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24 maggio, 2011
di Emiliano Liuzzi
Settant’anni. Un traguardo. Soprattutto se ti chiami Bob Dylan e hai scritto Like a Rolling Stone, All Along The Watchtower, Blowin’ in The Wind, Forever Young, Hurricane. Settant’anni vuol dire almeno tre generazioni. Il vento della sua musica ha soffiato sul vento di continenti, è riuscito ad accomunare milioni di persone con quella forza dirompente che solo la musica e la letteratura riescono a emanare.
Di celebrazioni, in questi giorni, ce ne sono state anche troppe. In fondo è solo un traguardo. Mi sono andato a leggere i giornali in giro per il mondo, la solita nenia. Se volete sapere qualcosa di Bob Dylan fate come feci io a quattordici anni, quando mi comprai la biografia scritta da Anthony Scaduto, lì dentro capirete chi è davvero quel poeta che a vent’anni partì dal Minnesota, Duluth, la provincia gelida di un’America che i fratelli Cohen hanno raccontato in maniera magistrale in Fargo, e arrivò in un ospedale di New York dove il suo idolo, Woody Guthrie, stava per tirare le cuoia e lui fece in tempo a fargli ascoltare solo quei pochi pezzi che aveva già scritto su pezzi di carta.
A New York Robert Allen Zimmerman sarebbe rimasto, e al Greenwich Village – quello degli anni Sessanta, non il quartiere di oggi – sarebbe diventato Bob Dylan.
Mi ero promesso, io che sono dylaniano da quando ero fanciullo, che non avrei mai scritto di Dylan, soprattutto in ricorrenze come queste. Dylan l’ho ascoltato a New York, Londra, Modena e Livorno. Mi è bastato, anche se l’abilità con la quale dal vivo stravolge le canzoni non piace quasi mai. Evito ogni tipo di ipocrisia, e confesso candidamente che forse solo al concerto di New York ho rivissuto la magia trovata nelle pagine del libro di Scaduto: le altre volte l’attesa e l’emozione hanno sempre giocato a mio sfavore.
Non ne avrei scritto, dicevo. Ma è stato un professore di giornalismo della Columbia University a farmi aprire gli occhi. A spiegarmi perché 70 anni, nella musica, sono un traguardo importante.
La lezione di David Hajdu è molto semplice e basata sui numeri, non sulle parole. 70 anni compie Bob Dylan, 70 ne avrebbe compiuti John Lennon lo scorso ottobre. Joan Baez ha festeggiato a gennaio, Paul Simon raggiungerà il traguardo entro la fine dell’anno. Il prossimo anno, il club dei settantenni pop leggendario crescerà fino a includere Paul McCartney, Aretha Franklin, Carole King, Brian Wilson e Lou Reed. Jimi Hendrix e Jerry Garcia sarebbero stati anche loro settantenni nel 2012.
Coincidenza? Niente affatto, secondo Hajdu.
Tutti questi signori hanno compiuto 14 anni intorno al 1955 e il 1956, quando il rock ‘n’ roll per la prima volta eruttò come un vulcano impazzito.
Quattordici è un età formativa per quello che sarà il pop. A 14 anni si affrontano le tirannie del sesso e l’età adulta, quella che non ti lascia più le briciole sul percorso per trovare il ritorno. A 14 anni lotti per capire che tipo di adulto ti piacerebbe essere.
“Quattordici è una sorta di età magica per lo sviluppo di gusti musicali”, spiega Daniel J. Levitin, professore di psicologia e direttore del Laboratorio di Musica Perception, Cognition and Expertise della McGill University. ”Sono gli ormoni della crescita puberale i maggiori responsabili. E a 14 anni i gusti musicali ti creano un distintivo di identità”.
Il rock ‘n roll e quell’eruzione che ricorda il professor Hajdu hanno un nome e gnognome: Elvis Presley, il re che l’America non ha mai avuto. Lo disse Bob Dylan stesso a Anthony Scaduto: “La prima volta che sentii Elvis fu come fuggire dalla prigione”.
Lo stesso Sir Paul McCartney ha sempre avuto una venerazione per Elvis. Ma non è questo il punto, non è solo il rock ‘n roll. Sono i 14 anni. Non sappiamo se Robert Zimmerman sarebbe mai diventato Bob Dylan se avesse compiuto i suoi 14 anni un decennio prima. Non lo potremo mai sapere. Sappiamo però che quando i Beatles sbarcarono negli Stati Uniti, all’Ed Sullivan Show, avevano 14 anni di età Bruce Springsteen, Stevie Wonder, Gene Simmons e Billy Joel. E forse anche per questo, musicalmente parlando e in modi termini diversi tra loro, sono diventati quello che sono oggi. Forse per sapere chi sarà il genio dei prossimi anni faremmo bene ad andare a spiare negli armadietti dei ragazzi che frequentano la terza media. Probabilmente faremmo bene a spiare i 140 caratteri che i social network impongono come limite per capire i sonetti che segneranno a modo loro un’epoca.
E’ probabile che coloro che saranno celebrati nel 2067 hanno 14 anni oggi, nel 2011.
Da:
http://www.ilfattoquotidiano.it/
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