. Vi porto l'esempio di Lucio Dalla che, in particolare modo per chi è nato e cresciuto a Bologna, è stato un artista al pari dei più grandi di tutti i tempi, un genio anche quando messo a confronto con le icone della musica internazionale, anche messo sulla stessa bilancia dell'immenso David Bowie.
Sarei ipocrita se vi dicessi che sento la sua mancanza. Per me Dalla è più vivo che mai, oggi, e nella mia playlist quotidiana lo ascolto e riascolto con passione, come facevo anche prima che se ne andasse. Dimentico senza alcun dubbio la sua assurda e improvvisa scomparsa e lo sento fortemente ancora qui, a piedi nudi, sotto la pioggia di via D'Azeglio, a passeggiare tranquillamente tra la gente della mia città. Cantando a squarciagola una tra le tante opere d'arte che ci ha donato.
Ho ascoltato e riascoltato in questi anni i Queen e Mercury con la passione sentimentale di un ragazzino innamorato, come li avessi appena scoperti, e mi sono addormentato sugli scogli di accordi di chitarra di Lucio Battisti ogni notte, fin da bambino, quasi fossi stato ospite ogni sera a casa sua in campagna. Amy accarezza nervosamente i suoi capelli tutte le mattine mentre esco dalla doccia e quando sono stanco mi barcolla addosso. Ci sorreggiamo a vicenda. Lennon piange se piango e ride se rido. Lou Reed colora le mie visioni diurne più del sole e delle stagioni che si susseguono, quando viaggio in macchina.
David Bowie mi dipinge di nero le unghie, il suo sarcasmo ricopre di brillantina ogni mio venerdì notte, e lo riempie di consigli accattivanti, e giochi di parole, e sfumature, e ribolle il mio sangue e mi spara costellazioni di stelle nella nuca. Sniffa le mie paure e si compiace nel vedermi al tappeto prima di darmi una mano a rialzarmi. Quando voglio. Se mi va. È qui con me.
Così, un grande artista non muore. Non per noi.
È triste e commovente fermarsi a pensare, semmai, a chi lo amava davvero, a chi ora sta guardando gli oggetti che gli appartenevano, una penna appoggiata sul tavolo, il libro non ancora finito, un cellulare in carica sul comodino e un corpo spento sul letto. La macchina pulita, parcheggiata storta nel garage. La chitarra. Puoi immaginare quali sofferenze e gioie abbiano dovuto condividere nell'arco di una vita o un pezzo di essa, e con quale umanità e tenerezza possano aver poi osservato un marito, un padre, un figlio, una moglie o un fratello, lentamente spegnersi, accompagnando una fine troppo precoce e inattesa, a cui non si è mai preparati.
Chi li amava seriamente (e amare seriamente è una faccenda complicata se si parla di stare accanto a un artista), si è fatto e si farà coraggio spero anche attraverso l'affetto dei tanti fan orfani del loro eroe che continueranno a sentirlo vivo ascoltandolo. Sarà stato quasi impossibile e doloroso al limite del comprensibile per alcuni di loro perdere quel qualcuno che dietro la notorietà falsa e meschina, che sopravvaluta e delude, nascondeva fragilità umane meravigliose e dolcissime.
Ma questi non siamo noi. Per noi è diverso. Questo è il miracolo per cui hanno lottato e lottano tutti gli artisti da sempre. Penso a Freddie Mercury, a Micheal Jackson, a Lucio Dalla, a Lucio Battisti, Amy Winehouse, Lou Reed e tanti, tanti altri uomini e donne venuti dallo spazio che hanno affrontato questo passaggio verso l'immortalità sapendo che la morte un giorno avrebbe spento l'ultima loro opera meravigliosa, la vita. Penso a David Bowie.
Gli artisti sono nostri, le persone sono di chi li accompagna ogni giorno. I primi sono immortali. Ai secondi, beh...ci somigliamo tutti parecchio.

Metti su un disco.
Noi possiamo ancora sorridere.

Cesare Cremonini
12-1-2016

giovedì 7 gennaio 2016

Dexter canta David Bowie

Michael C. Hall al microfono spacca tutto 
Performance sorprendente dell’ex serial killer più amato della tv






Nulla come i telefilm è capace di appiccicare un’identità fittizia sulla faccia di un attore reale. Voi lettori di Serial Minds lo sapete benissimo, visto che ogni tanto chiamo ancora Joshua Jackson “Pacey”, anche se da Dawson’s Creek sono passati anni e in mezzo c’è stata pure una robettina da niente come Fringe. Per questo fa particolarmente impressione vedere Michael C. Hall – già David Fisher in Six feet Under e Dexter Morgan in Dexter – tirar fuori dall’ugola una versione assai bowiesca di Lazarus, secondo singolo tratto da Blackstar, ultimo disco di David Bowie... 


Continua Qui.


mercoledì 6 gennaio 2016

Il Dono dei Magi, O'Henry - Tradizionale Love Story Natalizia, Illustrazioni di Sonja Danowski








Un dollaro e ottantasette centesimi. Questo era tutto. E sessanta centesimi erano in penny. Penny risparmiati uno o due alla volta maltrattando il droghiere, il verduraio e il macellaio, fino a quando ti senti le guance rosse per l'accusa di taccagneria che tale atteggiamento comporta, anche se non te lo dicono. Della li contò tre volte. Un dollaro e ottantasette centesimi. E il giorno dopo sarebbe stato Natale. Non c’era chiaramente nulla da fare, se non afflosciarsi sullo squallido divanuccio e mettersi a urlare. E Della fece proprio così. E questo ci porta a riflettere che la vita è fatta di singhiozzi, tirate su col naso, e sorrisi, con prevalenza delle tirate su.
Mentre la padrona di casa si calma piano, piano, passando dalla prima fase alla seconda, date un'occhiata alla casa. Un appartamento ammobiliato da 8 dollari a settimana. Non certo un posto da mendicanti, ma la forse squadra anti-mendicità lo indicava come tale. Nel vestibolo sottostante, una cassetta per lettere in cui non sarebbe arrivata mai nessuna lettera, e un pulsante elettrico da cui nessun dito di mortale avrebbe ottenuto uno squillo. A tutto ciò si aggiungeva anche un cartellino che recava il nome "Mr. James Dillingham Young." 
Il "Dillingham" era stato sbandierato in un periodo precedente di prosperità quando il suo possessore veniva pagato 30 dollari a settimana. Ora, con il reddito ridotto a 20 dollari, stavano pensando seriamente di contrarlo in un più modesto e senza pretese "D". Ogni volta che il signor James Dillingham Young tornava a casa e raggiungeva il suo appartamento di sopra, veniva però chiamato "Jim" e abbracciato stretto dalla signora Dillingham, che già vi abbiamo presentato come Della. E tutto questo è molto bello.
Della aveva finito di singhiozzare e si occupava delle guance con il piumino della cipria. Se ne stava alla finestra e guardava fuori senza pensieri verso un gatto grigio che camminava lungo un recinto grigio in un cortile grigio.





Domani sarebbe stato il giorno di Natale e lei aveva solo 1 dollaro e 87 con cui comprare un regalo a Jim. Aveva risparmiato ogni centesimo che aveva potuto, per mesi, con questo risultato. Con venti dollari alla settimana non si va lontano. Le spese erano state maggiori di quanto lei aveva calcolato. Lo sono sempre. Solo 1 dollaro e 87 per comprare un regalo per Jim. Il suo Jim. Aveva trascorso tante ore felici pensando a qualcosa di bello per lui. Qualcosa di bello e raro e speciale - qualcosa che fosse degno di appartenere a Jim. C’era uno di quei comuni specchi stretti, tra le finestre della stanza. Forse avete visto uno di questi specchi in un appartamento da 8 dollari. Una persona molto sottile e molto agile può, osservando il suo riflesso in una rapida sequenza di strisce longitudinali, avere un’idea abbastanza precisa del suo aspetto. Della, essendo magra, aveva imparato quest’arte. Improvvisamente si girò dalla finestra e si fermò davanti allo specchio. I suoi occhi brillavano di scintille, ma il suo viso perse di colore in venti secondi. Rapidamente tirò giù i capelli e li lasciò cadere per tutta la loro lunghezza. Ora, vi erano due beni in possesso alla famiglia Dillingham Young di cui entrambi erano orgogliosissimi. Uno era orologio d'oro di Jim, che era stato di suo padre e di suo nonno. L'altro, erano i capelli di Della.