giovedì 22 dicembre 2011

Sacro e Profano (?) - Lettera dal Carcere di Reading


Questa "Lettera dal Carcere" è stata letta da Roberto Benigni durante il festival di Sanremo, addirittura inaugurandolo, credo il 9 febbraio 2008...E' stata presentata e vissuta come un manifesto-riscatto dell'amore omosessuale, come il trionfo dell'amore senza declinazioni di genere al di là di ogni maligna traversia. Niente in contrario... peccato che... Come si può leggere dall'intestazione, questa lettera non è scritta dal carcere di Reading, dove Oscar Wilde scontò la sua condanna ai lavori forzati a causa delle sue inclinazioni sessuali, ma dal carcere di S.M. Halloway, dove il poeta trascorse il periodo del processo. Ancòra - dunque -  il suo amato "Bosie", il giovinastro aristocratico,viziato ed irrimediabilmente egoista, causa della sua rovina e che egli amò fino alla morte, non lo aveva deluso, tormentato, atterrato con la sua vigliaccheria ed il suo abbandono. Ancòra Wilde non conosceva il vero carcere, il supplizio della condanna, e la sua fiducia era intatta.

Carcere di S.M, Halloway, 25 aprile 1895

A Lord Douglas

Mio carissimo ragazzo,
questo è per assicurarti del mio amore immortale, eterno per te. Domani sarà tutto finito. Se la prigione e il disonore saranno il mio destino, pensa che il mio amore per te e questa idea, questa convinzione ancora più divina, che tu a tua volta mi ami, mi sosterranno nella mia infelicità e mi renderanno capace, spero, di sopportare il mio dolore con ogni pazienza. Poiché la speranza, anzi, la certezza, di incontrarti di nuovo in un altro mondo è la meta e l'incoraggiamento della mia vita attuale, ah! debbo continuare a vivere in questo mondo, per questa ragione.
Il caro *** mi è venuto a trovare oggi. Gli ho dato parecchi messaggi per te. Mi ha detto una cosa che mi ha rassicurato: che a mia madre non mancherà mai niente. Ho sempre provveduto io al suo mantenimento, e il pensiero che avrebbe potuto soffrire delle privazioni mi rendeva infelice. Quanto a te (grazioso ragazzo dal cuore degno di un Cristo), quanto a te, ti prego, non appena avrai fatto tutto quello che puoi fare, parti per l’Italia e riconquista la tua calma, e componi quelle belle poesie che sai fare tu, con quella grazia così strana. Non esporti all'Inghilterra per nessuna ragione al mondo. Se un giorno, a Corfù o in qualche isola incantata, ci fosse una casetta dove potessimo vivere insieme, oh! la vita sarebbe più dolce di quanto sia stata mai. Il tuo amore ha ali larghe ed è forte, il tuo amore mi giunge attraverso le sbarre della mia prigione e mi conforta, il tuo amore è la luce di tutte le mie ore. Se il fato ci sarà avverso, coloro che non sanno cos'è l'amore scriveranno, lo so, che ho avuto una cattiva influenza sulla tua vita. Se ciò avverrà, tu scriverai, tu dirai a tua volta che non è vero. Il nostro amore è sempre stato bello e nobile, e se io sono stato il bersaglio di una terribile tragedia, è perchè la natura di quell'amore non è stata compresa. Nella tua lettera di stamattina tu dici una cosa che mi dà coraggio. Debbo ricordarla. Scrivi che è mio dovere verso di te e verso me stesso vivere, malgrado tutto. Credo sia vero. Ci proverò e lo farò. Voglio che tu tenga informato Mr Humphreys dei tuoi spostamenti così che quando viene mi possa dire cosa fai. Credo che gli avvocati possano vedere i detenuti con una certa frequenza. Così potrò comunicare con te. Sono così felice che tu sia partito! So cosa deve esserti costato. Per me sarebbe stato un tormento pensarti in Inghilterra mentre il tuo nome veniva fatto in tribunale.
Spero tu abbia copie di tutti i miei libri. I miei sono stati tutti venduti. Tendo le mani verso di te. Oh! possa io vivere per toccare i tuoi capelli e le tue mani. Credo che il tuo amore veglierà sulla mia vita. Se dovessi morire, voglio che tu viva una vita dolce e pacifica in qualche luogo fra fiori, quadri, libri, e moltissimo lavoro. Cerca di farmi avere tue notizie. Ti scrivo questa lettera in mezzo a grandi sofferenze; la lunga giornata in tribunale mi ha spossato. Carissimo ragazzo, dolcissimo fra tutti i giovani, amatissimo e più amabile. Oh! aspettami! aspettami! io sono ora, come sempre dal giorno in cui ci siamo conosciuti, devotamente il tuo, con un amore immortale.

Oscar Wilde


Posto la conclusione di "De Profundis", (di cui consiglio caldamente la lettura), lunghissima epistola-sfogo-riflessione scritta fra il gennaio ed il febbraio del 1897 all'ingrato ed egoista "Bosie", quando la permanenza in carcere di Oscar Wilde volge al termine. Wilde scrive dal carcere di Reading, dove scontò la condanna ai lavori forzati. Conosco bene la sua opera letteraria, poco i saggi e le lettere, per cui... non sentenzio... avanzo ipotesi: "De Profundis" è fatto di materiale instabile, scritto e riscritto negli anni, anche perché, pare, pesantemente censurato dal figlio dell'autore; può essere che edizioni differenti presentino strane mescolanze, io mi fido de "Meridiani"...
La traduzione è di Oreste del Buono:

"Quello che al mondo e a me pareva il mio futuro, lo persi irrimediabilmente quando mi lasciai indurre a intentare causa a tuo padre. In realtà, l'avevo perso, oso dire, molto prima.Davanti a me, ora, ho il mio passato. Devo riuscire, ora, a guardarlo con occhi diversi, a far sì che il mondo lo guardi con occhi diversi, a far sì che Dio lo guardi con occhi diversi. A questo non posso giungere ignorando il mio passato, o diminuendolo, o lodandolo e neppure rinnegandolo. Vi giungerò pienamente solo accettandolo come parte inevitabile dell'evoluzione della mia esistenza e del mio carattere: chinando la testa davanti a quanto ho patito. Questa lettera nei suoi umori mutevoli e incerti, nel suo sdegno e nella sua amarezza, nelle sue aspirazioni e nella sua incapacità a realizzarle, ti mostra assai chiaramente quant'io sia lontano dalla vera sostanza dell'anima. Ma non scordare in quale tremenda scuola sto svolgendo i miei compiti. E, per quanto incompleto e imperfetto io sia, tuttavia da me hai ancora molto da imparare. Sei venuto a me per conoscere il Piacere di vivere e il Piacere dell'arte. Forse io sono destinato a insegnarti qualcosa di ben più stupendo:il significato del Dolore, la sua bellezza.
Il tuo affezionato amico,

Oscar Wilde "

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...Nessuna strana, ambigua eco dei paradisi  dei presunti eredi di Adriano, niente Corfù, niente Capri, né la/le  "Cuba" dei tempi che furono, rievocanti lampi di "Improvvisamente l'Estate Scorsa".
Il brano che posto qui è dolore, è delusione, è stanchezza, è orgogliosenzaorgoglio, è un Amore ferito e auto-dilaniato ... senza etichette né nastrini rosa...


Mab


p.s.
Ho rieditato e postato questi brani tre volte, dal luglio del 2009.

mercoledì 7 settembre 2011

Eduardo De Filippo. "Ll'Ombra"







Pure quanno m’addormo te penzo
pecché dormo liggiero liggiero
pe’ chissà te venesse ‘o penziero
‘e te sosere e correre ccà.
L’ata notte in’ ‘o mmeglio d’ ‘o suonno
cu no zumpo me songo scetato:
me truvavo cu ttico abbracciato.
Era n’ombra… e che vuo’ cchiù durmì!
Ma chell’ombre ca pàreno ‘o vero,
ca se mòveno e fanno remmore,
ca respirano e siente ‘o calore
‘e nu sciato ca sciata pe’ tte,
ca respirano e appannan’ ‘e llastre
ca po’ restano overo appannàte.
Comme a dinto ‘a nu cunto d’ ‘e ffate
tu te ncante e te miette a parlà.
“Sei venuta?” “E tu nun me vulive?”
“Neh, guardate! Mò nun te vulevo!
Sulamente ca nun ‘o ssapevo
ca sarisse venuta addu me.”
“E… te siente nu poco sperduto?”
“Nun me sento nè nterra né ncielo”…
Tutto nzieme è scennuto nu velo
e te sento sultanto parlà.
“Damm’ ‘a mano” e tu ‘a mano me daie,
e restammo accussì dint’ ‘o scuro.
Cchiù t’astregno cchiù songo sicuro
ca stu velo cchiù fitto se fa.
“Isabè”, ma tu non me rispunne.
“Isabella!”, e nun sento cchiù ‘a voce,
ma te sento cchiù viva e cchiù doce
quanno ll’ombra t’ ‘a chiamme addu te.



Enrico Fornaini
"Eduardo de Filippo" Pastello
57x3 cm 1990 - Proprietà Famiglia de Filippo.


giovedì 4 agosto 2011

"Quale Libro Non Avete Mai Finito di Leggere?"

Confessateci quale scrittore avete piantato in asso, quale romanzo non avete mai terminato, quale bestseller avete chiuso perché annoiati o disgustati, intristiti oppure perplessi...

A quanti di noi è capitato di non riuscire a terminare la lettura di un romanzo famoso, classico o contemporaneo? Sull’argomento abbiamo provato a sondare dieci personalità del mondo della cultura, del giornalismo e dello spettacolo: Eva Cantarella, Philippe Daverio, Giulio Ferroni, Massimo Fini, Milena Gabanelli, Giulio Giorello, Diego Marani, Edoardo Nesi, Aldo Nove e Ottavia Piccolo. Le loro risposte nelle pagine centrali di “Saturno”, in edicola oggi, venerdì 29 luglio: lʼultimo numero prima della pausa estiva (“Saturno” tornerà in edicola venerdì 2 settembre).

Tra gli autori “dimezzati” spiccano giganti come Alessandro Manzoni, Alexandre Dumas, Robert Musil, Lev Tolstoj e Louis-Ferdinand Céline. Ma anche scrittori viventi e bestseller pluripremiati come Jonathan Littell, Paolo Giordano, Jonathan Franzen e Umberto Eco.

Adesso la parola passa a lettrici e lettori di “Saturno” e del “Fatto Quotidiano”. Da oggi potete partecipare al nostro gioco dellʼestate, intervenendo con i vostri commenti e suggerimenti di libri interrotti: quale scrittore avete piantato in asso? Quale romanzo avete chiuso prima di arrivare alla fine? Perché avete smesso di leggerlo?

Nel primo numero di “Saturno” dopo la pausa estiva, in edicola il 2 settembre, troverete pubblicata la lista aggiornata dei “libri interrotti” con i suggerimenti dei lettori.

Buone vacanze da “Saturno”!

COMMENTI

Antonio Angarola
lo zahir- paulo coelho
a suo tempo l’ho interrotto perchè mi risultava noioso, meno coinvolgente rispetto ai precedenti romanzi………mi sono ripromessa di riprenderlo!!!!!!nulla va lasciato a metà

Stefania B.
Con grande rammarico ho interrotto (tentando più volte di riprenderli, senza altro risultato se non una nuova interruzione) i due capolavori di Celine: Morte a credito e Viaggio al termine della notte. E la cosa peggiore è che non so neanche il perché…

Rob Pupsik
Ho interrotto e non ho alcuna intenzione di leggere in futuro “Salambò” di Flaubert e “Dona Flor e i suoi due mariti” di Amado. Grazie ad Amado ed al pesantissimo Guimaraes Rosa ho deciso di evitare in futuro la letteratura sudamericana, peccato!
A suo tempo ho interrotto, ma poi fortunatamente ripreso con interesse e piacere “Le Bostoniane” di James.
Ho recentemente interrotto ma di sicuro riprenderò “I demoni” di Dostojevskij.

carip
“Se una notte d’ inverno un viaggiatore…” da allora I. Calvino è stato radiato dalla categoria scrittori e dalle mie letture.

max
Non c’è niente da fare, siamo bestiole strane, un metaromanzo, anzi il metaromanzo di Calvino, indicato come libro illeggibile, un capolavoro d’avanguardia con autoreferenzialità spinta, ovvero il post moderno che emerge, e carip non lo legge, non c’è niente da fare, capisco e m’adeguo, mi spiace tanto per te e la cattiva pubblicità che hai fatto a Calvino quanto a quest’opera omnia.

anna.fandy
Anche io non sono riuscita a finire “Cent’anni di solitudine”. Inoltre avevo iniziato “Il maestro e Margherita”: non son mai riuscita a finirlo perchè l’ho trovato noioso. Ho iniziato da poco a leggere “La classe” di Erich Segal ma lo restituirò a breve senza finirlo alla biblioteca dove l’ho preso in prestito: è scritto bene e non in maniera pesante ma non è assolutamente il genere di libri che mi piace e che mi appassiona. Alla lista aggiungo “Isole nella corrente” di Hemingway: troppo cinico e si perde troppo a descrivere nel minimo dettaglio (secondo me spesso inutilmente) ciò che accade ai personaggi.

Mario Monti
E’ possibile che tutti siano riusciti a finire “La montagna incantata” di T.Mann? Comunque mi sono promesso che entro fine dell’anno ci riproverò….

max
Mai letto… per saperti dire se lo leggerei devo prima assaggiarlo in libreria, se non mi piace l’assaggio io non li compro i libri che non superano quel test=non li leggo.

ANARCA
daccordo con max....forse è il motivo per cui non ne ho finiti solo due!!

mau51
Ti consiglio di riprovarci. Per quel che mi riguarda la lettura della Montagna Incantata ha rappresentato una delle avventure più importanti.

gianmix
ahime’, non so perche’ ma ho cominciato un tre o quattro volte “cent’anni di solitudine” del colombiano Gabriel G. Marquez e non son mai riuscito a finirlo, eppure mi piaceva, ma poi verso la fine ho sempre lasciato, senza volere…Marquez rimane un grande.

max
una palla mostruosa quel libro…. l’unico che ho letto di lui, 1 così basta e avanza

Bruno Teghille
Mi sembra impossibile che dopo centinaia di commenti nessuno abbia menzionato gli inutilissimi, recenti romanzi pseudostorici di Giampaolo Pansa. Provvedo immediatamente pur riconoscendo che sono comunque giunto alla fine di due di essi, ma questo è un mio demerito perchè, pur sapendo che vi sono sicuramente altri libri meravigliosi da leggere, quando inizio un libro lo leggo in ogni caso.
Sconsiglio comunque questo approccio perchè porta inevitabilmente ad escludere titoli e autori senza tentarne una conoscenza diretta, accontentandosi di recensioni lette sui quotidiani o pareri di amici.

Cristian Palmas
Forse perché la maggior parte degli utenti che hanno commentato, fanno esattamente come me: mi guardo bene dal leggere Pansa.

max
sì sì (peccato che non c’è l’emoticon che fa sì sì con la testina e le corna rivolte verso l’alto).

PeaceFrog
Tanti, tanti tioli e senza alcuna remora!!!
Ultimamente ho piantato li “The cider house rules” di John Irving, uno dei miei autori preferiti in assoluto, che leggo volentieri in originale…ahò quando un libro è palloso è palloso….
Concordo con Daniel Pennac che anni fa scriveva dei diritti dei lettori, tra cui spiccavano il diritto a non finire un libro e il diritto a “saltare”….da allora non mi sento più in colpa se abbandono un libro!!!
Va anche detto che ultimamente trovo INTOLLERABILI gli errori di grammatica e sintassi nei libri tradotti (uno stupro vero e proprio ai danni del povero autore) e devo dire che spesso è anche quello che mi ha fatto abbandonare varie letture

Marcello Cimino
Può sembrare strano, ma l’unico libro che non ho finito di leggere, pur avendolo iniziato in tempi non sospetti, quando cioè era appena uscito e ancora nessuno l’aveva letto, è GOMORRA. Al di là dell’impegno sociale e del valore morale del libro, asoslutamente indiscutibili, l’ho trovato noioso, mal scritto, incapace di emozionarmi, esattamente come il film che ne hanno tratto. Ho grandissima stima di Saviano come giornalista, e leggo regolarmente i suoi articoli su Repubblica e l’Espresso. Non credo che abbia il respiro del romanziere.

Cristian Palmas
Accidenti, posso capire che uno abbandoni Gomorra per la durezza dell’argomento, per la rabbia che suscitano i fatti narrati o anche per la densità di argomenti trattati che possono fiaccare la più ferrea volontà, ma affermare che sia anche scritto male… La capacità di sintesi dimostrata da Saviano dovrebbe essere presa come esempio nelle scuole.
Poi, va be’, de gustibus non disputandum.
Per quanto mi riguarda, aggiungo un titolo che non avevo citato tra le mie letture interrotte: Il libro nero del comunismo. Un mattone che fin dall’inizio partiva con un elenco di fatti e documenti manipolati per dimostrare la tesi secondo la quale, siccome l’applicazione del comunismo primordiale è sempre sfociato in dittature, allora i suoi principi sono abominevoli.

michelangelo1
Hai ragione, è come mettere sullo stesso piano gli insegnamenti di Gesù di Nazareth con la sanguinaria inquisizione cattolica e non

x-15
Mi vergono!
“La Divina Commedia” (che Benigni abbia pietà di me)!?
“I Promessi Sposi” “Iliade/Odissea”"Il Gattopardo”"Ulisse”
“Il Capitale” “Mein Kampf” “Il bel Antonio” “Guerra e Pace” “Dr.Zivago” “Il nome della Rosa”…Ma ho Letto 2 volte “Il Pendolo di Foucoult” in italiano 1 volta in tedesco e 2 volte “Il Cimitero di Praga”. Ed infine quello che non riuscirò mai ha leggere ….è “Il Giornale”

yasee
“Fuori da un evidente destino”, il terzo di Faletti. Ho letto i primi due, ma dalle prime pagine del terzo in poi, niente più. Ne ha scritti altri due, ho saputo.

mau51
sono d’accordo; quello di Faletti è un successo editoriale, a mio giudizio, ingiustificato



http://www.ilfattoquotidiano.it/

Oh, my God! L'idea del "libro interrotto" mi gira in testa da sempre. Quando è capitato, ho sempre sentito un orrido senso di colpa, da lettrice onnivora e colma di sacro rispetto per la parola scritta. Ma i commenti mi hanno ucciso. Ho preso una paginata a caso, ne ho saltati due o tre solo perché repliche di quelli che trovano indigeribile G.G.Marquez! Io lo amo, lo venero, invidio perdutamente la sua fantasia e la capacità di assimilare e di far riemergere dal suo vissuto, dalla sua terra,  storie, leggende, simboli, aneddoti fantastici per poi renderli suoi, in un racconto infinito e circolare. Realismo magico è un'espressione coniata su di lui e per lui. Gli altri che si sono accodati come il paguro Bernardo sono zero.

Mab


"La Lettrice" di Faruffini


lunedì 25 luglio 2011

Lost, al Comic-Con Cuse e Lindelof Presentano una (ironica) Scena Inedita (video sottotitolato)

Possibile, a più di un anno di distanza, che “Lost” raccolga ancora una folla di fan pronta ad accogliere nuove rivelazioni su qualche mistero, anche se in chiave evidentemente parodistica? Certo che è possibile, se ci si mettono di mezzo il Comic-Con (che si sta svolgendo in questi giorni a San Diego) e Cartlon Cuse e Damon Lindelof.
Era un anno che non si parlava di “Lost” (almeno con un panel dedicato appositamente) al Comic-con, la convention che ogni anno raggruppa i fan di fumetti e (sempre di più) diventa l’occasione per presentare le nuove serie televisive della prossima stagione. E siccome i panel dedicati a “Lost” sono stati, negli anni precedenti, tra i più frequentati, si è tenuta ieri la convention commemorativa intitolata “Entertainment Weekly Presents… Totally ‘Lost’: One Year Later”, moderata dall’esperto Doc Jensen.
Un’occasione per discutere dello show ad un anno di distanza ma, soprattutto, per attendersi qualche sorpresa. Come è accaduto, dal momento che tra il pubblico si sono palesati i due autori della serie, Carlton Cuse (travestito da soldato) e Damon Lindelof (con una tuta della Dharma Initiative), che hanno inscenato una lite basata su una scena mai trasmessa della serie risalente alla prima stagione.
Tutto è “iniziato” con una serie di repliche che i due autori si sono mandati tramite Twitter: Cuse aveva sognato Nikki e Paulo (personaggi minori dello show) che gli dicevano “Non importa, non farlo”. Il riferimento era alla pubblicazione di un video in cui viene dimostrato che i due hanno sempre saputo dove andare a parare. Se per Cuse la rivelazione del video non era indispensabile (“Lo show parla da sè”), per Lindelof si trattava di qualcosa di necessario (“Abbiamo sempre saputo come avremmo finito la serie, e possiamo provarlo”). Il risultato? La decisione è stata messa ai voti, ed i fan hanno, ovviamente, chiesto di vedere la scena.
Si tratta di un frammento relativo ad “Exodus”, finale della prima stagione in cui, durante un colloquio tra Jack (Matthew Fox) e Locke (Terry O’ Quinn), nascosti nella giungla si trovano Jacob e l’Uomo in Nero, personaggi allora non ancora presentati. Loro due sono i protagonisti di questa scena, che si rivela una simpatica azione autoironica verso lo show stesso, accusato da molti di aver lasciato molte domande in sospeso, tra cui quella sul vero nome dell’Uomo in Nero che se, stando al copione originale, si sarebbe dovuto chiamare Samuel (ma poi non è mai stato rivelato), ora viene chiamato con un altro nome (che vi lasciamo scoprire).
Per realizzarla, sono tornati in scena Mark Pellegrino e Titus Welliver, mentre Jack Bender (regista anche del finale) ha diretto i pochi secondi, girati negli studi della Disney con le piante usate fino a poco fa per girare “Brothers and sisters”.
Il pubblico ha apprezzato, e ne ha approfittato per fare qualche domanda ai due autori, che hanno risposto e regalato i poster di “Lost” in stile “Star Wars” (foto). Un altro modo per ironizzare su una serie che manca a molti.





http://www.tvblog.it/

"Amy: 27 Anni Vissuti Liberi"

di Federico Mello






Morta Amy Winehouse. È la prima volta che risulta prevedibile” scrive Frankie Hi Nrg su Twitter. Ha ragione Frankie, l’originalità di Amy lascia un vuoto enorme nella musica contemporanea.

Quella della sua morte è una notizia che, in un afoso sabato d’estate, arriva come un fulmine e si propaga in ogni anfratto dell’infosfera tramite i social network.

Molti su Twitter ricordano come sia morta a 27 anni. La stessa età in cui ci hanno lasciato, in epoche diverse – anche dal punto di vista musicale – Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Kurt Cobain. Tutte icone del rock, tutti miti delle loro generazione (e non solo) e decisi a vivere da persone libere, come volevano, come se ogni giorno fosse l’ultimo.

Alcuni, anche online, dicono che era una notizia prevedibile: “Se l’è cercata”; “E’ stata semplice selezione naturale”, “Un talento e una vita buttati nel cesso”, scrivono anche alcuni dei nostri lettori su questo sito. Eppure, c’è chi fa un passo in avanti: “Un esempio da imitare per tutti i disperati. Che voce… che talento…” scrive Waldemar sempre nei commenti.

Ecco, io la penso proprio così. Di Amy straordinaria era la forza delle sue canzoni e dei suoi testi, la passione che buttava in ogni nota, in ogni acuto. Mi chiedo: avrebbe avuto la stessa passione con una vita regolare? Avrebbe avuto la stessa sensualità distruttiva e irresistibile senza decidere di consumare tutta la sua vita in una potentissima fiammata fuori da ogni consuetudine e ogni imposizione?

Spesso l’esistenza di noi umani è diversa da quella che immagina Giovanardi. E ognuno deve essere libero di vivere come vuole. Se poi una disperazione straziante regala emozioni a uomini e donne di tutto il mondo come ha fatto Winehouse, non c’è nulla da aggiungere. Parlano solo le canzoni di una grande artista vissuta giusto il tempo di lasciare un segno prima di tornare Back to black. Rest in peace."


In morte di Amy Winehouse, impossibile “mettersi in riga”

di Domenico Naso


Nessuno si aspetti di leggere, in queste righe, espressioni del tipo “voce graffiante” o “talento sopraffino”. Non lo diremo semplicemente perché la grandezza vocale e musicale di Amy Winehouse era così fottutamente evidente da non aver bisogno di approvazioni critiche o elogi standard buoni per tutte le stagioni. E non troverete nemmeno tirate moralistiche sul suo stile di vita, sulla sua tendenza all’autodistruzione. Una delle regole più importanti (e a volte più dolorose) dell’esistenza umana è, o almeno dovrebbe essere, quella secondo la quale ognuno fa della propria vita quello che vuole, anche consumarla velocemente come fosse una birra ghiacciata in una giornata afosa d’estate, da tracannare tutta d’un fiato prima che si riscaldi troppo.

Amy Winehouse era così. Non poteva, o non voleva, “mettersi in riga”. Era alcolizzata, drogata, persa in un mondo tutto suo fatto di gorgheggi per lei perfetti nella loro imperfezione anche sotto l’effetto di sostante stupefacenti, di liti con il pubblico, di storie d’amore maledette e di fughe per tentare di salvarsi l’anima. Ma nessuno può permettersi di giudicare, di puntare il dito, di dire, sospirando e arricciando il naso: “Che vita buttata, che talento sprecato”. Certo, assistere alla morte a 27 anni della migliore voce degli ultimi tempi fa rabbia, soprattutto a chi la musica la ama e cerca quotidianamente un’oasi di qualità nel desolante deserto della mediocrità conformista dell’industria discografica. Ma il sentimento di rabbia e frustrazione si ferma di fronte all’individuo e alla sua assoluta libertà di sbagliare e di farsi del male, almeno fino a quando non danneggia anche gli altri.

E allora doliamoci della morte di Amy Winehouse ma non commettiamo i due tipici errori in cui si incappa in casi del genere: non la bolliamo come eccessiva e stupida milionaria viziata dedita all’alcool e alle droghe; non ne facciamo un’icona da venerare, un modello di vita da seguire. Non era un modello, la bruttina ma talentuosa Amy. Lo sapeva e ne era persino fiera. La sua vita alcolica e tossica non la rendeva orgogliosa né la abbatteva. Era la sua vita, punto. Ci sono cose che non si possono cambiare, ci sono sentieri accidentati lungo i quali siamo obbligati a camminare, magari sperando in cuor nostro che prima o poi si spalanchi davanti ai nostri occhi un largo e confortevole viale alberato. Per Amy non è stato così. Il sentiero si è interrotto e il viaggio è finito. Non dipendeva da lei. Tantomeno da noi.

In queste righe abbiamo tentato, sperando di esserci riusciti, di non essere patetici o scontati. Non per una narcisistica ricercatezza e originalità, per carità. Ma semplicemente perché Amy Winehouse era tutto fuorché banale, tutto fuorché conforme alle “regole” della società. Era semplicemente Amy Winehouse, la cantante che ha fatto la sua fortuna gracchiando talentuosamente al mondo che non voleva andare in “rehab “ e che sapeva perfettamente di non essere buona (“You know, I’m no good”). Era lei, prendere o lasciare. Noi, come milioni di altri fan in giro per il mondo, avevamo deciso di prenderla così com’era e di apprezzarne il talento, sopportando le snervanti scenate sui palchi di mezzo pianeta. Ma lei, che di farsi prendere non ne aveva nessuna fottutissima voglia, ci è sfuggita di mano per l’ultima volta. E forse è quello che voleva più di ogni altra cosa. Rest in peace, Amy."



Da:

http://www.ilfattoquotidiano.it/


Jean-Francois Dupuis

martedì 28 giugno 2011

La "Guerra dei Mondi" di Orson Welles

 


 
 
"E’ conosciuta come la più grande beffa mediatica del nostro secolo. Una farsa capace di gettare nel panico migliaia di americani provenienti da ogni strato sociale. Un radiodramma che cambiò definitivamente non solo la carriera del suo artefice, ma tutto lo studio sociologico sugli effetti dell’esposizione ai contenuti massmediatici.
 
Stiamo parlando della celebre versione radiofonica di La Guerra dei Mondi realizzata da Orson Welles. Da quel giorno in poi fu assai più evidente da una parte l’enorme potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa, dall’altra quanto fosse presente il rischio di manipolazione e canalizzazione dell’opinione pubblica da parte di tali mezzi.
 
Come spesso accade, la descrizione dell’evento stesso può esserci d’aiuto per capire meglio le dinamiche che hanno permesso ad un semplice radiodramma di scatenare una serie di reazioni a catena capaci di suscitare il reale terrore degli ascoltatori.

 E’ la sera del 30 Ottobre del 1938, la sera prima di Halloween (e la data di sicuro non è casuale), quando la stazione radiofonica statunitense della CBS decide di mandare in onda uno show speciale per celebrare tale festività. Come di consuetudine, è previsto un radiodramma, affidato quell’anno al miglior attore emergente di cui la radio disponeva: Orson Welles.

Il programma prevede la trasposizione radiofonica di un romanzo di fantascienza di H.G. Wells (è curiosa in questo caso l’assonanza del cognome con quello di Welles), dal titolo La Guerra dei Mondi. Il romanzo descrive l’invasione della Terra da parte di extraterrestri provenienti da Marte sul finire del diciannovesimo secolo.

La storia viene riadattata ai tempi radiofonici principalmente da Howard Koch e alcuni suoi collaboratori della CBS. Il riadattamento tuttavia non piaceva del tutto a Welles, perplesso sopratutto dal ritmo del testo che ne era uscito. Con una geniale intuizione, lo stesso Welles decide, per ‘dare sapore’ a quel piatto sciapo, di impostare la trasmissione come se si trattasse di un normale programma musicale interrotto ad un certo momento da un falso notiziario radio che annunciava l’invasione degli alieni e i suoi drammatici sviluppi.

Nessuno degli addetti al radiodramma, compreso lo stesso Orson Welles, si sarebbe mai immaginato che quello che ai loro occhi appariva semplicemente come un normale lavoro di routine, si sarebbe trasformato in un evento i cui effetti furono tali da modificare in maniera incontrovertibile non solo il destino artistico del giovane attore, ma anche il destino degli studi sociologici circa gli effetti dei contenuti massmediatici.

La trasmissione comincia con lo speaker che presenta, “in diretta dalla Meridian Room dell’Hotel Park Plaza di New York”, l’inizio della programma musicale di Ramon Raquello e della sua orchestra. Si può facilmente interpretare lo sgomento del pubblico radiofonico quando, dopo pochi minuti dall’inizio della trasmissione, questa viene bruscamente interrotta con un comunicato dai toni altamente drammatici: “Signore e signori, vogliate scusare per l’interruzione del nostro programma di musica da ballo, ma ci è appena pervenuto uno speciale bollettino della Intercontinental Radio News. Alle otto meno venti, ora centrale, il professor Farrell dell’Osservatorio di Mount Jennings, Chicago, Illinois, ha rilevato diverse esplosioni di gas incandescente che si sono succedute a intervalli regolari sul pianeta Marte. Lo spettroscopio indica che si tratta di idrogeno e che si sta avvicinando verso la terra a enorme velocità. Il professor Pierson dell’Osservatorio di Princeton conferma questa osservazione dicendo che il fenomeno è simile alla fiammata blu dei jet sparata da un’arma”.

Ha inizio la beffa mediatica del secolo, il falso che ha messo in luce il rapporto fin troppo fideistico e acritico che il pubblico aveva instaurato con i mezzi di comunicazione di massa. Gli oltre sei milioni di ascoltatori non erano preparati né a sospettare del falso, né tantomeno a sospettare dell’enorme potenzialità di quello che dalla maggioranza di loro veniva ancora considerato semplicemente come un ‘mezzo di svago’. Probabilmente Welles era al corrente di queste potenzialità e dell’abbaglio al quale erano sottoposti i fruitori dei mezzi di comunicazione di massa.
E’ per questo che aveva deciso di inserire il suo falso nel bel mezzo di un programma d’intrattenimento, come a voler render più netto lo stacco tra uno stato d’animo disteso, qual è appunto quello derivante dall’ascolto di un programma musicale, e uno stato di panico crescente dovuto all’annuncio dell’avvenuta invasione aliena.

  Dopo il primo avvertimento circa le fiammate provenienti da Marte, la programmazione musicale prosegue con un brano estremamente simbolico dal punto di vista linguistico: Star Dust (polvere di stelle).

Gli ascoltatori tornano così a rilassarsi con una delle canzoni di maggior successo dell’epoca, ignari del susseguirsi di eventi che di lì a poco li avrebbe destati dalle loro poltrone e scaraventati nelle strade in cerca di salvezza. Infatti, passano pochi minuti ed ecco una nuova interruzione: “Signore e signori, vorrei leggervi un telegramma indirizzato al professor Pierson dal dottor Gray, del Museo di Storia Naturale di New York. Il testo dice: Ore 21:15, ora standard delle regioni orientali. I sismografi hanno registrato una scossa di forte intensità verificatesi in un raggio di 20 miglia da Princeton. Per favore investigate. Firmato Loyd Gray, capo della Divisione Astronomica”. Vediamo in questo caso come la citazione di fonti apparentemente autorevoli, come il ‘Museo di Storia Naturale’ o il ‘Professor Gray, capo della Divisione Astronomica’, sia un espediente imprescindibile per chi vuole mettere a segno una beffa mediatica e intende donare ad essa ulteriore credibilità.

Gli eventi che seguono il secondo annuncio diventano sempre più drammatici e la costante alternanza di questi allarmi con la normale programmazione musicale non fa altro che creare ulteriore confusione nell’ormai già allarmato pubblico.

Man mano che passa il tempo, si diffondono, tramite le voci di abilissimi attori, notizie che riferiscono dell’avvenuto atterraggio extraterrestre, delle orribili fattezze degli alieni, delle loro sofisticatissime armi e dei gas tossici. L’escalation porta addirittura a descrivere ‘in diretta’ la morte di un cronista che stava riferendo dell’avvenuta distruzione della città di New York. E quest’ultima è la scintilla che scatena l’esplosione di panico tra la gente.

Per capire meglio il linguaggio di cui si è fatto uso in questa trasmissione, che ricalcava in modo astuto quello delle reali cronache giornalistiche, e per capire meglio la drammaticità del falso evento, di seguito riporto la descrizione di un ‘falso’ cronista che si ritrova faccia a faccia con una presenza aliena: “Signore e signori, è la cosa più terribile alla quale abbiamo mai assistito…Aspettate un momento! Qualcuno sta cercando di affacciarsi alla sommità..qualcuno… o qualcosa. Nell’oscurità vedo scintillare due dischi luminosi..sono occhi? Potrebbe essere un volto. Potrebbe essere..mio Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio che si contorce come un serpente. E poi un altro e un altro ancora. Sembrano tentacoli. Ecco, adesso posso vedere il corpo intero. È grande come un orso e luccica come cuoio bagnato. Ma il viso! È indescrivibile. Devo darmi forza per riuscire a guardarlo. Gli occhi sono neri e brillano come quelli di un serpente. La bocca è a forma di V e della bava cade dalle labbra senza forma che sembrano tremare e pulsare. Il mostro, o quello che è, si muove a fatica. […]Un oggetto ricurvo sta uscendo dalla fossa. Sembra un piccolo raggio di luce riflesso su uno specchio. Che succede? Dallo specchio si sprigiona un raggio di luce…che si dirige verso gli uomini che avanzano. Li ha colpiti! Sant’Iddio, li ha incendiati! Bruciano come torce”.

Seguono diversi silenzi radio (come a far crescere la tensione), ogni tanto ripresi da qualche sporadica e confusa cronaca, fino a quando non si giunge ad un’apparente cessazione delle trasmissioni. E’ a questo punto che si scatena il putiferio. Migliaia di persone in preda al panico si riversano nelle strade e si lasciano andare a comportamenti di grave irrazionalità.
 Si segnalano numerosi ingorghi nelle arterie principali di molte città degli Stati Uniti, mentre le linee di comunicazione si sovraccaricano fino al collasso. Alcuni si abbandonano a episodi di violenza, altri pregano di non essere coinvolti nell’attacco. A San Francisco, una donna si presenta alla polizia con i vestiti lacerati sostenendo di essere stata aggredita dagli alieni, mentre a New York ci vollero settimane per convincere alcuni di quelli che erano scappati a far ritorno nelle proprie abitazioni.

Ai giorni nostri, una simile reazione ci apparirebbe del tutto esagerata. A questo proposito, tuttavia, va ricordato che la radio fonda parte del suo fascino sulla disponibilità e la fantasia dell’ascoltatore che, soprattutto allora, non ne fruiva con la passiva attenzione che noi oggi dedichiamo al video.

La grande abilità di Orson Welles nel riprodurre in maniera impeccabile lo stile cronistico ha contribuito poi sopra ogni cosa a rendere credibile la messinscena. Emerge così l’importanza, quando si parla di falsi voluti e di beffe mediatiche, dell’utilizzo delle stesse modalità espressive del soggetto che si vuole imitare, in questo caso il giornalismo radiofonico. Per spiegarmi meglio, l’esito di questo programma sarebbe stato del tutto diverso se Welles avesse deciso di impostarlo, ad esempio, come un talk show o come una semplice intervista con un esperto di Ufo.

Inoltre, come in ogni beffa che si rispetti, anche in questa erano presenti tracce della sua falsità. A parte gli elementi fantastici e surreali descritti, che con poca razionalità potevano essere riconosciuti come tali, viene infatti ripetuto per ben quattro volte durante la trasmissione che ciò che si stava ascoltando altro non era che un radiodramma, e che gli eventi descritti erano il frutto della fantasia dell’autore del libro, H.G Wells.

Entra qui in gioco un fattore di estrema importanza quando si parla di mass media, ovvero il grado di attenzione che il pubblico riserva ai mezzi di comunicazione di massa, la scarsa criticità nei confronti dei contenuti veicolati da essi. Si spiega la logica secondo la quale un messaggio mediatico viene interiorizzato secondo quelle che sono le predisposizioni del pubblico a ricevere tale messaggio.

Come ricordava lo storico March Bloch all’inizio del secolo: “una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; questa, solo apparentemente è fortuita, o, più precisamente, tutto ciò che in esse vi è di fortuito è l’incidente iniziale, assolutamente insignificante, che fa scattare il lavoro di immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento […] La falsa notizia è lo specchio in cui la coscienza collettiva contempla i propri lineamenti”.

 Ciò vuol dire che se il pubblico americano ha preso per vero un episodio così impossibile ed ha in qualche modo involontariamente omesso gli indizi, anche espliciti, che ne svelavano l’assurdità, ciò è perché in qualche modo era ‘preparato’ ad affrontare una situazione del genere. Una situazione che preesisteva già da tempo nel loro immaginario collettivo, il frutto del periodo storico in cui è maturata.

Si era infatti già vissuta la Prima Guerra Mondiale e il clima politico internazionale era surriscaldato dall’imminenza di un altro conflitto, mentre le scoperte scientifiche sempre più avanzate facevano intravedere futuri scenari di conquista spaziale, dai quali la narrativa e il cinema attingevano in maniera sempre più frequente.

La gente era da una parte spaventata, dall’altra preparata a vivere un evento del genere. Poco importa poi se gli extraterrestri avevano i tentacoli e improbabili fattezze o che utilizzassero poteri straordinari; per gli americani quel giorno la realtà rappresentava l’invasione dei marziani, gli abitanti del ‘Pianeta Rosso’.

Ciò che ha reso di portata storica questo avvenimento è il fatto che è riuscito ad evidenziare, chiaramente e per la prima volta,l’enorme potere ei mezzi di comunicazione di massa; un potere in grado di canalizzare e manipolare l’opinione pubblica secondo i desideri di coloro che controllano e posseggono tali mezzi.

La Guerra dei Mondi nella sua versione radiofonica ha aperto una nuova pagina negli studi di sociologi, psicologi di massa ed esperti di comunicazione, tutti accomunati in quel giorno dalla sorpresa di assistere agli effetti che un falso poteva provocare alla grande massa dei fruitori mediali."


Da:

La Guerra dei Mondi di Orson Welles
Cronaca di un radiodramma che gettò nel panico gli Stati Uniti

di  Andrea Laruffa

giovedì 16 giugno 2011

La Parabola del Babbbbà

Maschi distratti, maschi pignoli

Da una recente indagine sociologica condotta da me stessa su di un campione strettamente personale risulta che la specie umana maschile si può verosimilmente suddividere in due grandi sottogruppi: i maschi distratti e i maschi pignoli.
Quali i migliori? Difficile dirlo.
Partiamo dai primi: gli sbadati, gli svaniti, i cloni di Mister Bean.
Non avrebbero tanto bisogno di una fidanzata quanto di un’insegnante di sostegno.
Perdere e dimenticare è l’attività principe delle loro giornate.
Vanno a comperare il giornale e lo lasciano all’edicola, tolgono l’autoradio ma la sistemano sul tettuccio, hanno il telefonino ma si scordano di accenderlo, perdono le chiavi e anche la copia, il portafoglio e anche la patente, cambiano la batteria dell’auto una volta al mese perché dimenticano sistematicamente i fari accesi e tamponano spessissimo perché quando guidano fanno qualsiasi altra cosa fuorché guidare. E poi si fanno male continuamente. Si inciampano, si slogano, si sbucciano, si tagliano... roba da quarta elementare.
I maschi pignoli non sono certo meno faticosi. Tutt’altro.

Cronometrano quanto ci mettono da casello a casello, stabiliscono con precisione millimetrica il consumo della loro auto che di solito è un cartone, impilano gli asciugamani per sfumatura di colore, lucidano gli angoli delle scarpe con lo spazzolino da denti, compilano gli specchietti delle agende dei soldi in entrata e soldi in uscita segnando anche lo stick e il biglietto del tram, tengono a memoria la cadenza del ciclo mestruale della fidanzata e scrivono una S sul calendario per ricordarsi i giorni in cui hanno fatto sesso. Sempre molto pochi.
Il massimo è il marito della mia amica Elvira. Pignolo e maniaco della pulizia. Mentre mangiamo, lui lava già i piatti. Quelli che stiamo usando. Quando alla moglie incinta si ruppero le acque, invece di tranquillizzarla la inseguì con lo spazzolone del Mocio Vileda.
«Però mi piaci, che ci posso fare? Mi piaci» cantava Alex Britti. Giusto. Ma è giusto anche quello che mi ha detto l’altro giorno una mia amica napoletana: «Se metti ‘o rhum in coppa a ‘nu strunz non diventa ‘nu babà!».

Luciana Littizzetto

da:
http://www.broderie.it/

Da questo post di annata ho trafugato l'ipse dixit da piazzare in un altro blog.

giovedì 2 giugno 2011

"Io e Rocco Siffredi"

di Luciana Littizzetto



Cari miei, ci son momenti della vita che lasciano un segno.
Altri ancora una cicatrice. Per me è andata proprio così.
Avete presente quella trasmissione di RaiTre che si chiama Milano-Roma ?
Quella dove due tipi fanno il viaggio insieme parlottando per ore del più e del meno? Bene.
Anch’io l’ho girata. E sapete con chi?
Chi potevano affiancare a una duchessa qual io sono?
Rocco Siffredi, che domande...!
Il più famoso attore porno italiano. Un totem erotico locale.
Certo. Con me. Che non ho nulla che ricordi anche solo vagamente Ramba Malù.
Rocco Siffredi pare sia un fenomeno della natura.
Non si offendano i maschietti, ma si parla di misure ai confini della realtà. Roba che potevamo girare il remake di Rocco e suo fratello o al limite di Uccellacci uccellini.
Ventisette centimetri è tanto.
È come una mensola del tinello, di quelle che ci appoggi sopra le piante grasse.
Un promontorio della paura. Cape Fear.
Con lui al fianco mi sentivo serena come l’ultima moglie di Barbablù.
Dicono che in situazioni imbarazzanti bisogna sforzarsi di essere se stessi. Ma se non so neanche io chi sono...
Gli chiedo: «Ma come fai quando devi rigirare la scena? Lo riponi nell’apposita vaschetta salvafreschezza?» Fa finta di non sentirmi.
Lo incalzo. «Quindi sei un libero professionista... non smetti mai... ti porti anche il lavoro a casa... » Silenzio.
«Usi il Viagra? La pillola che fa diventare dure anche le lumache? Mi han detto che i panettieri non la prendono perché fa diventare duro anche il pane...» Non ride.
Povero Rocky horror... mi gira cento porno all’anno, sarà stanco come una bestia. Magari guido un po’ io.
Un paio di centimetri mi separano dal suo grande cocomero.
O come lo vogliamo chiamare? Cannone di Navarone? Stelo di giada? Nibelungo? Stecco ducale? Sturm und Drang? Sacro Aspromonte?
Gli dico: «Lo conosci quel film porno con Gilbert Bécaud e Gilbert Belcul: Chi ha spompè la Pompadour?». Dorme.
Io faccio quell’effetto lì agli uomini.


da:
http://www.broderie.it/



Se “ Lucianina “, per un tragico, fatale incantesimo, fosse trasformata in una Barbie , sgonfierebbe in un nanosecondo i muscolazzi pompati di Ken trafiggendolo con i suoi barbie-spilloni da balia , stile pupazzetto voodoo, gli scrosterebbe quel gel al catrame dai capelli con un paio di colpi di rasoio ben assestati , e , dopo averlo strafogato di pasticcini di plastica cotti nel barbie-fornetto della barbie-cucina,gli farebbe confessare , sul bordo della barbie-piscina , che è perdutamente innamorato di Big Jim dai tempi delle elementari....

Mab

giovedì 26 maggio 2011

Bob Dylan, 70 anni. E Non Per Caso.

AllPosters.it

24 maggio, 2011
di Emiliano Liuzzi

Settant’anni. Un traguardo. Soprattutto se ti chiami Bob Dylan e hai scritto Like a Rolling Stone, All Along The Watchtower, Blowin’ in The Wind, Forever Young, Hurricane. Settant’anni vuol dire almeno tre generazioni. Il vento della sua musica ha soffiato sul vento di continenti, è riuscito ad accomunare milioni di persone con quella forza dirompente che solo la musica e la letteratura riescono a emanare.

Di celebrazioni, in questi giorni, ce ne sono state anche troppe. In fondo è solo un traguardo. Mi sono andato a leggere i giornali in giro per il mondo, la solita nenia. Se volete sapere qualcosa di Bob Dylan fate come feci io a quattordici anni, quando mi comprai la biografia scritta da Anthony Scaduto, lì dentro capirete chi è davvero quel poeta che a vent’anni partì dal Minnesota, Duluth, la provincia gelida di un’America che i fratelli Cohen hanno raccontato in maniera magistrale in Fargo, e arrivò in un ospedale di New York dove il suo idolo, Woody Guthrie, stava per tirare le cuoia e lui fece in tempo a fargli ascoltare solo quei pochi pezzi che aveva già scritto su pezzi di carta.

A New York Robert Allen Zimmerman sarebbe rimasto, e al Greenwich Village – quello degli anni Sessanta, non il quartiere di oggi – sarebbe diventato Bob Dylan.

Mi ero promesso, io che sono dylaniano da quando ero fanciullo, che non avrei mai scritto di Dylan, soprattutto in ricorrenze come queste. Dylan l’ho ascoltato a New York, Londra, Modena e Livorno. Mi è bastato, anche se l’abilità con la quale dal vivo stravolge le canzoni non piace quasi mai. Evito ogni tipo di ipocrisia, e confesso candidamente che forse solo al concerto di New York ho rivissuto la magia trovata nelle pagine del libro di Scaduto: le altre volte l’attesa e l’emozione hanno sempre giocato a mio sfavore.

Non ne avrei scritto, dicevo. Ma è stato un professore di giornalismo della Columbia University a farmi aprire gli occhi. A spiegarmi perché 70 anni, nella musica, sono un traguardo importante.

La lezione di David Hajdu è molto semplice e basata sui numeri, non sulle parole. 70 anni compie Bob Dylan, 70 ne avrebbe compiuti John Lennon lo scorso ottobre. Joan Baez ha festeggiato a gennaio, Paul Simon raggiungerà il traguardo entro la fine dell’anno. Il prossimo anno, il club dei settantenni pop leggendario crescerà fino a includere Paul McCartney, Aretha Franklin, Carole King, Brian Wilson e Lou Reed. Jimi Hendrix e Jerry Garcia sarebbero stati anche loro settantenni nel 2012.

Coincidenza? Niente affatto, secondo Hajdu.

Tutti questi signori hanno compiuto 14 anni intorno al 1955 e il 1956, quando il rock ‘n’ roll per la prima volta eruttò come un vulcano impazzito.

Quattordici è un età formativa per quello che sarà il pop.  A 14 anni si affrontano le tirannie del sesso e l’età adulta, quella che non ti lascia più le briciole sul percorso per trovare il ritorno. A 14 anni lotti per capire che tipo di adulto ti piacerebbe essere.

“Quattordici è una sorta di età magica per lo sviluppo di gusti musicali”, spiega Daniel J. Levitin, professore di psicologia e direttore del Laboratorio di Musica Perception, Cognition and Expertise della McGill University. ”Sono gli ormoni della crescita puberale i maggiori responsabili. E a 14 anni i gusti musicali ti creano un distintivo di identità”.

Il rock ‘n roll e quell’eruzione che ricorda il professor Hajdu hanno un nome e gnognome: Elvis Presley, il re che l’America non ha mai avuto. Lo disse Bob Dylan stesso a Anthony Scaduto: “La prima volta che sentii Elvis fu come fuggire dalla prigione”.

Lo stesso Sir Paul McCartney ha sempre avuto una venerazione per Elvis. Ma non è questo il punto, non è solo il rock ‘n roll. Sono i 14 anni. Non sappiamo se Robert Zimmerman sarebbe mai diventato Bob Dylan se avesse compiuto i suoi 14 anni un decennio prima. Non lo potremo mai sapere. Sappiamo però che quando i Beatles sbarcarono negli Stati Uniti, all’Ed Sullivan Show, avevano 14 anni di età Bruce Springsteen, Stevie Wonder, Gene Simmons e Billy Joel. E forse anche per questo, musicalmente parlando e in modi termini diversi tra loro, sono diventati quello che sono oggi. Forse per sapere chi sarà il genio dei prossimi anni faremmo bene ad andare a spiare negli armadietti dei ragazzi che frequentano la terza media. Probabilmente faremmo bene a spiare i 140 caratteri che i social network impongono come limite per capire i sonetti che segneranno a modo loro un’epoca.

E’ probabile che coloro che saranno celebrati nel 2067 hanno 14 anni oggi, nel 2011.
Da:
http://www.ilfattoquotidiano.it/

domenica 8 maggio 2011

Donne Senza Velo e l'Orco

Noi inventiamo gli orchi, i lupi, i mostri e le streghe.
Noi abbiamo "gli uomini che odiano le donne", una categoria comoda, ben definita, un contenitore per la raccolta differenziata in cui relegare come "altro da noi"ciò che fa parte di noi, della nostra società, ciò che è diventata una martellante quotidianità.
Ma scomodiamo i miei poveri Orchi, così remoti, amati e soli.
Noi abbiamo uomini  normali che perseguitano, molestano, spiano, picchiano, devastano, violentano, uccidono donne senza velo...
Noi abbiamo i più  normali di tutti, quelli che non superano i limiti, che non infrangono platealmente la legge, quelli che, magari meno pittorescamente che in un caravanserraglio, comprano le donne.
Noi abbiamo gli uomini che scelgono le femmine sui book - come sugli album Panini, che,sghignazzando - da quei miserrimi vecchi porci che erano, sono e saranno - si scambiano le figurine al telefono, ne raccomandano altezza al garrese, quarti posteriori, proporzioni e genuinità delle ghiandole mammarie e caratteristiche da brave manze volentorose nei servizi resi. Che, con la sordida grettezza di ex-adolescenti foruncolosi, sovrappeso, nasuti, forforosi, dediti per scelta altrui ad onanismo compulsivo, si fanno da paravento l'un l'altro, scambiandosi l'onere della marchetta: "A questa, una parte in una fiction (che non si nega a nessuno), a quest'altra, più sfigata, giusto un paio di passaggi in uno pseudo-varietà, (tre sgallettate che dondolano le protesi fra uno spot e l'altro, prese per il culo da un conduttore "sarcastico" made in china che il suo di culo lo ha svenduto da un pezzo)".
Ma noi abbiamo donne libere di scegliere. Marchiate alla nascita dalle tamarrissime madri con nomi tipo Jessica, Ylenia, Asia, Samantha... mentalmente stuprate a tre anni da "giochiamo-che-mi-trucco", rese madri a cinque di bamboline finto-romantiche, caricature in plastica glitterata delle porcelle tivvvvvù, avvolte in veli e diademi stile matrimonio Ely-Briatore, gettate in piscina, cerettate a 11 anni, palestrate a 12 (per la schiena!), primo interventino a 14 (Tenera! Ha risparmiato sulle paghette...), prima apparizione televisiva 6 mesi dopo (Azz ! Con il viso oscurato perché minorenne...) per raccontare davanti alle tette tirate fino alle clavicole di una D'Urso-Gong Li (effetto-lifting) la tragedia di aver affrontato 41 interventi per riparare i danni del primo. Ospite in studio: Babbo Natale, ovvero il generoso chirurgo di turno, ambasciatore Unicef, e, casualmente, fidanzato con una delle sgallettate che - ufficialmente -  si stirano le rughe ingurgitando mele cotte ed ettolitri di yoghurt.
Ragazze che scelgono? Sì, non scelgono il velo,  scelgono liberamente le veline, se l'Orco non se le mangia prima.

Mab

Valls Dino


p.s.

Il "politicamente scorretta" si riferisce, oltre al senso generale del post, al fatto che lo scrissi in piena campagna pro-Sakineh, un tripudio di ipocrisia di rara intensità. Caratterialmente, mi viene spontaneo rispondere con altrettanta "intensità".

martedì 26 aprile 2011

"Pelo Diverso, Abitudini Diverse"

Una favoletta interessante...

Una volta i cani si accordarono per dichiarare guerra ai lupi e i lupi cominciarono a prepararsi per la guerra : in una vallata si radunarono i cani, in un'altra i lupi . I lupi , sapendo che i cani erano più numerosi , - almeno quattro contro uno - e che contro il numero maggiore non ti giova alcun valore , temevano che questa guerra potesse avere per loro un esito spiacevole . Cominciarono così a discutere su ciò che era meglio fare per salvarsi la pelle . Il lupo più vecchio disse a un altro , altrettanto anziano e con esperienza , di andare a spiare l'esercito dei cani per osservare bene quanti e come fossero . Quello andò e , quando vide una quantità infinita di cani , tornò tutto impaurito riferendo che erano talmente tanti che a combatterli non si poteva che finire male . "Ci mangeranno a pranzo , - disse ancora,- sarà meglio non sfidare la sorte e lasciar perdere questa battaglia : tagliare la corda è meglio che svendere la pelle ". Sentito ciò , il vecchio lupo s'informò : " Sono grossi?" " Ce ne sono di piccoli e di grandi, - rispose il primo,- e ce ne sono di più grandi di noi : grossi come puledri ." " Veramente ? E che pelo hanno ?" chiese il lupo più vecchio. " Ce ne sono di bianchi , di gialli , di verdi , di neri , variopinti, - rispose quello.- Che ti posso dire , fratello , di ogni specie." Il vecchio lupo riflettè un po' e alla fine disse : " Fratelli miei , pelo diverso , abitudini diverse : battiamoli !" Così avvenne . Tutti i lupi come un'anima sola assalirono i cani che se la diedero a gambe , chi di qua , chi di là.


Raccolta e tradotta da Aleksandra Sucùr
Giulio Einaudi editore
, 2000

giovedì 31 marzo 2011

Una Signora "Molto" Vittoriana

IVY COMPTON-BURNETT (1884-1969)
"Vorrei sapere chi ha inventato l'innocenza infantile. Doveva essere un bell'originale".

Inizio la condivisione di un amore...
Ivy Compton-Burnett è una grande scrittrice inglese...Contemporanea di Virginia Woolf. Minor fortuna di lei, enormemente più talentuosa! Non che io sottovaluti la Woolf ..."Orlando"è uno dei libri che salverei da un novello Diluvio Universale...ma soltanto quello. I libri di Ivy Compton-Burnett li salverei tutti e li rilegherei con la pelle delle ultime foche monache! ... Se mi limitassi a raccontare la trama di uno dei suoi
romanzi, sprofonderei il post in un equivoco da piena atmosfera gotica: famiglie corrotte e corruttrici, sesso torbido, incesti, eredità contese, avvelenamenti ed omicidi... Il punto è che tutto accade prima o dopo e sempre fuori scena. Si parla di qualcosa che è già accaduto , si ipotizza ciò che accadrà, il "dramma"  è altrove e vive attraverso le  parole... Sono dialoghi "in salotto" i suoi romanzi, la prosa è secca, fulminante e geniale ...Chi ama il dialogo in punta di fioretto di "Orgoglio e Pregiudizio" beh!...lo carichi di maggior genio, cinismo, crudeltà e rigore e avrà... Lei ! Lascio tre titoli, quelli che dovrebbero essere più facilmente reperibili...non è coccolata dalle ristampe come la Woolf ! ( Ovviamente, chi avesse una buona conoscenza della lingua inglese dovrebbe leggerLa in versione originale).
 "Più Donne che Uomini", "Una Famiglia e un'Eredità", "Fratelli e Sorelle" , "Un Dio e i suoi Doni" ( da cui è tratta la citazione iniziale).


Mab


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p.s.
 Aspetto inquietante: una certa identità con i suoi romanzi...Chi l'ha conosciuta personalmente, colpito dalla  spregiudicatezza , dalla  rivoluzionaria modernità dei suoi libri...si è ritrovato seduto in un salottino vittoriano, fra tazze di porcellana, thé , centrini ricamati e ninnoli vittoriani con una Signora molto vittoriana, taciturna, fredda e...implacabile! Ho visto le foto! Ci credo!

"La Solitudine del Maratoneta"

Primo....niente a che vedere con il film "Il Maratoneta"....
Secondo: dopo cinquant'anni, due anni fa è uscita una nuova edizione italiana. Nella collana "Minimum classics "della Minimum Fax.
L'autore, Alan Sillitoe, nato nel '28 in Gran Bretagna , trascorse alcuni anni in volontario esilio, lontano dal suo Paese. Tornato a Londra agli inizi degli anni '60, descrisse le vite amare e appassionate degli "ultimi", in una Londra "incafonita" dall'assalto dei nuovi ricchi, violenta ed aggressiva. Per descrivere la sua "missione " di scrittore, cita V.Hugo:"Il dovere degli storici di cuori e di anime è inferiore a quello degli storici dei fatti esterni? Possiamo credere che Dante avesse meno da dire di Machiavelli? La parte inferiore di una civiltà, per il fatto di essere più profonda e più triste, è meno importante di quella superiore? Conosciamo del tutto la montagna se non conosciamo le caverne? ".

Il titolo originale di questo racconto, che dà il nome al libro , è "The Loneliness of the Long Distance Runner".
La traduzione italiana è infelice....sempre meglio dell'orrido titolazzo del film che , negli anni '60, fu tratto da quest'opera: "Gioventù , Amore e Rabbia"...ehm...non lasciatevi fuorviare...E' splendido! Il regista è Tony Richardson , primo marito di Vanessa Redgrave e padre delle sue due figlie.Infatti, uno dei protagonisti del film è Michael Redgrave. L'"eroe-anti-eroe" è Tom Courtenay.
Se per qualche misterioso, impellente, importante/vitale motivo dovessi riassumere in un flash ciò che sono e penso e sento, credo che sceglierei la scena finale di questo film.


Mab

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sabato 26 marzo 2011

La Papessa Giovanna, Cristina di Svezia e Liv Ullmann

Le  "new entries", se non risalgono al 1945, mi insospettiscono. Vabbé, esagero, ma non troppo. Ma, per una che ha già visto una marea di amatissimi (ma anche no) libri, inesorabilmente strapazzati sullo schermo, il remake compulsivo di questi anni privi di creatività e fantasia - se non meramente fumettistica - (e parlo di cattivi fumetti ) è una tragedia: straziano anche film, più o meno "cult", che, ai loro tempi, e a loro volta, avevano straziato dei buoni libri... Le eccezioni ci sono, ovviamente. Su Tim Burton, ad esempio, vado sul sicuro, con la fiducia di una treenne la vigilia di Natale: anche se stravolge il libro o la storia originale, crea un'altra narrazione , "sua", altrettanto fantastica , magari più affascinante ( v. "Sweeney Todd")... e lo perdòno sistematicamente.
"La Papessa"... Mmmmm... non l'ho visto, ma già mi ha turbato il trailer. Comunque:


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Titolo originale : "Die Papstin"
Regia : Sonke Wortman
Genere : Drammatico
Durata : 149 min
Interpreti : Johanna Wokalek, David Wenham, John Goodman, Iain Glen, Anatole Taubman.
Co-produzione Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna (2009)


Voglio segnalare un bel film del 1971, di cui questo è, con tutta evidenza, il remake... "pirata". La leggenda della papessa Giovanna, infatti, è un intrico tale di versioni che si stratificano, si intrecciano e si differenziano che la scusa della fonte comune non regge proprio. Qui c'è qualcuno che copia. Male.
Da vedere assolutamente questo film del '71, di produzione inglese, regia di Michael Anderson , con una Liv Ullmann all'apice della sua carriera e quasi insopportabilmente brava. Certo, qualcuno userà un 'espressione che mi infastidisce quasi quanto l'abominevole "mi consenta", ovvero: "E' datato!" Non essendo un capolavoro assoluto, mi sembra normale che mostri qualche ingenuità, qualche scoloritura... cosa sembrerà l'orrido "Troy" fra quarant'anni?


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Approfitto per segnalare un altro film. Sempre con Liv Ullmann, stesso periodo, ( è del 1974 ), anch'esso fra storia e leggenda: "La Rinuncia", (una volta tanto felice traduzione dell'originale "The Abdication") perché si presta ad una doppia interpretazione del tutto pertinente.


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 Liv Ullmann interpreta la regina Cristina di Svezia. Ogni paragone con la Garbo è improponibile. La "Cristina" della Garbo era una splendida, magnetica fantasia fiabesca, una George Sand con il fascino contrastante e contrastato della corona, e il romanticismo dell'amore impossibile, commedia degli equivoci e tragico finale compresi.
Anche qui c'è un amore impossibile, ma vissuto attraverso la bizzarria degli umori della giovane Regina, orgogliosa della propria umiltà, ansiosa di rinunciare alla corona e di convertirsi al cattolicesimo, ma che vuole trattare e contrattare direttamente con il papa, e che si aggira notte dopo notte, seguita dal suo nano, di camera in camera, perché non riesce a dormire più di tanto in uno stesso letto e rincorre il sonno. Non più regina regnante, per sua decisione, ma incredula che gli altri le credano e che la trattino diversamente. Peter Finch giganteggia, ovvero le tiene testa, nel ruolo del cardinale, del politico e dell'innamorato di un fantasma troppo carnale.
Da vedere. Chi non gradisse... beh, si riguardasse "Troy" , e, quando il grande (et magnifico et amatissimo ) Peter O'Toole, umiliato nel ruolo di un Priamo stile "Ercole contro Maciste", si appella al coraggio dei suoi sudditi gridando :"Sons of Troy!", ricordatevi che durante il doppiaggio hanno cambiato la battuta in
"Troiani!" perché "figli di Troia" era veramente troppo anche per quel film lì!!!
A proposito, Luca Ward, il doppiatore di R.Crowe ne "Il Gladiatore", si vanta ogni tre per due di aver cambiato in corso d'opera la battuta originale prima della battaglia, proprio all'inizio del film :
 "Al mio segnale sciogliete i cani" (o qualcosa del genere )  in:  "Al mio via scatenate l'inferno!" Che avrebbe detto il povero generale? Scatenate l'Ade? Perché, all'epoca, l'Inferno non era ancora stato inventato. Non nella rassicurante accezione cristiana, almeno. Amen.

Mab


Le due locandine dei film con Liv Ullmann le ho trovate qui:
http://www.film.tv.it

La Donna che Volle Farsi Papa



Il succo della leggenda è questo : una giovane donna inglese , spinta da motivi di intelletto ( l'amore per lo studio , precluso alle donne) e/o di "alcova", ( ovvero, per seguire in piena libertà un suo amante ), si finse un monaco , Johannes Anglicus , e compì i suoi studi a Magonza.
Giunta a
Roma , si distinse per la brillantezza del suo ingegno, tanto che , in un 'epoca in cui l'elezione dei papi era , spesso, estemporanea , alla morte di Leone IV , nell'anno 855, venne eletta papa ed assunse il nome di Giovanni VIII . Essendo sessualmente attiva , rimase incinta . Nell'anno 857 ,quindi , mentre partecipava alla solenne processione pasquale , dal Laterano a San Pietro , venne còlta dalle doglie , svelando drammaticamente la sua vera natura.

Il sèguito, o l'epilogo, è raccontato in svariati modi.

1) L'epilogo meno truculento ( e assolutamente minoritario ) appartiene alla versione "ufficiale" che riporto sotto, che la vede pentita e penitente, e addirittura madre di un vescovo.
2 ) Morì di parto.
3 ) Fu lapidata ( o fatta a pezzi ) dalla folla inferocita.
4) Fu legata alla coda di un cavallo e trascinata per le vie di Roma finché non morì sfracellata.

Nelle versioni che contemplano un epilogo fatale , che si tratti di morte naturale o meno , il neonato muore con lei.
Dalla leggenda (?) della papessa Giovanna ne deriva almeno un'altra .
( E. Petoia, "Medioevo al femminile",1992) :

" Al di là della leggenda , lo scandalo fu tanto grave che , per tutte le cerimonie di incoronazioni pontificie future , venne stabilito che un diacono o due diaconi procedessero alla verifica del sesso dell'eletto ,
facendolo sedere sopra una sedia forata e toccandogli i testicoli per annunziarne , poi , la verificata virilità con questa formula : 'Habet testiculos et bene pendentes'"
[ Annuncio accolto da una salva di 'Deo Gratias'!]


Questa storia , quindi , è "ambientata" nel secolo IX , ma se ne parla per la prima volta nel 1240 , ad opera di un domenicano , Giovanni di Metz.
Pochi anni dopo, Martinus Oppaviensis ( o Martinus Polonus - data di nascita incerta , morto nel 1278 ) , un altro storico e monaco domenicano , la riporta , come storia vera, nelle sue "Cronache dei Papi e dgli Imperatori". Ed la sua "cronaca"è questa .

"Dopo la morte di papa Leone [1] , salì al soglio pontificio un giovane di Magonza , con il nome di Giovanni , il quale rimase papa per un periodo di due anni , cinque mesi e quattro giorni . Questi , come si narra , era una fanciulla , e in età infantile fu condotta ad Atene da un suo amasio [2] , travestita da uomo , così che fu creduto da tutti che si trattasse realmente di un uomo . Sotto queste mentite spoglie progredì tanto nello studio delle arti liberali e delle altre scienze , che nessuno poteva superarla o eguagliarla . Giunta a Roma , si distinse soprattutto nella terza parte del trivio [3] , e raccolse intorno a sè grandi maestri , discepoli e innumerevoli uditori . In verità , si mostrò eccellente anche nel quadrivio , e nell'opera di molte cose
ammirevoli . Grazie alla sua arte e al suo consiglio furono fatte a Roma molte cose meravigliose . Così , poiché Roma era ormai diventata famosa e aveva superato nella scienza anche gli altri papi che l'avevano preceduta , fu eletta pontefice all'unanimità.
Nonostante fosse stata eletta per ricoprire la più alta carica ecclesiastica , non seppe però astenersi dai piaceri sessuali . Infatti , sopraffatta dalla fragilità femminile , cominciò a dimostrare interesse per un giovane diacono , che le era stato affidato come segretario .
Ben presto , venuto a conoscenza della natura femminile del pontefice , il giovane diacono si arrese alle lusinghe della donna e cominciò a intrattenere rapporti con lei sempre più frequenti .
Dopo un po' di tempo dall'inizio della loro relazione , la papessa rimase incinta, e poiché ignorava quando avrebbe dato alla luce il frutto del loro peccato , un giorno , mentre si dirigeva da Laterano verso San Pietro, lungo la strada che passa tra il Colosseo e la chiesa di San Clemente , assalita dalle doglie , partorì in mezzo alla strada .
A memoria di questo fatto fu scolpita una lapide su quel luogo e quella strada fu chiamata Vico della Papessa . Scoperto l'inganno, fu subito dimessa dalla carica e spogliata degli abiti religiosi ; visse in penitenza il resto della sua vita , mentre il figlio , raggiunta l'età adulta , dopo aver preso i voti, fu eletto vescovo di Ostia. La donna trascorse molti anni cercando di porre rimedio con le preghiere e le penitenze ai peccati che aveva commesso , e quando si rese conto che i suoi giorni erano ormai giunti alla fine e che il momento della morte era imminente , ordinò come suo ultimo desiderio che la seppellissero proprio nel punto di quella strada in cui aveva partorito . Tuttavia , il figlio , non tollerando che il corpo della madre fosse allontanato da Ostia , la portò nella chiesa maggiore e lì fu tumulata con tutti gli onori.
Si narra , inoltre , che il papa eviti sempre di passare per quella strada e che faccia ciò in segno di sdegno per quel triste evento. Né il suo nome è inserito nel catalogo dei santi pontefici , sia perché era una donna , sia per il disonore da lei arrecato alla Chiesa."


Da : Martinus Oppaviensis, "Chronicon Pontificum et Imperatorum".

[1] Si tratta di Leone IV
[2] Amasio=amante
[3] Trivio e Quadrivio. Erano i due gruppi in cui erano state ,grossolanamente, suddivise le discipline letterarie e filosofiche e quelle scientifiche. Al "Trivio" corrispondevano : grammatica , retorica e dialettica. Al "Quadrivio" : aritmetica , geometria , astronomia e musica. La preparazione in queste materie era la base per la laurea in teologia. [E non solo in teologia, ovviamente]
Questa variante della leggenda , raccontata da un monaco domenicano che redasse le cronache dei Papi , dà da pensare. Tradizionalmente , la leggenda della donna che si fece papa , secondo la Chiesa cattolica , sarebbe il frutto avvelenato dell'anticlericalismo e/o del protestantesimo. Ma la stessa Chiesa cattolica la avvalorò per secoli, , almeno dal tredicesimo , come abbiamo visto , fino al diciassettesimo , quando fu proprio un Protestante, il pastore calvinista francese David Blondel , a dimostrarne per la prima volta , e con argomenti credibili anche se confutabili, l'infondatezza storica . Quindi ? È probabile che , se leggenda fu , come spesso accade, il "mostro" sia stato partorito
all'interno della stessa Chiesa cattolica, una sorta di incarnazione grottesca delle proprie ossessioni, e che si sia largamente e profondamente diffusa a livello popolare come satira feroce del Papato oppressore e corrotto, tanto che un cronista ufficiale della Chiesa decise di usare il solito metodo : "impossessarsene "per poi restituirla con il taglio che la Chiesa stessa riteneva più innocuo, anzi, addirittura edificante .  Non è il racconto di un inganno ordito dal tradizionale Nemico della Chiesa . È una novella Eva che, ancora una volta e assecondando la propria natura , cede alla doppia tentazione : orgoglio e lussuria , e , pur dotata di buon intelletto e capace di compiere opere mirabili per la Chiesa , cade per l'intrinseca fragilità della propria natura di donna/femmina . E non è un caso che il momento della caduta coincida con il momento del parto, che ne è la causa immediata.
Né , in queste cronache , Giovanna ha pianificato e condotto a termine il suo inganno con l'intento di sbeffeggiare e tradire la Chiesa .Non si tratta di una inaspettata indulgenza da parte del redattore .
Cosa poteva costituire una reale umiliazione per la Chiesa? Una donna/femmina capace di ideare un piano diabolico , e di conseguire un successo così spaventoso da portarla al vertice della Chiesa o una donna/femmina , sorprendentemente dotata e versata per lo studio, che , per motivi di alcova , si finge uomo e, quasi contro la propria volontà ,raggiunge la vetta del potere ecclesiastico...per poi cadere rovinosamente perché l'intrinseca natura, debole e lussuriosa, di una donna/femmina non può essere cambiata?




Prelevato dal Forum "Lo Specchio-Cielo", sezione "La Terra degli Eternamente Giovani".

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domenica 20 marzo 2011

da "Ondarock"

Horror rock - La musica delle tenebre

di Luigi Milani
Autori: Eduardo Vitolo e Alessio Lazzati
Titolo: Horror Rock
Editore: Arcana Edizioni
Pagine: 460
Prezzo: 24 euro


Eduardo Vitolo e Alessio Lazzati firmano un libro che è riduttivo definire saggio. "Horror Rock" (Arcana Edizioni, 2010) può infatti essere considerato la "summa suprema" di un genere che nel corso degli anni ha assunto connotati sempre più universali. Dagli originari ambiti letterari, cinematografici e fumettistici è infatti presto tracimato nel rock, forma artistica ed espressiva per sua stessa natura adatta a veicolare determinati contenuti e suggestioni.
Organizzata nella forma del reportage, l'opera affronta i vari ambiti nei quali si declina l'horror rock; gli artisti e le band citati, anzi raccontati con grande dovizia di particolari, sono numerosissimi. Non possono mancare ovviamente all'appello i Black Sabbath, con e senza quel simpatico, furbo pazzoide di Ozzy Osbourne, né titani del calibro dei Led Zeppelin, che specialmente agli inizi si richiamavano ad atmosfere oscure e inquietanti.

Ma la carrellata di "artisti horror" è davvero sterminata, in grado di mettere alla prova anche il fan più appassionato e competente: compaiono, tra gli altri, nomi quali Serial Killers, Sepultura, Keith Emerson, gli inevitabili Rolling Stones, ai quali, come si ricorderà, stava decisamente simpatica una certa divinità cornuta, Quorthon, Trent Reznor, Rage Against the Machine.
Molto interessante la parte dedicata all'horror punk, che, sia pur ancora legato, almeno agli inizi, all'heavy metal, anticipa le atmosfere che saranno proprie del goth-rock. È il turno dei Damned di Dave Vanian e dei Misfits di Glenn Danzig, che in seguito influenzeranno nomi come Slayer, AFI e naturalmente Marilyn Manson. È proprio a Manson - artista tra i più discussi degli ultimi anni - che il saggio riserva un'attenta disamina. Prescindendo dalla dimensione spettacolare del personaggio, ne analizza a fondo il reale valore artistico-musicale. Ciò che ne emerge - al di là delle varie incarnazioni più o meno provocatorie -  è il ritratto di un abile professionista dello show-biz.
Tra le curiosità, non manca una sfiziosa intervista a uno dei personaggi più bizzarri del metal italiano "cristiano", quel Fratello Metallo che dichiara di ispirarsi alle nomi storici come Metallica e Megadeth.

Il ponderoso volume - quasi 500 pagine - non tralascia di affrontare temi anche scomodi, come l'influsso, reale o presunto, dell'horror nel mondo reale, le censure, le distorsioni e le forzature interpretative, le critiche ingrate, ma anche gli episodi, quelli sì, reali che tingono spesso di nero la quotidianità.
Colpisce l'approccio filologico adoperato dalla coppia di autori, che li ha condotti a passare al setaccio riviste e fanzine d'annata, testi e copertine di dischi spesso introvabili, rinvenendo così una messe di informazioni e notizie tanto interessante quanto sterminata.
A differenza di testi analoghi, il saggio ha inoltre il pregio di cogliere ed evidenziare con completezza le vaste, talora inaspettate, contaminazioni esistenti tra l'ambito letterario tout court e quello musicale. Non a caso vengono evocati veri e propri numi tutelari quali H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe, così come troviamo citato il nome di un giornalista e scrittore che ha spesso prestato la sua opera a certo rock, Danilo Arona. Né è un caso che la prefazione sia firmata da Alan D. Altieri, che di horror e musica "demoniaca" ne mastica da anni...

Del resto, credo possa ben essere questa la cifra interpretativa di un universo espressivo tanto sconfinato: la sua innata trasversalità, che lo porta a ricomprendere generi, sottogeneri e linguaggi all'apparenza dissonanti, ma in realtà accomunati da motivi e ispirazioni che ormai sono patrimonio comune della cultura moderna.
Un plauso dunque agli autori di questa lunga cavalcata nel versante più oscuro della musica moderna.

Da: Ondarock.it