"Le condizioni di vita erano intollerabili: criminali e ritardati mentali erano stipati nelle stesse celle, il cibo veniva gettato sul pavimento lurido e i reclusi dovevano lottare tra loro per entrarne in possesso. La Farmer fu nuovamente sottoposta a elettroshock continui e regolari. Inoltre fu prostituita ai soldati della base militare locale, violentata e maltrattata dagli inservienti. 'Uno dei ricordi più vividi di alcuni veterani della clinica era la vista di Frances Farmer immobilizzata dagli inservienti e violentata da bande di militari ubriachi.' Infine veniva usata come cavia per la sperimentazione di farmaci quali torazina, stelazina, mellaril e prolixin."
Negli anni '40, nel Western State Hospital erano ricoverati 2500 pazienti, 500 in più delle capacità massime di accoglienza. La manutenzione degli edifici dell'ospedale, fatiscenti costruzioni risalenti all'inizio del secolo, era nulla.
Nel '47, un incendio ne aveva devastato un'ala e due pazienti erano morti.
Le precarie strutture tirate su alla bell'e meglio nel momento della massima emergenza divennero permanenti: due anni più tardi erano ancora in funzione.
Il personale era costituito in tutto da 15 infermieri, assistiti da 23 allieve-infermiere: 107 era il numero di operatori considerato appena sufficiente dall'Istituto Superiore di Sanità .
Sulla base di questi presupposti, non stupisce che gli amministratori del Western State Hospital fossero aperti alla sperimentazione di qualsiasi innovativa tecnica chirurgica che permettesse di svuotare rapidamente le corsie, promettendo un tranquillo ritorno dei pazienti in seno alle rispettive famiglie.
Come non accogliere a braccia aperte il buon Dr. G. Freeman, neurologo e psichiatra di Washington D.C., inventore della lobotomia transorbitale, il cui motto era: "La lobotomia li manda a casa" ?
Il 19 agosto del '47, operò 13 pazienti del Western State Hospital. Evidentemente euforici per il buon risultato delle sue pratiche, i vertici della struttura manicomiale lo invitarono nuovamente nel '49. Questa volta, il Dr. Freeman si occupò di un nutrito numero di pazienti. Non solo. Convinse della bontà del suo metodo diversi medici ai quali insegnò la sua tecnica.
In che cosa consisteva? In fondo, era molto semplice: si introduceva sotto la palpebra del fortunato paziente uno strumento sottilissimo, simile ad un rompighiaccio, fino a raggiungere il lobo frontale del cervello, dove, secondo la sua teoria, era sufficiente troncare il collegamento a quei nervi il cui malfunzionamento si riteneva fosse responsabile di gravi disturbi psicologici.
Un reporter del Seattle Post-Intelligencer scattò quella che divenne la foto sulla lobotomia transorbitale più famosa e riprodotta del mondo; certo, l'interesse che esercitava ed esercita non fu diminuito dalla confessione in punto di morte con cui, nel 1972, il Dr. Freeman salutò il figlio Frank, prima di partire per il paradiso dei bisturi ultrasottili e dei lobotomizzati superfortunati: la donna ritratta nella foto mentre veniva sottoposta all'intervento di lobotomia era Frances Farmer . Circostanza confermata da William Arnold, autore del libro "Shadowland" su cui, in larga parte, si basa il film "Frances", del 1982, interpretato da Jessica Lange.*
Come non accogliere a braccia aperte il buon Dr. G. Freeman, neurologo e psichiatra di Washington D.C., inventore della lobotomia transorbitale, il cui motto era: "La lobotomia li manda a casa" ?
Il 19 agosto del '47, operò 13 pazienti del Western State Hospital. Evidentemente euforici per il buon risultato delle sue pratiche, i vertici della struttura manicomiale lo invitarono nuovamente nel '49. Questa volta, il Dr. Freeman si occupò di un nutrito numero di pazienti. Non solo. Convinse della bontà del suo metodo diversi medici ai quali insegnò la sua tecnica.
In che cosa consisteva? In fondo, era molto semplice: si introduceva sotto la palpebra del fortunato paziente uno strumento sottilissimo, simile ad un rompighiaccio, fino a raggiungere il lobo frontale del cervello, dove, secondo la sua teoria, era sufficiente troncare il collegamento a quei nervi il cui malfunzionamento si riteneva fosse responsabile di gravi disturbi psicologici.
Un reporter del Seattle Post-Intelligencer scattò quella che divenne la foto sulla lobotomia transorbitale più famosa e riprodotta del mondo; certo, l'interesse che esercitava ed esercita non fu diminuito dalla confessione in punto di morte con cui, nel 1972, il Dr. Freeman salutò il figlio Frank, prima di partire per il paradiso dei bisturi ultrasottili e dei lobotomizzati superfortunati: la donna ritratta nella foto mentre veniva sottoposta all'intervento di lobotomia era Frances Farmer . Circostanza confermata da William Arnold, autore del libro "Shadowland" su cui, in larga parte, si basa il film "Frances", del 1982, interpretato da Jessica Lange.*
Ma pochi credono alla confessione del Dr. Freeman. E' stato sufficiente un esame scrupoloso dell'immagine per concludere che quella sfortunata paziente non poteva essere Frances. Il che, tuttavia, non ne diminuisce affatto l'impatto e la drammaticità, né esclude l'ipotesi che Frances sia effettivamente stata lobotomizzata.
C'è da dire che i parenti di Frances hanno sempre negato di aver autorizzato i medici del Western State Hospital a sottoporla a questo genere di intervento; in un memoriale pubblicato nel 1978, Edith, sorella di Frances, affermò che i dirigenti del manicomio avevano vivamente sollecitato la sua famiglia perché concedesse l'autorizzazione all'operazione, ma che tale pressante invito era stato restituito al mittente, in particolare dal padre di Frances che si diceva inorridito da tali pratiche. Anzi, oltre ad opporsi decisamente alla lobotomia, l'ottimo genitore avrebbe minacciato di azioni legali l'ospedale nel caso la sfortunata figlia fosse stata oggetto di uno dei loro esperimenti chirurgici "guinea pig".
La stessa Frances, nel corso di un'intervista registrata nel '68, dichiarò che molte donne ricoverate con lei avevano pregato di essere lobotomizzate perché era stato detto loro che sarebbe bastata la recisione di un piccolo nervo per ottenere guarigione e fine delle sofferenze. Ma affermò di non aver mai subìto tale intervento. In seguito, anche tre ex-infermiere del Western State Hospital smentirono Freeman.
Comunque, per ragioni che rimarranno nel novero dei grandi misteri esistenziali, il 23 marzo 1950, Frances fu improvvisamente rilasciata sulla parola e affidata alla custodia della tenera madre. Secondo alcune fonti, il padre ottenne il suo rilascio dichiarando solennemente che la presenza della figlia era necessaria in famiglia: sia la sua salute che quella della ex-moglie, reduce da un colpo apoplettico, declinavano rapidamente. Non credo sia un pettegolezzo, né mi sorprende o scandalizza minimamente, che Frances sia rimasta profondamente amareggiata all'idea di essere liberata al solo scopo di accudire coloro che l'avevano spedita all'inferno.
Liberata nel '50, riottenne pienamente tutti i diritti civili solo nel '53, e solo dopo aver fatto ricorso alla Corte Suprema. Andò a vivere all'Olympic Hotel (proprio quello in cui i "pezzi grossi" avevano festeggiato la loro "Cinderella-girl"!), ma non come ospite: lavorava nella lavanderia dell'albergo.
Nel '54 si risposò... e, sei mesi più tardi, mollò marito e genitori e si stabilì in California, ad Eureka. Perché proprio Eureka? "Perché era il posto più lontano da Seattle che le sue magre finanze le permisero di raggiungere!"
Si fece chiamare Frances Anderson e visse - si presume - tranquillamente per tre anni, lavorando come segretaria.
Non ebbe più alcun rapporto con i genitori, che morirono ad un anno di distanza l'uno dall'altra. Sua madre l'aveva nominata unica erede: giusto il tempo di vendere la casa di famiglia per 5.500 dollari e abbandonò Seattle definitivamente.
Meglio Eureka.
Nel '57, conobbe una curiosa razza di "consulente per la televisione e la radio", Leland C. Mikesell, una sorta di lelemoriano-fabri-crown, che fiutò l'affare...
E, qualche tempo dopo, ad un fortunato giornalista di San Francisco, magari aiutato da una disinteressata spifferata, capitò di scoprire che l'infelice, affascinante Frances Farmer , la "nuova Garbo", lavorava come receptionist in un albergo della città. Ai giornalisti raccontò che aveva abbandonato l'alcol e incontrato Dio: "Non accuso nessuno per la mia caduta in disgrazia - affermò nobilmente - Credo di aver vinto la mia battaglia per l'autocontrollo".
La adorarono. Gli Americani adorano le americanate. E niente li fa star meglio di un povero disgraziato (giusto un cincinino più sfigato di loro) che si umilia pubblicamente, proclamando il proprio ritorno da figliuol prodigo in seno alla società e alla fede (una a caso, va bene).
Ed Sullivan la invitò per ben due volte al suo show.
Si mostrarono magnanimi: le perdonarono la sua infelicità.
E, dopo 15 anni, Frances tornò a recitare in teatro, nel ruolo di una donna che tentava di rimettere insieme i pezzi della sua vita dopo 15 anni di esilio.
L'anno successivo, lavorò in originali televisivi, e in produzioni teatrali estive. Girò un unico film, l'ultimo, "The Party Crashers". E si risposò... con Leland C. Mikesell, of course. Un'unione che non durò più delle precedenti. Già verso la fine del '58, capì che il "nuovo inizio" della sua carriera era già terminato: non era più una novità, una curiosa attrazione, e le proposte di lavoro svanirono.
Una televisione locale di Indianapolis le offrì di condurre un programma pomeridiano sul cinema, "Frances Farmer Presents": avrebbe introdotto il film del giorno ed intervistato celebri attori. Accettò la proposta e si trasferì a Indianapolis.
Aveva trovato una "cuccia"? Uno show, modesto ma tutto suo, che le permetteva di muoversi, comunque, nel suo ambiente, che le garantiva una stabilità economica, un reddito dignitoso, ed un ruolo sociale di un certo prestigio: era richiestissima come speaker in convegni e conferenze e collaborava attivamente con la Filodrammatica della Pardue University. Poi, pian piano, crepa dopo crepa, tutto le crollò nuovamente addosso.
Liberata nel '50, riottenne pienamente tutti i diritti civili solo nel '53, e solo dopo aver fatto ricorso alla Corte Suprema. Andò a vivere all'Olympic Hotel (proprio quello in cui i "pezzi grossi" avevano festeggiato la loro "Cinderella-girl"!), ma non come ospite: lavorava nella lavanderia dell'albergo.
Nel '54 si risposò... e, sei mesi più tardi, mollò marito e genitori e si stabilì in California, ad Eureka. Perché proprio Eureka? "Perché era il posto più lontano da Seattle che le sue magre finanze le permisero di raggiungere!"
Si fece chiamare Frances Anderson e visse - si presume - tranquillamente per tre anni, lavorando come segretaria.
Non ebbe più alcun rapporto con i genitori, che morirono ad un anno di distanza l'uno dall'altra. Sua madre l'aveva nominata unica erede: giusto il tempo di vendere la casa di famiglia per 5.500 dollari e abbandonò Seattle definitivamente.
Meglio Eureka.
Nel '57, conobbe una curiosa razza di "consulente per la televisione e la radio", Leland C. Mikesell, una sorta di lelemoriano-fabri-crown, che fiutò l'affare...
E, qualche tempo dopo, ad un fortunato giornalista di San Francisco, magari aiutato da una disinteressata spifferata, capitò di scoprire che l'infelice, affascinante Frances Farmer , la "nuova Garbo", lavorava come receptionist in un albergo della città. Ai giornalisti raccontò che aveva abbandonato l'alcol e incontrato Dio: "Non accuso nessuno per la mia caduta in disgrazia - affermò nobilmente - Credo di aver vinto la mia battaglia per l'autocontrollo".
La adorarono. Gli Americani adorano le americanate. E niente li fa star meglio di un povero disgraziato (giusto un cincinino più sfigato di loro) che si umilia pubblicamente, proclamando il proprio ritorno da figliuol prodigo in seno alla società e alla fede (una a caso, va bene).
Ed Sullivan la invitò per ben due volte al suo show.
Si mostrarono magnanimi: le perdonarono la sua infelicità.
E, dopo 15 anni, Frances tornò a recitare in teatro, nel ruolo di una donna che tentava di rimettere insieme i pezzi della sua vita dopo 15 anni di esilio.
L'anno successivo, lavorò in originali televisivi, e in produzioni teatrali estive. Girò un unico film, l'ultimo, "The Party Crashers". E si risposò... con Leland C. Mikesell, of course. Un'unione che non durò più delle precedenti. Già verso la fine del '58, capì che il "nuovo inizio" della sua carriera era già terminato: non era più una novità, una curiosa attrazione, e le proposte di lavoro svanirono.
Una televisione locale di Indianapolis le offrì di condurre un programma pomeridiano sul cinema, "Frances Farmer Presents": avrebbe introdotto il film del giorno ed intervistato celebri attori. Accettò la proposta e si trasferì a Indianapolis.
Aveva trovato una "cuccia"? Uno show, modesto ma tutto suo, che le permetteva di muoversi, comunque, nel suo ambiente, che le garantiva una stabilità economica, un reddito dignitoso, ed un ruolo sociale di un certo prestigio: era richiestissima come speaker in convegni e conferenze e collaborava attivamente con la Filodrammatica della Pardue University. Poi, pian piano, crepa dopo crepa, tutto le crollò nuovamente addosso.
Divenne sempre più volubile e caratteriale, con repentini sbalzi d'umore.
"All'improvviso, senza una ragione apparente, Frances iniziava ad imprecare come una camionista ", dichiarò un ex-collega di lavoro.
"Quell'amabile, affascinante, sensibile, elegante signora inveiva contro il regista o qualcun altro, e se ne andava via..." (Indianapolis Star).
Venne licenziata nell'aprile del '64. Riassunta due mesi più tardi, fu nuovamente licenziata alla fine dell'estate. Tuttavia, durante l'estate, lavorò ancora con la Filodrammatica universitaria interpretando un ruolo in "Look Homeward, Angel"
Arrestata in stato di ebbrezza, non tornò mai più in un teatro.
Tentò di mettersi in affari un paio di volte con altrettanti amici-soci, ma fu un fiasco. Nuovo arresto in stato di ebbrezza, e ritiro per un anno della patente.
Nel '68, incominciò a lavorare alla sua autobiografia, ma non la completò. Morì per un cancro all'esofago il 1 agosto del 1970, poche settimane prima del suo cinquantasettesimo compleanno. Fu seppellita ad Indianapolis, sei amiche portarono la sua bara.
Il pensiero seattliano, ufficioso ed ufficiale, è che, se non avesse avuto una vita così disgraziata e tumultuosa, e se il cinema non si fosse innamorato della sua storia, nessuno ricorderebbe la pur bellissima attrice di un solo grande successo. Si tende anche a minimizzare, o a rendere meno drammatico, il suo trascorso da internata. Si allude, insomma, ad una sorta di leggenda metropolitana, rimbalzata dalla cronaca alla narrativa, dalla narrativa al cinema...
Chisssssenefrega!
Kurt Cobain da Seattle la amò, le dedicò una canzone e chiamò la propria figlia Frances in suo onore.
*William Arnold , "Shadowland"
Ricordo, ancora una volta, che su questo libro fu largamente basato il film "Frances", del 1982, di Graeme, con Jessica Lange, Sam Shepard, Kim Stanley.
Frances Farmer e Jean Ratcliffe , "Will There Really Be a Morning ?"
Frances Farmer e Jean Ratcliffe , "Will There Really Be a Morning ?"
Mab's Copyright
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